INTRA UE: aggiornato il VIES con l’ingresso della Croazia nella UE

La Croazia é il ventottesimo Stato membro UE dal 1° luglio 2013.

A seguito dell’ingresso della Croazia nella UE, a partire dal 1° luglio 2013 è possibile verificare la validità del numero di identificazione IVA dei clienti/fornitori di questo Stato membro.

Il servizio consente agli operatori commerciali titolari di una partita IVA che effettuano operazioni intra UE di verificare la validità del numero di identificazione IVA dei loro clienti, attraverso il collegamento con i sistemi fiscali degli Stati membri dell’Unione Europea.

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INTRA UE: per la non imponibilità IVA va dimostrato l’effettivo trasferimento

Fonte: Fisco Oggi
Data: 10 Giugno 2013
Autore: S. Ungaro

Iva intracomunitaria: senza malafede, non significa essere “innocente”

Per usufruire del regime di non imponibilità delle operazioni all’interno dell’Ue, non è sufficiente la “forma”. Bisogna anche dimostrare l’effettivo trasferimento del bene.
Per usufruire del regime di non imponibilità ai fini Iva delle operazioni intracomunitarie, non bastano gli adempimenti di natura formale, ma il cedente deve provare anche l’esistenza dello scambio intracomunitario ovvero l’effettivo trasferimento del bene in altro Paese dell’Unione europea.
È quanto affermato dalla Corte di cassazione nella sentenza n. 12964 del 24 maggio 2013.La vicenda
La Guardia di finanza contestava a una società a responsabilità limitata la fatturazione di merci asseritamente destinate all’esportazione in favore di una società tedesca, ma in realtà movimentate esclusivamente in Italia.
Veniva quindi emesso nei confronti della società contribuente, che si era avvalsa del regime di non imponibilità delle operazioni intracomunitarie, un avviso di accertamento, relativo all’anno d’imposta 2009, per il recupero dell’Iva, con ulteriore irrogazione di sanzioni.
I giudici di merito, sia in primo che in secondo grado, accoglievano i ricorsi della società contribuente che, alla stregua della giurisprudenza della Corte di giustizia, non sarebbe stata tenuta a verificare l’avvenuto trasferimento della merce fatturata in un altro Paese comunitario, ma soltanto a rispettare le prescrizioni normative concernenti gli adempimenti formali.Il ricorso
L’Agenzia delle Entrate proponeva ricorso per cassazione lamentando la violazione e la falsa applicazione dell’articolo 41, comma 1, lettera a), DL 331/1993 e dell’art. 28-quater, punto a), lettera a), Direttiva 77/388/Cee, in relazione all’articolo 360, comma 1, n. 3, del codice di procedura civile.
L’Amministrazione finanziaria lamentava, in particolare, che la Commissione tributaria regionale, nel respingere l’appello aveva erroneamente ritenuto che non incombesse sul cedente altro onere se non quello di essere in regola con le disposizioni in materia di registrazione delle fatture e delle operazioni intracomunitarie, tralasciando di considerare, per converso, che era proprio il cedente a dover provare l’effettivo trasferimento della merce in un Paese comunitario.

La pronuncia
La Corte di cassazione, con la sentenza n. 12964 del 24 maggio, ha accolto il ricorso dell’Agenzia delle Entrate e ha cassato la sentenza impugnata.
I giudici di legittimità hanno ricordato che il beneficio della non imponibilità ai fini Iva ricorre sempre che le cessioni abbiano le caratteristiche indicate dall’articolo 41 DL 331/1993, tra cui l’effettiva movimentazione del bene con partenza dall’Italia e arrivo in uno Stato membro dell’Unione europea, indipendentemente dal fatto che il trasporto o la spedizione siano effettuati dal cedente, dal cessionario o da terzi per loro conto.
In assenza dei presupposti normativamente indicati, le cessioni vengono assoggettate all’imposta nel territorio dello Stato.

Al riguardo, la giurisprudenza di legittimità ha più volte avuto modo di precisare che l’onere di provare l’esistenza dello scambio intracomunitario (cioè l’effettivo trasferimento del bene nel territorio di altro Stato membro) grava sul contribuente cedente, che emette la fattura e non applica l’imposta nei confronti del cessionario (articolo 50, comma 1, Dl 331/1993), dichiarando che l’operazione non è imponibile (articolo 46, comma 2, Dl 331/1993).
Ciò, proprio in ragione del principio generale di cui all’articolo 2697 del codice civile, secondo il quale l’onere di provare la sussistenza dei presupposti di fatto, che legittimano la deroga al normale regime impositivo, è a carico di chi invoca la deroga (cfr Cassazione, sentenze 1670/2013, 13457/2012, 20575/2011, 3603/2009 e 21956/2010).

Nel caso di specie, dunque, la società cedente avrebbe dovuto fornire prova dell’avvenuto trasferimento della merce in altro Paese UE, trattandosi di un elemento strutturale della fattispecie normativa, la cui mancanza impedisce il riconoscimento dello stesso carattere “intracomunitario” dell’operazione (cfr Cassazione, sentenza 13457/2012) e fa venir meno il beneficio della non imponibilità.

Infatti, la Corte di cassazione (cfr  Cassazione, sentenza 1670/2013), evocando le più recenti risoluzioni emanate dall’Agenzia delle Entrate (la RM 345/E/2007 e la RM 477/E/2008), pur avendo escluso che il cedente sia tenuto a svolgere attività investigative sulla movimentazione subita dai beni ceduti dopo che gli stessi siano stati consegnati al vettore incaricato dal cessionario, ha affermato che lo stesso ha il dovere “di impiegare la normale diligenza richiesta a un soggetto che pone in essere una transazione commerciale e, quindi, di verificare con la diligenza dell’operatore commerciale professionale le caratteristiche di affidabilità della controparte – Cassazione 13457/2012 –, dovendo questi procurarsi mezzi di prova adeguati alle necessità, capaci se non di dimostrare, quanto meno di non lasciare dubbi circa l’effettività dell’esportazione e circa la sua buona fede in ordine a tale dato. Ciò, peraltro, nella consapevolezza che la concreta individuazione delle condotte, che il cedente deve tenere (o astenersi dal tenere), perché lo si possa giudicare in buona fede nell’esecuzione di una cessione intracomunitaria non conclusasi con l’effettivo trasferimento dei beni ceduti nello Stato membro di destinazione, attiene a valutazioni riservate al giudice di merito in quanto inevitabilmente legate alle specifiche caratteristiche di ciascuna vicenda – Cassazione 8132/2011”.

In definitiva, non incombe sul cedente l’onere di escludere la prova della propria malafede, ma semmai di provare con ogni mezzo l’effettività dell’esportazione e, qualora sia invece provato e ammesso che tale esportazione non vi è stata, di dimostrare che il cedente è stato tratto in inganno nonostante avesse adottato le opportune cautele per evitare tale aggiramento.
Orbene, nel caso di specie, i giudici di appello non hanno applicato correttamente i principi appena espressi, motivo per cui i giudici di piazza Cavour hanno rinviato la causa ad altra sezione della Commissione tributaria regionale.

Ancora una sentenza della Cassazione sul tenore di tutte quelle degli ultimi dieci anni e più. Morale: l’effettivo trasferimento deve essere sempre dimostrato dal contribuente, “con qualsiasi mezzo”.

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INTRA UE: Prova dell’avvenuta cessione franco fabbrica

Nelle cessioni franco fabbrica (Ex Works), in cui il fornitore nazionale consegna i beni al vettore incaricato dal cliente, la prova dell’avvenuta cessione intra UE può essere fornita con il CMR (“lettera di vettura internazionale”) elettronico, oltre che cartaceo: inoltre, i documenti che contengono le medesime informazioni del CMR (cedente, vettore, cessionario) hanno lo stesso valore di prova.

Con la RM 19/E/2013 l’Agenzia Entrate fornisce tali chiarimenti sulla prova del trasporto dei beni, affinché l’operazione possa qualificarsi cessione intra UE e quindi non imponibile IVA ex art. 41 DL 331/1993.

La normativa UE (direttiva 2006/112/CE) lascia ai singoli Stati membri la possibilità di indicare gli strumenti comprovanti l’avvenuto trasporto della merce da uno Stato all’altro, nel rispetto dei principi di neutralità dell’imposta, certezza del diritto e proporzionalità delle misure adottate: l’Italia non ha dettato norme specifiche al riguardo, ma consente alle parti di provare con ogni mezzo la natura dell’operazione.

Sul punto sono state emanate alcune risoluzioni:
La RM 345/E/2007, individua nel documento di trasporto la prova idonea a dimostrare il transito di merci verso un Paese UE, da conservare, ed eventualmente esibire, unitamente agli elenchi Intra, alle fatture e alla documentazione bancaria.
La RM 477/E/2008 (proprio sulle cessioni “franco fabbrica” senza documenti di trasporto) afferma che in tal caso la prova “potrà essere fornita con qualsiasi altro documento idoneo a dimostrare che le merci sono state inviate in altro Stato membro”.

Con l’ultimo documento di prassi, l’Agenzia parifica il CMR elettronico al CMR cartaceo: avendo lo stesso contenuto, è idoneo a dimostrare l’uscita della merce dal territorio italiano. Inoltre, l’Agenzia precisa che la prova dell’avvenuto trasporto dei beni possa essere fornita anche con documenti diversi dal CMR cartaceo. Se gli stessi elementi del CMR (dati della spedizione e firme del cedente, vettore e cessionario) si possono avere con documenti separati essi hanno uguale valore probatorio.

Una precisazione sul CMR elettronico: esso ha lo stesso valore del CMR cartaceo, ma non si considera a tutti gli effetti documento informatico in quanto privo di “riferimento temporale” e “sottoscrizione elettronica”; il CMR elettronico si qualifica, pertanto, giuridicamente, come documento analogico, ed andrà quindi stampato su carta per avere rilevanza giuridica e tributaria (V. RM 158/E/2009).

Infine, i documenti di trasporto hanno valenza probatoria se conservati con le fatture, la documentazione bancaria e gli elenchi Intrastat. Il fornitore dovrà, quindi, acquisire e conservare i mezzi di prova con l’ordinaria diligenza e rendere disponibili i documenti per gli eventuali controlli dell’Agenzia.