Ex art. 27 DL 78/2010, è necessaria l’iscrizione nel VIES degli operatori UE per parlare di operazioni intracomunitarie; altrimenti si applica il trattamento IVA delle operazioni nazionali.
Tale disciplina riferisce non solo agli acquisti e cessioni intra UE di beni, ma anche alle prestazioni di servizi generiche, con tassazione nel Paese di stabilimento del committente ex art. 44 Direttiva 2006/112/CE – ed ex art. 7-ter, co.1, lett. a), DPR 633/1972: non si fa distinzione infatti tra soggetti che effettuano forniture intra UE di beni o prestazioni intra UE di servizi (v. CM 28/E/2011 e CM 39/E/2011).
In riferimento ai servizi generici, ad es. un servizio di trasporto reso ad un committente UE, in assenza di iscrizione nel VIES del prestatore italiano, non può essere fatturato senza IVA ex art. 21, co.6, DPR 633/1972; la CM 39/E/2011 ha chiarito infatti che l’inclusione nel VIES è necessaria anche per quei soggetti che effettuano prestazioni di servizi intra UE soggette ad IVA nel paese di destinazione ex art.7-ter DPR 633/1972. Inoltre dovrebbe essere la stessa controparte comunitaria che, non avendo modo di riscontrare la soggettività passiva IVA del cedente/prestatore italiano nel VIES, dovrebbe esimersi dal qualificare fiscalmente l’operazione come intra UE.
Pertanto, eventuali cessioni o prestazioni intra UE effettuate da un soggetto passivo non ancora incluso nel VIES, o escluso a seguito di diniego o revoca, devono ritenersi assoggettate ad IVA in Italia, con le conseguenti sanzioni ex art.6 D.Lgs. 471/1997, qualora invece l’operazione sia stata assoggettata al regime fiscale IVA proprio della cessione/prestazione intra UE.
Anche ove il prestatore italiano intenda regolarizzare la violazione commessa, emettendo una fattura integrativa con l’addebito d’IVA (che il committente UE NON pagherà, comunque), si applicherebbe comunque la sanzione amministrativa ex art. 6, co.1 e 4, DLgs. 471/1997 (dal 100% al 200% dell’imposta, minimo 516 euro), con possibilità di ravvedimento operoso ex art. 13 DLgs. 472/1997.
L’IVA addebitata al committente UE potrebbe non essere rimborsabile secondo la procedura ex art. 38-bis2 DPR 633/1972: la Corte di Giustizia (cause C-35/05 e C-566/07), ha precluso il rimborso per le operazioni extra territoriali, quali sarebbero quelle in esame, anche in caso di successivo versamento dell’imposta. Lo stesso vale per le cessioni che soddisfano i presupposti per essere fatturate in regime di non imponibilità, ma che sono ricondotte a tassazione in Italia in assenza di iscrizione del cedente nel VIES: ex art. 4 Direttiva 2008/9/CE si esclude il rimborso per le operazioni che siano o che possano essere qualificate come cessioni intra-UE.
COMMENTO. Il sistema introdotto ex DL 78/2010, fondandosi sulla carenza di soggettività passiva nelle operazioni intra UE, non regge sul piano comunitario anche alla luce delle recenti conclusioni dell’Avvocato generale presso la Corte di Giustizia (causa C-587/10):
- in primo luogo, la detassazione, dal lato attivo, delle operazioni intra UE deve essere riconosciuta anche quando il cedente ha violato determinati requisiti formali (nella specie, l’iscrizione nel VIES) se egli è in grado di dimostrare che, dal punto di vista sostanziale, l’operazione riveste natura intra UE;
- in secondo luogo, il principio di ripartizione della potestà impositiva tra il Paese di origine e il Paese di destinazione determina una duplicazione d’imposta contraria al principio di neutralità dell’IVA se, in assenza di iscrizione nel VIES, si nega la detassazione nel Paese di origine, posto che – ex art.16 Reg. UE 282/2011 – lo Stato di destinazione è legittimato ad esercitare la propria potestà impositiva indipendentemente dal trattamento IVA applicato nel Paese di origine.