INTRA UE: nuovi termini registrazione fatture acquisto intra UE

Dal 1° gennaio 2013 La L. 228/2012  (legge di stabilità 2013) ha esteso gli adempimenti previsti per gli acquisti intra UE a tutte le operazioni, territorialmente rilevanti in Italia, soggette a reverse charge, poste in essere con controparte stabilita in altro Paese UE (art. 17, co.2 DPR 633/1972).

REGISTRAZIONE ACQUISTI FINO AL 31/12/2012

Il previgente art. 47, co.1 DL 331/1993 prevedeva che le fatture di acquisto intra UE, integrate ex art. 46, co.1, devono essere annotate, entro il mese di ricevimento ovvero anche successivamente, ma entro 15 giorni dal ricevimento, nel registro delle fatture emesse ed anche nel registro degli acquisti, per poter detrarre l’IVA.

REGISTRAZIONE ACQUISTI DAL 01/01/2013

  • Registro delle fatture emesse:  l’annotazione deve essere effettuata entro il 15 del mese successivo a quello di ricevimento e con riferimento al mese precedente.
  • Registro degli acquisti: non è più previsto un termine, vale la regola generale ex art. 25, co.1, DPR 633/1972, in base alla quale le fatture passive vanno annotate prima della liquidazione periodica o alla dichiarazione annuale IVA nella quale è esercitata la detrazione, ossia entro il termine biennale di decadenza ex art. 19, co.1 DPR 633/1972.

COORDINAMENTO CON REGOLARIZZAZIONE ACQUISTI INTRA UE (per i quali il cedente UE non ha emesso fattura) DAL 01/01/2013 

Ex nuovo art. 46, co.5, DL 331/1993, se la fattura non viene ricevuta entro il secondo mese successivo a quello di effettuazione dell’operazione, il cessionario deve emettere autofattura entro il 15 del terzo mese; l’autofattura va  registrata entro il termine di emissione e con riferimento al mese precedente (art. 47, co.1 DL 331/1993).

L’acquirente italiano ha quindi due mesi di tempo in più per registrare l’acquisto intra UE, si passa infatti:

  • dal giorno 15 del mese successivo a quello di ricevimento della fattura – fino al 31/12/2012
  • dal giorno 15 del terzo mese successivo a quello di effettuazione – dal 01/01/2013.

Quindi il termine entro il quale la fattura d’acquisto intra UE deve essere registrata dipende dal momento in cui sorge l’obbligo di autofatturazione: il termine ordinario (il 15 del mese successivo al ricevimento della fattura) è differito al 15 del terzo mese successivo a quello di effettuazione dell’operazione, cioè l’inizio del trasporto o spedizione dei beni dal Paese UE di partenza a quello di destinazione (nuovo art. 39 co. 1 DL 331/1993,).

ESEMPIO.

Se l’acquisto intra UE viene effettuato il 15 gennaio (data inizio del trasporto/spedizione) allora:

  • fattura ricevuta entro il 31 gennaio (mese di effettuazione dell’operazione) >>> registrazione entro il 15 febbraio e con riferimento al mese di gennaio;
  • fattura ricevuta entro il 28 febbraio (primo mese successivo a quello di effettuazione dell’operazione) >>> registrazione entro il 15 marzo e con riferimento al mese di febbraio;
  • fattura ricevuta entro il 31 marzo ( secondo mese successivo a quello di effettuazione dell’operazione) >>> registrazione entro il 15 aprile con riferimento al mese di marzo ai fini della liquidazione IVA;
  • fattura ricevuta dopo il 31 marzo, ovvero non ricevuta >>> emissione autofattura entro il 15 aprile, annotazione entro il 15 aprile con riferimento al mese di marzo.

Si precisa che la disciplina in esame sembrerebbe in contrasto con l’art. 69 Direttiva 2006/112/CE, secondo cui l’IVA relativa agli acquisti intra UE diventa esigibile al momento di emissione della fattura o alla scadenza del termine previsto per la sua emissione (giorno 15 del mese successivo all’effettuazione dell’operazione), se la fattura non è stata emessa entro tale data. Dunque, nell’esempio considerato, l’IVA relativa all’acquisto intra UE non fatturato dal cedente entro il 15 febbraio (giorno 15 del mese successivo a quello di effettuazione) dovrebbe essere in ogni caso imputata nella liquidazione di febbraio.

>>> UTILITY – AUTOFATTURA PER MANCATO RICEVIMENTO FATTURA ACQUISTO INTRA UE

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IVA: verifica online delle partite IVA

Fonte: Fisco Oggi

Data: 16/10/2012

Autore: M. Biancu

Da oggi è possibile verificare puntualmente la validità di una partita Iva e conoscere i dati identificativi del soggetto titolare mediante la nuova applicazione web ad accesso libero messa a punto dall’Agenzia.
Il servizio è stato disposto dall’articolo 35-quater del Dpr n. 633/1972 (introdotto dall’articolo 8, comma 9, lettera b), del decreto legge n. 16/2012, convertito con modificazioni dalla legge n. 44/2012), con la finalità di contrastare le frodi in materia di imposta sul valore aggiunto.

L’applicazione è disponibile nell’area Servizi online del sito delle Entrate e, una volta inserito il numero di partita Iva che si vuole controllare e premuto il pulsante “Invia”, fornisce le informazioni registrate in Anagrafe tributaria relative allo stato di attività della partita Iva inserita (attiva, sospesa o cessata), alla denominazione del soggetto o al cognome e nome della persona fisica titolare, alla data di inizio attività, alle eventuali date di sospensione e cessazione.
Per evitare un uso improprio del servizio, viene richiesto di inserire un codice di controllo “captcha” antirobot. Il codice, concepito per garantire i requisiti di sicurezza e accessibilità, può essere desunto sia dall’immagine visualizzata all’interno della pagina, sia a mezzo audio on demand.
Il nuovo servizio si aggiunge a quello già attivo di controllo delle partite Iva comunitarie (Vies) e quello per la verifica del codice fiscale.

IVA: nella frode carosello l’onere della prova ricade sul contribuente

Fonte: Fisco Oggi – sentenza Cassazione n.15741/2012

Data: 02/10/2012

Autore: S. Ungaro

Tocca al contribuente beneficiario della frode dimostrare di non aver detratto l’Iva abusivamente e di non essere stato coinvolto consapevolmente nell’operazione carosello.

In caso di interposizione fittizia, non spetta all’Agenzia delle Entrate dare prova dell’accordo simulatorio tra l’effettivo fornitore della merce, la cartiera che ha emesso le fatture e l’effettivo acquirente. L’onere probatorio grava, invece, sul contribuente acquirente, che è tenuto a dimostrare anche la sua estraneità al disegno fraudolento.
E’ quanto emerge dalla sentenza della Corte di cassazione n. 15741 del 19 settembre.

Il fatto
L’Agenzia delle Entrate aveva notificato a una società per azioni un avviso di accertamento, rettificando la dichiarazione Iva del 2000.
La contestazione riguardava la detrazione dell’imposta, ritenuta collegata a operazioni soggettivamente inesistenti e fatturate al contribuente da “cartiere” costituite al solo scopo di frodare l’Iva, interponendosi fittiziamente tra i reali fornitori esteri e le società acquirenti nazionali.
I giudici tributari, in primo e secondo grado, avevano accolto il ricorso della società perché, a loro avviso, l’ufficio, che aveva fondato la propria pretesa tributaria sulla prospettazione di un’interposizione fittizia, non era riuscito a dare prova dell’accordo simulatorio tra reale cedente, reale cessionario e soggetto fittiziamente interposto.
In particolare, secondo i giudici, l’Amministrazione finanziaria non era stata in grado di provare la frode né poteva ritenersi sufficiente a dimostrare il coinvolgimento del ricorrente in un disegno fraudolento il solo intrattenimento di rapporti con un fornitore abituale evasore.

La pronuncia della Corte di cassazione
La Corte suprema, accogliendo il ricorso dell’Agenzia delle Entrate, ha invece annullato, con la sentenza n. 15741 del 19 settembre, la pronuncia di appello.
Ai giudici di merito è stato contestato un errore di fondo ovvero l’aver ignorato l’elaborazione giurisprudenziale tributaria in materia di elusione, la quale è basata non sulla simulazione ma sull’abuso di strumenti giuridici formali in assenza della concreta sostanza economica a essi corrispondente al fine di utilizzarne gli effetti per eludere l’imposizione.
Nel caso della frode carosello, come ha precisato la Cassazione, il passaggio intermedio non corrisponde a un’effettiva intermediazione commerciale, ma alla finalità di far apparire acquirente e quindi cessionario un evasore per potersi successivamente avvantaggiare del non pagamento dell’Iva da parte sua.

La distinzione fra fatture soggettivamente inesistenti e frodi carosello
Al riguardo, la Suprema corte ha fornito un’interessante distinzione tra fatture per operazioni soggettivamente inesistenti e frodi carosello, soffermandosi sulla ripartizione dell’onere probatorio tra Fisco e contribuente.
Nella prima ipotesi, la fornitura è stata acquisita effettivamente dal contribuente, ma è stata fornita da un soggetto diverso dal fatturante.
L’Iva che il cessionario assume di aver pagato al cedente per la transazione fittizia (e cioè per la cessione non effettuata da quel preteso cedente) non è detraibile, perchè pagata a un soggetto non legittimato alla rivalsa né obbligato al pagamento dell’imposta.
In tal caso, l’onere della prova grava sul contribuente acquirente che, per detrarre l’Iva, deve dimostrare di non essere stato a conoscenza del fatto che il fornitore effettivo non era il fatturante ma un altro (Cassazione, sentenza 8132 dell’11 aprile 2011).
Al Fisco, invece, per escludere la detraibilità dell’imposta, occorre provare, anche tramite presunzioni, che la cessione non è stata effettivamente operata dal fatturante.

Nella frode carosello, invece, il fatturante, almeno formalmente, è il fornitore effettivo, ma l’operazione si iscrive in un disegno fraudolento volto a evadere l’imposta.
L’Iva che figura pagata al cedente in via di rivalsa non è detraibile dato che a essa, con la consapevolezza o la partecipazione del cessionario, non corrisponde né un versamento all’erario né un’attività economica effettiva, in quanto il trasferimento all’intermediario formale ha il solo scopo abusivo di avvantaggiarsi della detrazione.
In questo secondo caso, deve essere il Fisco, anche mediante presunzioni, a provare gli elementi di fatto che concretizzano la frode e la partecipazione consapevole del contribuente al reato.

Conclusioni
Tuttavia, la Corte di cassazione, evidenziando che spesso le due pratiche fraudolente sono commesse contemporaneamente, ha ritenuto che, anche nell’ipotesi in cui dovrebbe essere il Fisco a dare prova del coinvolgimento dell’acquirente, grava in realtà su quest’ultimo l’onere di dimostrare “la verità dell’inverosimile”, ovvero l’interposizione fittizia fra l’effettivo fornitore della merce e le cartiere nonché la sua estraneità al disegno fraudolento.
Infatti, come ribadito dai giudici, nelle frodi carosello il meccanismo dell’operazione e gli scopi che la stessa si propone fanno presumere la piena conoscenza della frode e la consapevole partecipazione all’accordo simulatorio del beneficiario finale.
Ciò comporta, ai sensi dell’articolo 17, della direttiva 77/388/Cee/1977, che l’Iva assolta dal medesimo beneficiario nelle operazioni commerciali con la società filtro non è detraibile (articolo 19 del Dpr 633/1972), anche se tali cessioni sono state effettivamente compiute e le relative fatture, al pari dell’intera documentazione contabile, sembrano perfettamente regolari (Cassazione, sentenza 867/2010).

E’ imperativo, al riguardo, il richiamo all’articolo 17 della direttiva Cee 388/77 del 17 maggio 1977, ove si afferma il principio d’indetraibilità dell’Iva assolta in corrispondenza di comportamenti abusivi, volti cioè a conseguire il solo risultato del beneficio fiscale, senza una reale e autonoma ragione economica giustificatrice della catena di cessioni successive.
Peraltro, sia la giurisprudenza comunitaria che nazionale hanno più volte ribadito il principio generale secondo cui il contribuente non può trarre indebiti vantaggi fiscali dall’utilizzo di strumenti giuridici privi di ragioni economicamente apprezzabili e diretti unicamente a conseguire tali indebiti vantaggi (Cge C-419/02/2006; Cassazione, sentenze 10352/2006 e 30057/2008).

Quindi, non avendo la società acquirente adempiuto al proprio onere probatorio, dimostrando, in presenza di fatture soggettivamente inesistenti, di non aver partecipato all’accordo simulatorio,la Corte di cassazione ha accolto il ricorso dell’Amministrazione finanziaria e ha negato al contribuente la detrazione dell’Iva relativa agli acquisti allo stesso fatturati dalle società cartiere.

INTRASTAT: ravvedimento operoso e regolarizzazione

La disciplina sulle sanzioni concernenti i modelli INTRASTAT è come sempre abbastanza incomprensibile (in linea questo con la maggior parte delle norme fiscali italiane).

Si tenterà quindi di fare un po’ di chiarezza.

I casi in cui si incorre in sanzione con riguardo all’INTRASTAT sono:

  • l’omessa presentazione,
  • la presentazione inesatta o irregolare,

che vengono punite con una sanzione piena da € 516 a € 1.032.

Queste due casistiche possono essere sanate come segue.

OMESSA PRESENTAZIONE

Si possono avere questi casi:

  • sanzione ridotta del 50% (da € 516 a € 258) se il contribuente invia l’INTRASTAT entro i 30 giorni successivi alla richiesta inviata dagli uffici, oppure se il contribuente si ravvede di propria iniziativa (CM 23/E/1999);
  • ravvedimento operoso  con sanzione ridotta a 64,5 (1/8 di € 516), a meno che non siano iniziati accessi o verifiche. Il ravvedimento deve essere fatto entro il termine di presentazione della dichiarazione IVA relativa all’anno in cui è stata commessa la violazione, versando le sanzioni ridotte e presentando l’INTRASTAT;
  • semplice invio tardivo del modello, e allora in tal caso le sanzioni dovrebbero d’ufficio essere applicate in maniera ridotta (cosa che non avverrebbe se il contribuente non inviasse nulla e gli uffici non lo invitassero a regolarizzare);
  • sanzione piena se il contribuente non invia nulla e gli uffici non invitano a regolarizzare.

In ogni caso è possibile la definizione agevolata ex art. 16 co.4 D.Lgs 472/1997 a 1/3 delle sanzioni, che va operata sull’importo irrogato.

Il codice tributo da utilizzare è 8911 (altre violazioni tributarie).

PRESENTAZIONE IRREGOLARE O INESATTA

Si possono avere questi casi:

  • la sanzione non si applica se il contribuente, su invito degli uffici o di sua iniziativa, invia il modello in maniera corretta;
  • non ha senso fare il ravvedimento operoso (sono € 64 contro € 0); se il contribuente, anche anni dopo la scadenza del termine per l’invio del modello INTRASTAT, sana la violazione, non può mai esserci nessuna sanzione;

In ogni caso è possibile la definizione agevolata a 1/3 delle sanzioni irrogate quando arriverà l’atto di contestazione delle stesse, nel caso in cui il contribuente non sana la violazione e gli uffici non invitano alla regolarizzazione (non sembra che si possa rinvenire un obbligo in tal senso per gli uffici).

CUMULO GIURIDICO DELLE SANZIONI

Se il contribuente abbia omesso o inviato tardivamente più elenchi INTRASTAT, o abbia inviato più elenchi errati o irregolari, può applicare il cumulo giuridico delle sanzioni ex art. 12 co.1 DLgs. 472/1997, con applicazione della sanzione prevista per la violazione più grave maggiorata dal 25% al 200%.

VEDI ANCHE:

>>> INTRASTAT: Sanzioni per tardiva presentazione: RM 20/E/2005 del 07/03/2011;

>>> INTRASTAT: Sanzioni del 28/07/2010