Fonte: Fisco Oggi – causa C-273/11
Autore: A. De Angelis
Data: 17/09/2012
L’articolo 138, paragrafo 1, della direttiva 2006/112/CE del Consiglio (VI direttiva Iva), disciplina le condizioni per cui è possibile usufruire delle esenzioni Iva. Proprio sulla sussistenza di tali condizioni verte la domanda pregiudiziale pervenuta ai giudici della Corte di giustizia europea. La questione controversa, infatti, concerne la negata possibilità, alla società ricorrente, di beneficiare del regime di esenzione dall’Iva in merito alla cessione intracomunitaria di beni.
Il procedimento principale
La società ricorrente, stabilita in Ungheria, concludeva un contratto di compravendita con un’altra società stabilita in Italia. Le modalità di esecuzione stabilivano che l’esecuzione avrebbe avuto luogo in funzione del peso caricato e che l’acquirente avrebbe provveduto al trasporto della merce. Una volta effettuata la pesatura, il vettore provvedeva a presentare la lettera di trasporto. Per tale operazione di compravendita nel settembre 2009 erano emesse due fatture in esenzione Iva. La prima saldata dalla società ungherese, la seconda rimasta da pagare. A seguito di una verifica fiscale, l’Amministrazione tributaria ungherese chiedeva informazioni sulla società italiana circa la registrazione con numero di identificazione ai fini Iva, venendo a conoscenza del fatto della mancanza del numero. In sede di procedimento tributario non si riusciva a dimostrare il perfezionamento di una operazione di compravendita comunitaria, oggetto della controversa esenzione Iva. Questa conclusione era confermata anche nella decisione del giudice ungherese riconoscendo a carico della società ricorrente un debito tributario per l’Iva non versata in quanto erroneamente ritenuta esente. Di conseguenza, la società ricorrente, presentava ricorso dinanzi al giudice del rinvio con la richiesta di annullare la decisione di primo grado che la condannava al versamento dell’Iva. Per chiarire la portata del comportamento della società, ai fini del diritto all’esenzione dall’Iva, il giudice nazionale sospendeva il procedimento e rimetteva la questione ai giudici europei.
Le questioni pregiudiziali
Il rinvio del giudice nazionale, ai togati europei, verte principalmente su due questioni. La prima questione riguarda l’interpretazione delle disposizioni comunitarie, di cui alla fattispecie principale, in merito alla possibilità che uno Stato membro possa negare il beneficio dell’esenzione Iva, nel caso di una cessione intracomunitaria, dove non ci sia stato il trasferimento, alla parte acquirente, del diritto di disporre del bene. Nella seconda, invece, il dubbio interpretativo riguarda il diniego di esenzione laddove l’Amministrazione tributaria di altro Stato membro cancelli il numero di identificazione Iva con efficacia retroattiva.
Sulle questioni pregiudiziali
L’articolo 138, paragrafo 1, della sesta direttiva Iva sancisce i requisiti necessari per qualificare una compravendita quale cessione intracomunitaria. Al sussistere di tali requisiti gli Stati membri possono esentare dall’Iva le compravendite di beni intracomunitarie. Ma al riguardo, da consolidata giurisprudenza della Corte, si evince che, ai fini dell’esenzione, sia necessario che la parte acquirente abbia acquisito il diritto di disporre del bene e quindi sia stato effettuato il trasporto dei beni. I giudici europei, sottolineano, come sia difficile, in virtù della libera circolazione delle merci e delle persone, stabilire se sia avvenuto o meno il trasferimento fisico dei beni. Pertanto, per le autorità tributarie diventa difficile verificare l’avvenuto trasferimento e devono, gioco forza, basarsi sulle prove fornite dai soggetti passivi. In considerazione di ciò, è il giudice nazionale chiamato a stabilire l’avvenuto trasferimento e gli Stati membri possono negare l’esenzione Iva qualora il soggetto passivo non riesca a dimostrare l’avvenuta disposizione del bene o di essersi comportato secondo buona fede. In merito all’altro quesito, l’avvenuta cancellazione del numero identificazione Iva, ad opera di altro Stato membro, con effetto retroattivo ma dopo la data di cessione non inficia lo status fiscale del soggetto passivo il quale mantiene il diritto alla esenzione Iva.
La pronuncia della Corte
Le disposizioni comunitarie in materia di esenzioni Iva, in particolare, l’articolo 138, paragrafo 1, della sesta direttiva Iva, nelle circostanze di cui alla fattispecie principale, devono essere interpretate nel senso che si possa negare il beneficio dell’esenzione dall’imposta sul valore aggiunto. Il mancato beneficio, però, va giustificato, come nel caso di specie, da un comportamento della parte venditrice tale da favorire l’evasione dell’imposta. Nel contempo, i giudici europei, in forza della richiamata normativa, si sono espressi nel senso che non si può negare l’esenzione di una cessione intracomunitaria se lo Stato di provenienza dei beni adotta misure, con efficacia retroattiva, tali da incidere sui requisiti necessari per beneficiare di tale esenzione.