PLAFOND IVA: sanzioni fisse e proporzionali

Sono previste sanzioni fisse e proporzionali (a parere di chi scrive alternative tra loro) per le violazioni commesse dai fornitori di esportatori abituali, che hanno applicato la non imponibilità IVA ex art. 8 co.1 lett. c) DPR 633/1972:

  • operazioni effettuate in mancanza di dichiarazione d’intento, punite con sanzione proporzionale dal 100% al 200% dell’IVA non applicata (art. 7 co.3 DLgs. 471/1997); si punisce la violazione sostanziale, cioè l’assenza dei requisiti per applicare il regime di non imponibilità;
  • operazioni effettuate prima di aver ricevuto da parte del cessionario / committente la dichiarazione d’intento e riscontrato telematicamente l’avvenuta presentazione all’Agenzia Entrate, punite con sanzione fissa da 250 a 2.000 € (art. 7 co.4-bis DLgs. 471/1997, come modificato ex art. 15 DLgs. 158/2015): si punisce la violazione formale, cioè la mancata verifica della ricevuta telematica)

La sanzione fissa riguarda il caso del fornitore che abbia effettuato l’operazione in non imponibilità IVA prima di aver verificato:

  • sul sito dell’Agenzia Entrate l’avvenuta presentazione della dichiarazione intento da parte del cessionario o committente;
  • aver richiesto e ottenuto la dichiarazione intento emessa dal cessionario o committente.

In pratica in entrambe le situazioni si presume che la dichiarazione intento sia esistente, ma che sia stata presentata all’Agenzia Entrate (o trasmesso al fornitore) dopo l’effettuazione dell’operazione (effettuazione ex art. 6 DPR 633/72), quando:

  • il cedente abbia consegnato la merce al cessionario prima che questi trasmetta la dichiarazione intento all’Agenzia (o al fornitore);
  • il cessionario abbia pagato il corrispettivo, per i servizi, prima di trasmettere la dichiarazione intento;
  • sia già stata emessa fattura, prima della trasmissione della dichiarazione all’Agenzia (o al fornitore).

Quindi, se la fornitura si considera effettuata, ex art. 6 DPR 633/72, prima di una dichiarazione intento effettivamente esistente ed emessa nel rispetto dei presupposti di legge, il fornitore commette una violazione di natura formale, con  sanzione fissa.

Invece la sanzione proporzionale è relativa a tutti i casi in cui la dichiarazione intento non esiste e non può essere nemmeno verificata la ricevuta telematica.

Nel mezzo si colloca l’ipotesi in cui la dichiarazione intento sia esistente e sia stata inviata al fornitore, senza però l’invio telematico all’Agenzia Entrate (ad es. file scartato): in tale caso non è del tutto chiaro se si debba applicare la sanzione fissa (art. 7 co. 4-bis DLgs. 471/97) oppure la sanzione proporzionale (art. 7 co.3 DLgs. 471/97), anche se si spera che venga applicata al massimo la fissa dato che l’unica violazione del fornitore sarebbe di non aver effettuato la verifica telematica prima di fatturare in non imponibilità IVA, anche perchè non dovrebbe esserci perdita erariale, considerato che l’operazione è effettuata in presenza dei requisiti di legge.

DEVI APPROFONDIRE?

VAI ALL’E-BOOK PLAFOND IVA 2016

ebook-2.02-plafond-200x171

INTRA UE: detrazione IVA su acquisti intra UE salva anche con errori formali

Non si perde il diritto alla detrazione IVA in caso di omessa integrazione della fattura o erronea indicazione del titolo di esenzione se i requisiti sostanziali dell’operazione intra UE sono presenti e l’Amministrazione finanziaria può verificarne la sussistenza (Cassazione, sent. n. 3581 del 24/02/2016).

L’Agenzia Entrate (siccome non gli costa nulla) ricorreva in Cassazione per (tra l’altro) l’indicazione di un titolo errato di esenzione IVA su fatture per prestazioni di intermediazione rese alla società IT. Il ricorso del contribuente contro la ripresa a tassazione dell’IVA su tali fatture era stato accolto in CTP e in CTR Marche, che aveva sottolineato che il contribuente aveva applicato un titolo errato di esenzione, ma le fatture contestate erano comunque state oggetto di doppia registrazione per cui il saldo IVA era rimasto inalterato e non aveva originato un debito di imposta; secondo la CTR l’indicazione nelle fatture di un diverso titolo di esenzione ai fini IVA è un mero errore formale che non ha certo originato un debito IVA dal momento che, proprio per la doppia registrazione dell’imposta, il saldo resta inalterato. La Cassazione ha ribadito quanto sopra (similmente aveva fatto con la sent.Cass. n. 7577/2015).

Gli acquisti di beni e servizi intra UE ex DL n. 331/1993, comportano l’integrazione della fattura ricevuta e l’annotazione nel registro delle fatture emesse e in quello degli acquisti, per l’esercizio della detrazione IVA. In assenza di cause di indetraibilità, l’operazione è neutrale (l’IVA a debito coincide con l’IVA a credito). La Cassazione richiama la sentenza Corte di Giustizia UE causa C-590/13, dove si afferma il principio fondamentale di neutralità dell’IVA che impone che la detrazione dell’IVA sugli acquisti sia accordata se gli obblighi sostanziali sono soddisfatti, anche se taluni obblighi formali sono stati omessi.

I Paesi UE possono introdurre particolari obblighi per prevenire frodi, ma senza mettere in discussione il principio della detrazione dell’IVA: basta che gli acquisti siano effettuati da un soggetto passivo IVA, che tale soggetto sia debitore IVA su tali acquisti e che i beni siano utilizzati ai fini di proprie operazioni imponibili. Se l’Agenzia Entrate dispone delle informazioni necessarie per accertare la sussistenza di tali requisiti sostanziali, il diritto alla detrazione non può essere negato anche qualora il contribuente non abbia applicato o abbia applicato in modo corretto la procedura dell’inversione contabile. In caso di omissione della doppia registrazione delle fatture integrate o autofatture nei registri IVA vendite e acquisti, se è dimostrato che gli acquisti sono stati effettuati da un soggetto passivo dell’IVA e che le merci sono finalizzate a proprie operazioni imponibili, tali inadempienze non determinano alcun danno erariale. Un contenzioso che si poteva e doveva evitare.

INTRASTAT: prova cessione intracomunitaria

La questione della prova cessione intracomunitaria di una merce è un argomento molto importante, che come Studio vediamo in molti casi trascurato dalle aziende che vendono merci nella UE.

La cessione intracomunitaria di una merce usufruisce infatti del beneficio della non imponibilità IVA ex art.41 DL 331/1993, a patto però che il cedente possa provare – su richiesta dell’Amministrazione – l’effettività della cessione stessa.

Se questa necessità di fornire prove ha costretto molte aziende ad organizzarsi, molti invece – incredibilmente – pensano ancora che sia sufficiente la fattura l’adempimento dell’obbligo Intrastat per essere al riparo da contestazioni, oppure sono coscienti della problematica ma non hanno tempo/ modo di seguirla, perchè le aziende sono piccole e già gli adempimenti amministrativi sono troppi e in continuo aumento. E questo accade nonostante il tema sia conosciuto e dibattuto da moltissimo tempo e molti commercialisti e consulenti accorti mettano in guardia da tali comportamenti superficiali…

Tale mancanza non ha un seguito immediato, fino al momento però del duro impatto con la realtà, quando le Amministrazioni (Dogane, Entrate, ecc.) fanno giustamente i controlli; in tale momento vengono al pettine i nodi di una gestione superficiale delle cessioni intracomunitarie, con la possibilità di sanzioni anche pesanti (dal 100% al 200% dell’IVA non applicata, oltre al recupero dell’imposta).

Sarebbe invece il caso di prepararsi per tempo, prendendo il controllo della situazione ed organizzandosi per avere i riscontri documentali della cessione intracomunitaria, specialmente in caso di grossi volumi.

Per i motivi sopra descritti lo Studio ha approntato l’utility INTRASTAT – Prova della cessione intracomunitaria, composta nel seguente modo:

l) Un sintetico e-book (.pdf – 14 pagine) sulla prova della cessione intracomunitaria, sul perchè è così importante e sulle modalità operative, insieme con la normativa e la prassi di riferimento

box pdf

2) N.3 moduli editabili (in formato .docx) utili per provare la cessione intracomunitaria di una merce:

  • 1) una dichiarazione di ricevimento merci in fattura (lingua: italiano / english);
  • 2) una lettera di attestazione di ricevimento merci (lingua: italiano / english);
  • 3) un adattamento dell’entry certificate secondo la normativa vigente in Germania (lingua: english).

box word

I moduli possono essere visualizzati con qualsiasi versione di Word, Openoffice o Libreoffice; essi sono di uso alternativo tra loro, a seconda delle esigenze e delle specificità operative di ciascun contesto.

Trovate il prodotto al seguente link: INTRASTAT – Prova della cessione intracomunitaria

 

BLACK LIST: criteri individuazione black list incoerenti

Stanno emergendo molti dubbi e poche certezze nell’individuazione dei nuovi paesi Black List.

L’applicazione della disciplina CFC (Controlled Foreign Companies), nella parte dei Paesi Black List, si basava fino al 2015 sulla lista ex DM 21/11/2001 (Stati o territori a regime fiscale privilegiato): nella lista c’erano gli Stati con livelli di tassazione sensibilmente inferiori a quelli italiani o che non garantivano adeguato scambio di informazioni con l’Italia.

La legge di stabilità 2015 aveva alzato la soglia di tassazione del Paese estero dal 30% al 50% del livello di imposizione italiano; inoltre con provvedimento Direttore Agenzia Entrate – da emanare – si dovevano individuare i regimi speciali, ovvero idonei a garantire un livello di tassazione inadeguato, secondo i nuovi parametri, in seno a paesi generalmente “virtuosi”.

Il DM 30/03/2015 è intervenuto sulla black list originaria, escludendo una serie di paesi il cui livello di tassazione rispondeva ai nuovi criteri dettati dal legislatore, oltre a cancellare l’elenco dei regimi speciali ex art. 3 DM 21/11/2001, in prospettiva di un provvedimento ad hoc.

La legge di stabilità 2016 ha abrogato la lista ministeriale e dispensato l’Agenzia Entrate dall’emanazione del documento sui  regimi “speciali”: quindi a partire, nella maggior parte dei casi, dal 2016, sono privilegiati i regimi fiscali, anche “speciali”, di Stati o territori:

  • diversi da quelli appartenenti alla UE ovvero al SEE con i quali l’Italia abbia stipulato un accordo che assicuri un effettivo scambio di informazioni (art. 167 co. 1 TUIR);
  • che altresì abbiano un livello nominale di tassazione inferiore al 50% di quello applicabile in Italia (art. 167 co. 4 TUIR).

Le problematiche di questa disposizione sono le seguenti:

  • a quale livello di tassazione italiana ci si deve riferire per giudicare il Paese estero? si deve includere l’IRAP (soglia = 50% x 31,4% = 15,7%) oppure no  (soglia = 50% x 27,5% = 13,75%)?  Come sempre le tesi a sostegno dell’una o dell’altra soluzione hanno entrambe dei fondamenti. Ex CM 51/E/2010 con riguardo alla CFC “white”, si afferma che si considerano solo le imposte sul reddito e si esclude in ogni caso l’IRAP. Invece nel preambolo al DM 21/11/2001, si scrive che va presa in considerazione la categoria dei redditi da impresa includendo IRES e IRAP (così anche nel recente DM 30/03/2015).
  • quali sono i regimi fiscali privilegiati in materia di dividendi e plusvalenze su partecipazioni. Le diverse norme sul punto, in particolare, richiamano ancora l’abrogata “black list”, problema questo superato dalla legge di stabilità 2016 con la previsione, all’art. 1 co. 143, per cui, il riferimento si intende agli Stati o territori ex art. 167 co. 4 TUIR: testo alla mano, quindi, non risulterebbe valida l’esclusione riportata al primo comma della norma per gli Stati appartenenti alla UE o al SEE, con l’effetto ultimo di creare una differenza tra l’ambito in commento e quello operante ai fini CFC e, soprattutto, un profilo di sicura censura in sede UE.

DEVI GESTIRE LE COMUNICAZIONI BLACK LIST?

UTILITY BLACK LIST – Elenco Paesi e territori + verifica soglia

box-color