DOGANA: nuovi codici TARIC mascherine

Nuovi codici TARIC mascherine facciali

l’Agenzia delle Dogane e dei monopoli, ha pubblicato sul proprio sito internet un avviso del 2 ottobre 2020, con il  quale ha ricordato che, ex Reg. (UE) 2020/1369:

  • alle mascherine facciali impiegate nell’attività di contrasto al COVID-19 sono stati attribuiti specifici codici TARIC;
  • tali codici, dal 3 ottobre 2020, dovranno essere indicati nella casella 33 della dichiarazione doganale d’immissione in libera pratica;
  • inoltre i nuovi codici TARIC devono indicare le unità supplementari (numero pezzi) nella casella 41 della dichiarazione doganale d’immissione in libera pratica;
  • infine i codici resteranno in vigore sino al 31/12/2020 e, dal 1° gennaio 2021, saranno ridefiniti a seguito delle modifiche apportate alla NC – Nomenclatura Combinata riguardo ai prodotti in questione.

Di seguito quanto previsto per i nuovi codici TARIC mascherine dal Reg. (UE) 2020/1369

Pagina dedicata al COVID-19 del sito internet dello studio

PLAFOND IVA: No per fabbricati in leasing

Plafond IVA no per fabbricati in leasing.

Non si può applicare il plafond se l’esportatore abituale acquisisce fabbricati con contratto di leasing o a titolo diverso dalla proprietà (Agenzia Entrate, risposta a interpello n. 304/2020 ed anche principio di diritto n. 14/2019, oltre che CM 145/E/1998).

Perchè no secondo l’Agenzia Entrate

Ex art. 8 co. 1 lett. c) DPR 633/72, sono operazioni non imponibili ai fini IVA le cessioni di beni nei confronti di soggetti in possesso dello status di esportatori abituali (previo rilascio della dichiarazione d’intento), ad eccezione delle cessioni di fabbricati e aree edificabili.

Alla lettera, dovrebbero essere escluse le sole cessioni di beni aventi ad oggetto fabbricati (e aree edificabili), e non anche le prestazioni di servizi aventi ad oggetto l’acquisizione del bene a titolo diverso dalla proprietà, tuttavia, l’Agenzia Entrate insiste con un’interpretazione restrittiva, concludendo che “il plafond può essere utilizzato per acquistare o importare, senza IVA, tutti i beni e servizi inerenti all’attività, con la sola eccezione dei fabbricati e delle aree fabbricabili”. Ancora più nettamente, nell’interpello 304/2020 l’Agenzia afferma che è vietato utilizzare il plafond per l’acquisizione di fabbricati, in dipendenza di contratti di appalto aventi per oggetto la loro costruzione o di leasing, nonostante l’art. 8 co.1 lett. c) DPR 633/72 escluda espressamente solo le cessioni di fabbricati, ma l’esclusione è evidentemente da estendere a tali modalità di acquisizione dei fabbricati stessi, che realizzano un effetto equivalente.

Giurisprudenza

La Cassazione negli ultimi anni si è espressa in favore dell’applicabilità del plafond anche in relazione a contratti di appalto aventi ad oggetto la costruzione o l’ampliamento di fabbricati (Cass. 15 aprile 2016 n. 7504 e Cass. 15 maggio 2015 n. 9969) nonché in relazione ai contratti di leasing immobiliare (Cass. 15 ottobre 2013 n. 23329), con il vincolo che le parti abbiano convenuto il trasferimento di proprietà del bene a scadenza del contratto. Tale interpretazione convince, poiché, se l’esclusione dal regime di non imponibilità verso esportatori abituali opera per le cessioni di fabbricati e aree fabbricabili in ragione del fatto che si tratta di beni immobili (in quanto tali, non giustificherebbero la destinazione all’esportazione), tanto deve valere anche nell’ipotesi di prestazioni di servizi su immobili (es. appalto per la costruzione del fabbricato).

Nella giurisprudenza di merito è stato anche osservato che la presenza di un contratto di leasing traslativo non è un elemento sufficiente per configurare l’operazione corrispondente come una cessione di beni e che, peraltro, ricade sull’Amministrazione finanziaria l’onere di provare la natura traslativa del leasing in base alla volontà delle parti (CTR Lombardia, sez. Brescia, n. 616/25/17).

Per la Corte UE determinante la clausola di acquisto della proprietà. Si rammenta l’indirizzo interpretativo della Corte di Giustizia UE in merito alla qualificazione dei contratti di leasing ai fini IVA. Secondo la sentenza relativa alla causa C-164/16, Mercedes Benz, rientra tra le cessioni di beni nel senso di cui all’art. 14, par. 2, lett. b) direttiva 2006/112/Ce, il contratto di locazione finanziario “accompagnato dalla clausola secondo la quale la proprietà è normalmente acquisita al più tardi all’atto del pagamento dell’ultima rata” .

Vedi anche:

IVA: identificazione diretta per soggetti stabiliti in Norvegia

E’ ammessa l’identificazione diretta ai fini IVA per soggetti stabiliti in Norvegia.

I soggetti economici stabiliti in Norvegia possono avvalersi dell’istituto dell’identificazione diretta per i diritti e doveri in materia di IVA in Italia.

Lo chiarisce l’Agenzia Entrate con la RM 44/E/2020 del 28/07/2020.

Per i soggetti non residenti che effettuano operazioni rilevanti ai fini IVA in Italia le alternative sono le seguenti:

  • nomina di un rappresentante fiscale (art. 17 comma 3 DPR 633/1972),
  • identificazione diretta con le modalità ex art. 35-ter DPR 633/1972.

Ex art. 35-ter comma 5 DPR 633/1972 la possibilità di avvalersi dell’identificazione diretta:

  • è attribuita automaticamente, per i soggetti residenti in altri Stati membri dell’Ue;
  • è subordinata alla verifica della sussistenza di accordi di cooperazione amministrativa analoghi a quelli vigenti in ambito UE, per i soggetti extra UE.

In data 01/08/2018, la Norvegia ha sottoscritto con l’UE un accordo per la corretta determinazione e riscossione dell’IVA, il corretto recupero dei crediti IVA e la lotta alle frodi.

L’accordo è sostanzialmente uguale a quanto previsto dalle norme vigenti in materia di assistenza tra Autorità fiscali dell’UE, con riguardo all’IVA. Per tale motivo questo accordo consente ai soggetti stabiliti in Norvegia di avvalersi dell’identificazione diretta ai fini IVA in Italia, in alternativa alla nomina di un rappresentante fiscale.

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DOGANA: la BREXIT richiederà formalità doganali anche in caso di FTA

La BREXIT richiederà formalità doganali anche in caso di FTA (Free Trade Agreement).

Passato (senza richiesta di proroghe) il termine del 30 giugno 2020 per poter prolungare il periodo transitorio attualmente in corso e regolato dal withdrawal agreement (in pratica fino al 31/12/2020 la UK è de facto ancora un paese UE), è chiaro che, dal 1° gennaio 2021, tutta la normativa UE (tra cui Codice doganale e Direttiva IVA) non sarà più applicabile al Regno Unito.

NON PIU’ UE MA EXTRA UE

La Commissione UE ha pubblicato il 9 luglio 2020 la “Communication (2020)324” rivolta agli operatori UE, con tutti gli aspetti più critici che partiranno alla fine del periodo transitorio in merito agli scambi commerciali UE-UK. Il periodo transitorio serviva alle parti per concludere un accordo di libero scambio (FTA Free Trade Agreement) che consentisse alle merci originarie dell’UE di non scontare dazi all’importazione in UK e viceversa, accordo da presentare entro il 28 novembre 2020, ma al momento molto lontano.

Anche se comunque si riuscisse a fare un Free trade agreement nei termini previsti, la BREXIT richiederà formalità doganali, così come accade per Svizzera, Norvegia ad es., paesi con cui vigono accordi di libero scambio. Saranno quindi necessarie:

  • dichiarazioni di esportazione o importazione per poter vendere a o acquistare beni da una controparte UK;
  • modificare la fatturazione verso clienti UK, in quanto non saranno più cessioni intra UE ex art.41 DL 331/1993 da riportare negli Intrastat, ma cessioni all’esportazione non imponibili ex art. 8 DPR 633/1972;
  • corrispondere i dazi doganali (tranne che per le merci originarie dell’UE o di UK se verrà approvato un FTA),
  • liquidare l’IVA all’importazione e le accise se dovute;
  • le autorità doganali UE potranno fare controllo documentale e fisico alle merci provenienti da UK secondo il sistema risk-based attualmente in uso per merci extra UE, e lo stesso potranno fare le autorità doganali UK per le merci UE.

CONSEGUENZE SUL TRAFFICO MERCI

Le conseguenze saranno:

  • maggiori tempistiche (e costi) per l’arrivo delle merci nella UE;
  • necessità, per le imprese UE, di richiedere un codice EORI GB per poter effettuare importazioni in UK o esportazioni da UK;
  • necessità per le imprese UK, di richiedere un codice EORI UE per poter operare in UE in quanto il loro codice EORI GB non avrà più validità alcuna in UE;
  • le autorizzazioni e le certificazioni rilasciate da enti UK non varranno più in UE e viceversa;
  • cambieranno gli standard tecnici e di conformità di molti beni (ad es. alimentari, farmaceutici, automobili, ecc.), quindi ogni volta si dovrà verificare per ogni spedizione se e quali adempimenti ci vorranno per poter commerciare i beni;
  • eventuali restrizioni all’esportazione o all’importazione che potrebbero essere applicate in base al bene oggetto dell’operazione (per es. vendita a soggetto UK di bene dual use occorrerà richiedere apposita autorizzazione all’esportazione alla competente autorità);
  • per l’origine preferenziale, le componenti originarie UK saranno considerate come non originarie della UE ai fini della determinazione dell’origine preferenziale di un prodotto da parte degli operatori UE.

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