PLAFOND IVA: software e servizio verifica online

Gli esportatori abituali possono da oggi sfruttare il plafond IVA secondo le nuove modalità ex art. 20 co.1 DLgs. 175/2014 (decreto semplificazioni) e inviare telematicamente all’Agenzia Entrate i dati contenuti nella dichiarazione d’intento che sarà consegnata ai fornitori: l’Agenzia Entrate ha pubblicato infatti ieri il software Dichiarazione d’intento per l’invio telematico e il servizio di verifica online della presentazione.

Come funziona il nuovo schema per trasmettere le dichiarazioni d’intento:

  • l’esportatore abituale trasmette tramite il software all’Agenzia Entrate i dati contenuti nella dichiarazione d’intento che sarà consegnata al proprio fornitore;
  • l’Agenzia rilascia ricevuta telematica con l’indicazione dei dati contenuti nella dichiarazione d’intento trasmessa dall’esportatore abituale;
  • l’esportatore consegna al fornitore /alla dogana, la dichiarazione d’intento con la ricevuta telematica dell’Agenzia;
  • il fornitore, una volta in possesso di dichiarazione d’intento e ricevuta, può fatturare senza applicazione dell’IVA ex art. 8 co.1 lett. c) DPR 633/1972;
  • il fornitore riepiloga nella dichiarazione annuale IVA i dati delle dichiarazioni d’intento ricevute.

Modello e consigli per il regime transitorio

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PLAFOND IVA: online nuovo modello dichiarazione intento

L’Agenzia Entrate con provvedimento prot. 159674/2014 ha approvato il nuovo modello di dichiarazione intento per acquistare o importare beni e servizi senza IVA da parte degli esportatori abituali, le relative istruzioni e le specifiche tecniche per la trasmissione telematica.

A seguito delle modifiche ex art. 20 DLgs. 175/2014 (decreto semplificazioni, in vigore dal 13/12/2014), per le operazioni da effettuare a decorrere dal 1° gennaio 2015, gli esportatori abituali che intendono sfruttare il plafond IVA devono:

  • trasmettere telematicamente all’Agenzia Entrate la dichiarazione d’intento;
  • consegnare la dichiarazione insieme alla ricevuta dell’Agenzia Entrate, al fornitore o prestatore, ovvero in dogana.

DECORRENZA

Il provvedimento risolve a stretto giro i dubbi degli operatori sul regime transitorio applicabile per le dichiarazioni d’intento rilasciate a fine anno con validità per il 2015:

  • fino all’11/02/2015, gli esportatori abituali – in ossequio allo Statuto del contribuente – possono consegnare o inviare la dichiarazione d’intento al proprio cedente o prestatore secondo le vecchie modalità. Per le dichiarazioni d’intento consegnate o inviate secondo le vecchie modalità, che riguardano però anche operazioni poste in essere dopo l’11/02/2015 (es. dichiarazioni d’intento rilasciate con valenza annuale), c’è l’obbligo, a partire dal 12/02/2015, di trasmettere le dichiarazioni secondo il nuovo metodo (es. dichiarazione d’intento inviata a dicembre 2014, valida per tutto il 2015, potrebbe dover essere comunicata due volte, sia dal fornitore col vecchio modo, sia dal cedente, a partire dal 12/02/2015 col nuovo).
  • a partire dal 12/02/2015 ci sarà solo il nuovo metodo.

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EXPORT: prova export anche oltre i 90 giorni per la non imponibilità

Il regime di non imponibilità IVA per le esportazioni con trasporto a cura del cessionario non residente ex art.8 co.1 lett. b) DPR 633/1972 (di fatto principalmente l’export con termine “franco fabbrica” o “EXW”) non è vincolato al rispetto del termine di 90 giorni per l’uscita dei beni dal territorio UE, laddove il cedente ne dimostri l’avvenuta esportazione.

Tale principio è stato sancito dalla Corte di Giustizia UE (sentenza C-563/12 del 19/12/2013) ed è stato finalmente recepito anche dall’Agenzia Entrate, con RM 98/E/2014.

Nella sentenza C-563/12, la Corte UE ha dato la propria interpretazione dell’art. 146, par. 1, lett. b) direttiva 2006/112/CE, secondo cui sono non imponibili ai fini IVA le cessioni di beni spediti o trasportati al di fuori del territorio UE da un acquirente non stabilito nel territorio dello Stato; il termine “spediti” deve essere interpretato nel senso che la cessione export e la conseguente non imponibilità IVA si perfezionano quando:

  • il potere di disporre del bene come proprietario è stato trasmesso all’acquirente;
  • il fornitore prova che tale bene è stato spedito o trasportato al di fuori della UE e che, in seguito a tale spedizione o trasporto, esso ha lasciato fisicamente il territorio UE.

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IMPORT: impugnabile la rettifica doganale del valore di merci importate

Fonte: Fisco Oggi

Data: 17/07/2014

Autore: Giurisprudenza delle imposte edito da ASSONIME

La normativa nazionale che prevede due distinti mezzi di ricorso per contestare le decisioni delle autorità non pregiudica né il principio di equivalenza né il principio di effettività

Con la sentenza in rassegna (cause riunite n. C-29/13 e C-30/13), la Corte di giustizia è stata chiamata a pronunciarsi nell’ambito di una controversia in tema di rettifica del valore in dogana di merci importate.
In particolare, nel caso di specie, le autorità doganali nazionali (bulgare) avevano effettuato il controllo delle dichiarazioni di importazione e degli annessi documenti, presentati dalla società ricorrente, nonché proceduto alla verifica delle merci: nel dubbio se il valore dichiarato rappresentasse il prezzo effettivamente pagato o da pagare, le predette autorità avevano prelevato campioni sulle merci e chiesto informazioni supplementari alla società importatrice, che non era stata in grado di rispondere, salvo aggiungere che il contratto di vendita internazionale prevedeva un pagamento differito delle merci.
 
Con separate decisioni, le autorità nazionali avevano fissato un nuovo valore in dogana per una parte delle merci, determinato in applicazione del criterio previsto dall’articolo 30, paragrafo 2, lettera b), del codice doganale comunitario, istituito dal regolamento (Cee) n. 2913/92 del 12 ottobre 1992 (“valore di transazione di merci similari, vendute per l’esportazione a destinazione della Comunità ed esportate nello stesso momento o pressappoco nello stesso momento delle merci da valutare”); sulla base di tale rivalutazione del valore in dogana, dette decisioni avevano disposto una rettifica fiscale ai fini dell’Iva dovuta in aggiunta.
 
Al riguardo, la Corte di giustizia ha ritenuto che una decisione avente a oggetto una rettifica, sul fondamento dell’articolo 30, paragrafo 2, lettera b), del valore in dogana di merci, con conseguente notifica al dichiarante di una rettifica fiscale ai fini Iva, costituisce un atto impugnabile ai sensi dell’articolo 243 del codice doganale comunitario: dal combinato disposto degli articoli 243, paragrafi 1, e 4, punto 5, del medesimo codice, risulta invero che qualsiasi persona ha il diritto di proporre un ricorso avverso ogni decisione adottata dalle autorità doganali relativa all’applicazione della normativa doganale e che la riguarda direttamente e individualmente; le decisioni in esame riguardano, appunto, l’applicazione della normativa doganale (rettifica del valore in dogana di merci) e producono effetti giuridici diretti sulla società importatrice, poiché fanno sorgere a carico di essa un credito Iva a vantaggio dello Stato nazionale.
 
Con un’altra questione portata all’attenzione dei giudici comunitari, si chiedeva se, alla luce dei principi generali relativi al rispetto dei diritti della difesa e dell’autorità di cosa giudicata, l’articolo 245 del codice doganale osti a una normativa nazionale che prevede due distinti mezzi di ricorso per contestare le decisioni delle autorità doganali.
Sul punto, la Corte ricorda preliminarmente che, in base al citato articolo 245, le disposizioni relative all’attuazione della procedura di ricorso sono adottate dagli Stati membri. E, invero, secondo una giurisprudenza costante della Corte (vedi, segnatamente, le sentenze: 30 giugno 2011, causa n. C-262/09; 18 ottobre 2012, causa n. C-603/10), in mancanza di una disciplina dell’Unione in materia, spetta all’ordinamento giuridico interno di ciascuno Stato membro designare i giudici competenti e stabilire le modalità procedurali dei ricorsi giurisdizionali intesi a garantire la tutela dei diritti riconosciuti ai singoli in forza delle norme di diritto dell’Unione, a condizione, da un lato, che dette modalità non siano meno favorevoli di quelle che riguardano ricorsi analoghi di natura interna (principio di equivalenza) e, dall’altro, che esse non rendano in pratica impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti conferiti dall’ordinamento giuridico comunitario (principio di effettività).
Quanto al principio di effettività, dagli atti di causa emerge che il debitore dell’Erario può proporre un ricorso giurisdizionale contro una decisione delle Autorità doganali anche quando i mezzi di ricorso amministrativo non sono stati esperiti, a meno che il codice di procedura amministrativa o una legge speciale non disponga diversamente; d’altro lato, il debitore dell’Erario ha altresì la possibilità di contestare dinanzi al direttore doganale una decisione di recupero forzoso di un credito pubblico, entro un termine di 14 giorni dalla notifica di tale decisione.
 
La Corte di giustizia ha quindi ritenuto che, da un lato, il principio di equivalenza è rispettato, poiché i due mezzi di ricorso si applicano indipendentemente dalla questione se l’oggetto della controversia risulti dal diritto dell’Unione o dal diritto nazionale; dall’altro, il rispetto del principio di effettività è garantito, in quanto i due ricorsi riguardano due atti amministrativi che sono adottati in fasi diverse della procedura doganale e che sono distinti in relazione al loro oggetto e al loro fondamento giuridico.
 
La Corte ha poi richiamato l’articolo 243, paragrafo 2, del codice doganale comunitario, secondo cui “il ricorso può essere esperito, in una prima fase, dinanzi all’autorità doganale designata a tale scopo dagli Stati membri; in una seconda fase, dinanzi ad un’istanza indipendente, che può essere un’autorità giudiziaria o un organo specializzato equivalente, in conformità delle disposizioni vigenti negli Stati membri”.
Al riguardo, è ribadito che, dalla formulazione di tale disposizione, non risulta che il ricorso dinanzi all’autorità doganale costituisca una fase obbligatoria prima dell’introduzione del ricorso dinanzi a un’istanza indipendente (cfr sentenza 11 gennaio 2001, causa n. C-1/99); spetta al diritto nazionale determinare se gli operatori debbano, in un primo momento, proporre un ricorso dinanzi alle autorità doganali o se essi possano adire direttamente l’autorità giudiziaria indipendente.
Pertanto, l’articolo 243 del codice doganale non subordina la ricevibilità di un ricorso giurisdizionale avverso le decisioni adottate sul fondamento dell’articolo 181-bis, paragrafo 2, del regolamento n. 2454/93, alla condizione che i mezzi di ricorso amministrativo ammessi contro tali decisioni siano stati previamente esperiti.
 
Riguardo al diritto dell’interessato di essere sentito e di sollevare obiezioni, i giudici comunitari hanno rilevato che, sebbene l’articolo 181-bis, paragrafo 2, preveda l’obbligo per le autorità doganali, prima di adottare una decisione definitiva, d’informare la persona interessata dei motivi sui quali tali dubbi sono fondati e di concederle una ragionevole possibilità di manifestare il proprio punto di vista, la violazione di tale obbligo da parte delle autorità doganali non può tuttavia incidere sul carattere definitivo della decisione né sulla qualifica come decisione dell’atto adottato, in quanto esso produce comunque effetti giuridici nei confronti del suo destinatario, comportando la determinazione di un nuovo valore in dogana delle merci e costituendo così una decisione a norma dell’articolo 4, punto 5, del codice doganale; per contro, la violazione del diritto della persona interessata di essere sentita inficia detta decisione di un’illegittimità che può formare oggetto di un ricorso diretto dinanzi a un’autorità giudiziaria indipendente.
 
La Corte ha quindi concluso che, in caso di violazione del diritto dell’interessato di essere sentito e di sollevare obiezioni, spetta al giudice nazionale determinare, tenuto conto delle circostanze particolari della fattispecie sottopostagli e alla luce dei principi di equivalenza e di effettività, se, qualora la decisione adottata in violazione del principio relativo al rispetto dei diritti della difesa debba essere annullata per tale motivo, esso sia tenuto a pronunciarsi sul ricorso proposto contro tale decisione o possa considerare un rinvio della controversia all’autorità amministrativa competente.