DOGANA: Nomenclatura Combinata 2016 in vigore dal 01/01/2016

La Nomenclatura Combinata 2016 (NC) delle merci, completa e aggiornata è in vigore dal 1° gennaio 2016: è stata adottata dalla Commissione UE con il Reg. (UE) 1754/2015 del 06/10/2015 (G.U.U.E. n. L285 del 30/10/2015).

In particolare, il Regolamento dispone – a far data dal 01/01/2016 – la sostituzione dell’allegato I Reg. (CEE) 2658/87 del 23/07/1987, che ha istituito una nomenclatura delle merci che serve come base per la dichiarazione delle merci all’importazione o all’esportazione nonché ai fini statistici per il commercio nella UE (Intrastat). La stessa NC determina inoltre quale aliquota del dazio doganale risulti applicabile e come le merci debbano essere  trattate ai fini statistici. La Nomenclatura Combinata 2016 (NC) risulta pertanto uno strumento di lavoro fondamentale per le imprese e le amministrazioni doganali degli Stati membri.

Obiettivo del nuovo Regolamento è di aggiornare la Nomenclatura Combinata (NC) e adeguarne la struttura per tenere conto, ad esempio, delle modifiche dei requisiti in materia di statistiche e di politica commerciale, delle modifiche introdotte per ottemperare a impegni internazionali, degli sviluppi tecnologici e commerciali, nonché della necessità di adeguare o chiarire i testi.

Per favorire una più agevole consultazione delle novità da parte degli operatori interessati l’Agenzia Dogane ha reso disponibili sul proprio sito internet le tavole di correlazione dei codici di nomenclatura combinata 2015-2016 (e viceversa), nonché le tabelle di trasposizione recanti i codici di nomenclatura validi fino al 31/12/2015 ed i codici di nomenclatura NC validi a partire dal 01/01/2016.

Si ricorda che la nomenclatura combinata viene aggiornata ogni anno e viene pubblicata come regolamento di esecuzione della Commissione UE nella Gazzetta ufficiale UE, serie L.

>>>> Scarica la Nomenclatura Combinata in vigore dal 1° gennaio 2016.

PLAFOND IVA: dichiarazioni intento, software semplificato

L’Agenzia Entrate ha semplificato il software dichiarazioni intento con la nuova release (modello IVI 2015 versione 1.1.3. del 03/12/2015) .
Obbligatoriamente dal 01/01/2015 (con Decreto semplificazioni D.Lgs. 175/2014) gli esportatori abituali devono compilare e trasmettere all’Agenzia Entrate il modello dichiarazioni intento per acquistare beni e servizi senza applicazione dell’IVA nei limiti del plafond (acquisti da fornitori IT e/o importazioni di beni); in seguito la copia della dichiarazione intento e della relativa ricevuta di trasmissione vanno inviate al fornitore, prima dell’effettuazione dell’operazione ai fini IVA. In pratica come noto dal 2015 l’onere della comunicazione delle dichiarazioni intento all’Agenzia Entrate è stato invertito, dal fornitore all’esportatore abituale; ora, dopo circa un anno dall’entrata in vigore del nuovo adempimento l’Agenzia ha accolto alcune segnalazioni ricevute dagli operatori, visto anche l’imminente invio delle dichiarazioni d’intento con validità 2016 (dichiarazioni inviate a dicembre 2015, con validità dal 1° gennaio 2016): in pratica si è deciso di velocizzare l’utilizzo del software dichiarazioni intento, tramite le seguenti funzionalità:
  • la possibilità di raggruppare diverse dichiarazioni intento dello stesso soggetto con un unico invio telematico all’Agenzia Entrate (in precedenza si doveva inviare un file per ogni dichiarazione, ossia n dichiarazioni compilate, n invii da eseguire);
  • l’importazione dei dati anagrafici presenti nel frontespizio delle dichiarazioni intento acquisite in precedenza.

NUMERAZIONE 

La numerazione delle dichiarazioni intento va distinta, con separata annotazione rispetto a quella dell’anno precedente, come da RM 355803/1985: quindi le dichiarazioni intento ricevute a dicembre 2015 con validità per l’anno 2016, saranno numerate dal ricevente (fornitore) con una nuova numerazione rispetto a quella attribuita nel 2015 ad es. 1/2016, 2/2016, ecc.

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PLAFOND IVA: splafonamento IVA è violazione sostanziale

Lo splafonamento IVA è violazione sostanziale e non formale: l’Agenzia Entrate, oltre a recuperare l’IVA dovuta sugli acquisti oltre i limiti del plafond, può applicare la sanzione pari al 100% dell’IVA recuperata (sentenza n. 1103/26/15 CTR Piemonte).

I fatti: una società esportatore abituale, presentando dichiarazione d’intento, aveva effettuato acquisti senza applicazione dell’IVA in misura eccedente il plafond disponibile (splafonamento) L’Agenzia Entrate, quindi, aveva recuperato la maggiore IVA dovuta in capo alla società che avendo rilasciato dichiarazione d’intento in mancanza dei presupposti richiesti dalla legge, ex art. 7 D.Lgs. 471/1997 è unica responsabile del pagamento.

La CTP Alessandria aveva dato ragione alla società: aveva violato gli obblighi contabili, ma non aveva sottratto l’IVA, in quanto, se avesse rispettato la normativa di riferimento, avrebbe versato l’IVA relativa a dette operazioni, che, però, non sarebbe diventata “dovuta”, perché sarebbe stata recuperata nella dichiarazione IVA annuale come credito di imposta, di cui poi la società avrebbe chiesto il rimborso oppure la detrazione l’anno successivo. Anche la sanzione operata dall’Agenzia era illegittima, per la “evidente sproporzione tra la violazione e la sanzione minima pari al 100% dell’IVA”, quindi tale sanzione veniva ridotta alla metà ex art. 7, co.4 DLgs. 472/1997.

La CTR Piemonte ha bocciato tale decisione su tutta la linea: l’omesso versamento dell’IVA dovuta sugli acquisti effettuati in sospensione d’imposta senza avere plafond disponibile non può essere mera irregolarità formale, lo splafonamento IVA è violazione sostanziale, poichè comporta il mancato immediato pagamento dell’IVA ai fornitori delle cessioni illegittimamente inserite nel plafond, e quindi vengono violati gli obblighi sostanziali che devono essere rispettati, ai fini della detrazione, e viene alterato l’ordinario e imprescindibile meccanismo della rivalsa e della detrazione dell’IVA (v. Cass. n. 22430/2014).
In altre sentenze, anche la Cassazione ha stabilito che il cessionario o committente il quale, beneficiando del trattamento previsto per l’esportatore abituale, acquisti beni o servizi in sospensione d’imposta oltre il limite consentito (splafonamento), è tenuto al pagamento dell’IVA dovuta per gli acquisti di beni o servizi oltre tale limite (v. Cass. 12774/2011, 7695/2013, 23588/ 2012). In risposta alla società, per cui il rispetto delle regole previste avrebbe comunque comportato l’emergere di un credito IVA, che quindi sarebbe stato “recuperato” in dichiarazione annuale e non avrebbe fatto alcun danno all’Erario con lo splafonamento, la CTR ha osservato che tale comportamento sarebbe solo ipotetico, al contrario della condotta concretamente seguita, ovvero del mancato versamento dell’IVA a monte. Inoltre è stata riformata la parte della sentenza della CTP per cui le sanzioni sarebbero state da ridurre del 50%: secondo la CTR non sussisteva la fattispecie ex art. 7 co.4 DLgs. 472/1997 (qualora concorrano circostanze che rendono manifesta la sproporzione tra l’entità del tributo cui la violazione si riferisce e la sanzione, questa può essere ridotta fino alla metà del minimo).

Si precisa che in caso di splafonamento, al fine di evitare la possibile sanzione dal 100% al 200% dell’IVA ex art. 7, co.4 D.Lgs. 471/1997, si può ricorrere al ravvedimento operoso, con emissione di autofattura (v. CM 12/E/2010, § 3.7).

Infine si evidenzia che la riforma delle sanzioni prevista dal DLgs. 158/2015 non sembra mutare il quadro sopra delineato.

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IMPORT: recupero dazi import oltre i 3 anni

Cassazione 7561/2015: il recupero a posteriori dei dazi può essere avviato dopo la scadenza del termine di 3 anni, solo se la mancata determinazione del tributo doganale sia avvenuta a causa di un atto costituente reato

Con tale sentenza, la Cassazione si è pronunciata sul termine di prescrizione per l’azione di recupero a posteriori di dazi non riscossi (v. art. 221, n. 3 e n. 4, CDC – Reg. (CEE) 2913/1992, e art. 84 TULD – DPR 43/1973), nello specifico sulla legittimità degli avvisi di revisione d’accertamento emessi dalla dogana, ai fini del recupero dei dazi evasi, a seguito di comunicazione dell’Olaf relativa a falsi certificati Agrim allegati alla dichiarazione doganale presentata all’atto dell’importazione.
Al riguardo, l’Amministrazione doganale aveva impugnato la sentenza di merito, confutando le conclusioni del giudice di seconde cure, che aveva ritenuto estinta la pretesa fiscale esercitata dall’Amministrazione per intervenuta prescrizione dell’azione di accertamento, in conseguenza del decorso del termine triennale ex art. 221 Reg. CEE 2913/1992.
Secondo l’Amministrazione ricorrente, la conferma della falsità dei predetti certificati produrrebbe, invero, l’effetto di consentire la revisione a posteriori dell’accertamento dei dazi doganali evasi anche oltre il suddetto termine triennale di prescrizione.
Ex art. 221, n. 3, CDC si introduce una regola di prescrizione in base alla quale, in via di principio, la comunicazione dell’importo dei dazi import o export da pagare non può più essere effettuata dopo il termine di tre anni a decorrere dalla data in cui è sorta l’obbligazione doganale (v. sentenze Corte Giustizia UE causa C-201/04; causa C-124/08 e C-125/08; causa C-75/09); si stabilisce, inoltre, che il termine di prescrizione è sospeso a seguito di presentazione di un ricorso e per la durata del relativo procedimento.
Ex art.221, n.4, CDC come eccezione si dispone che, “alle condizioni previste dalle disposizioni vigenti”, le autorità doganali possano procedere a tale comunicazione dopo la scadenza del termine di cui sopra, qualora dette autorità non abbiano potuto determinare l’importo esatto dei dazi legalmente dovuti a causa di un atto “perseguibile penalmente”: si tratta di un rinvio al diritto nazionale per il regime della prescrizione dell’obbligazione doganale, qualora tale obbligazione sorga a seguito di un atto che era, nel momento in cui è stato commesso, perseguibile penalmente.

In Italia, ex art. 84 DPR 43/1973, l’azione di recupero a posteriori dei dazi import o export non può essere avviata dopo la scadenza del termine di tre anni dalla data di contabilizzazione dell’importo originariamente richiesto o, se questa non ha avuto luogo, dalla data di insorgenza del debito doganale; tuttavia, la comunicazione al debitore dell’importo dovuto può avvenire anche dopo il termine triennale nella sola ipotesi in cui la mancata determinazione del dazio sia avvenuta a causa di un atto costituente reato.

Secondo la Cassazione, la proroga del termine di prescrizione richiede pur sempre che, nel corso del termine in parola, e non dopo la sua scadenza, sia trasmessa all’autorità giudiziaria la notitia criminis, che lega il reato al presupposto di imposta (v. Cassazione sentenza 5384/2012). Nel caso  specifico, non risulta nessuna notizia di reato (atto trasmesso dall’Amministrazione all’autorità giudiziaria inquirente) agli atti: quindi manca del tutto agli atti una notitia criminis rilevante ai fini penali, secondo le regole dell’ordinamento nazionale.
Stando così le cose, la Cassazione ha concluso che, nel caso concreto l’avviso di revisione dell’accertamento emesso dopo i tre anni deve essere considerato tardivo.
Inoltre si segnala che, con la CM 3/D/2015, l’Agenzia Dogane è recentemente intervenuta nella materia per prendere atto dell’ormai unanime e consolidato orientamento della Cassazione e invitare gli uffici periferici ad abbandonare i contenziosi in essere, nei casi in cui il contribuente abbia eccepito in sede di giudizio il decorso del termine triennale e il giudice abbia, con la conseguente pronuncia, accertato l’intervenuta prescrizione.