Cessioni prodotti energetici: nuova territorialità IVA dal 17 marzo

Fonte: Eutekne.info

Autore: L. Cacciapaglia e F. D’alfonso

Data: 29/02/2012

La disciplina IVA relativa alle transazioni transfrontaliere di gas, energia elettrica, calore e freddo presenta delle particolarità intrinseche legate alla specifica natura dei beni interessati. Tali beni, infatti, sono assimilati, a norma dell’art. 15, paragrafo 1, della Direttiva n. 2006/112/CE, a beni materiali. L’individuazione del luogo d’imposizione relativo a tali operazioni non può essere tuttavia determinato attraverso il criterio generale previsto per le cessioni di beni, basato sul luogo in cui questi ultimi si trovano fisicamente. Ciò in quanto per l’energia elettrica, il gas, il calore, il freddo e simili risulta impossibile stabilire un nesso fra la transazione e il flusso materiale dei beni, poiché questi sono fisicamente difficili da rintracciare. Pertanto, in relazione alla fornitura di tali beni sono stati individuati criteri appositi, in grado di evitare casi di doppia imposizione o di non imposizione nonché di garantire la neutralità fiscale. Tali criteri impositivi si applicavano sino ad oggi soltanto alle cessioni di energia elettrica e a talune cessioni di gas.

A seguito della Direttiva n. 2009/162/UE del 22 dicembre 2009, in vigore a partire dal 15 gennaio 2010, tali criteri impositivi sono stati estesi alle cessioni di gas effettuate mediante ogni sistema del gas naturale situato nel territorio della Comunità od ogni rete connessa ad un siffatto sistema, nonché alle cessioni di calore e di freddo. Le modifiche introdotte sono state recentemente recepite nell’ordinamento nazionale con la legge Comunitaria 2010 (L. 217/2011, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 1 del 2 gennaio 2012) e si applicheranno alle operazioni effettuate a partire dal 17 marzo 2012.

Relativamente alle operazioni in questione i criteri di territorialità sono i seguenti:
– forniture destinate alla rivendita (dal produttore al distributore): Paese in cui l’acquirente ha la sede della propria attività economica o possiede uno stabilimento fisso al quale i prodotti energetici vengono erogati ovvero, in mancanza di tale sede o stabile organizzazione, luogo del suo domicilio o della sua residenza abituale;
– forniture destinate al consumatore finale: luogo in cui l’acquirente usa e consuma effettivamente i beni, coincidente con il luogo in cui gli stessi sono misurati mediante contatori o, allorché la totalità o parte dei beni non sia di fatto consumata dall’acquirente, criterio di cui al numero precedente.

Conseguentemente, sono rilevanti ai fini IVA in Italia le seguenti operazioni:
– acquisti da parte di soggetti passivi-rivenditori stabiliti nel territorio dello Stato, intesi come soggetti passivi la cui principale attività è rappresentata dalla rivendita di gas, di energia elettrica, di calore o di freddo e che realizzano un consumo trascurabile di tali beni (art. 7-bis, co. 3, lettera a), DPR 633/1972);
– acquisti da parte di soggetti non rivenditori che usano e consumano tali beni in Italia (art. 7-bis, comma 3, lettera b), primo periodo, del Decreto IVA), per i quali, in sostanza, il luogo di tassazione viene a coincidere con quello in cui è situato il contatore;
– acquisti da parte di soggetti non rivenditori, compresi anche coloro che non agiscono nell’esercizio di impresa, arte o professioni, stabiliti nel territorio dello Stato, che non usano né consumano in Italia, in tutto o in parte, i prodotti energetici acquistati (art. 7-bis, comma 3, lettera b), secondo periodo, del DPR 633/1972).

Al fine di individuare la qualità di “soggetto passivo-rivenditore” del cessionario, è sufficiente esaminare il comportamento tenuto dallo stesso in occasione dei singoli acquisti dei beni, senza dover prendere in considerazione il complesso delle attività svolte dal soggetto interessato. Conseguentemente, possono essere soggetti-rivenditori non solo i clienti-grossisti, ma anche coloro che acquistano una singola partita al fine di rivenderla. Secondo l’Agenzia delle Entrate, inoltre, la qualità di soggetto-rivenditore non viene meno allorché una parte dei beni acquistati venga utilizzata dallo stesso soggetto nell’ambito della propria attività economica al fine di sopperire a propri bisogni immediati, sempre che, tuttavia, tale uso e consumo sia di trascurabile entità (CM n. 54/2004).

Per le cessioni effettuate da soggetti non residenti nei confronti di soggetti passivi nazionali è prevista l’applicazione, a norma dell’art. 17, comma 2, del DPR 633/1972, del sistema del “reverse charge“ mediante il meccanismo dell’autofatturazione. Per le operazioni che hanno come destinatari privati consumatori ubicati in Italia, il fornitore estero è, invece, tenuto ad identificarsi in Italia a norma dell’art. 35-ter del DPR 633/1972 o a nominare un rappresentante fiscale in Italia al fine di assolvere l’IVA relativa alla cessione, emettendo la relativa fattura con IVA italiana.
Inoltre, i soggetti passivi nazionali che acquistano (o cedono) da (a) soggetti UE sono tenuti a presentare, obbligatoriamente con cadenza mensile, i modelli Intrastat compilandone la sola parte statistica. Ciò sebbene, in base a quanto detto in premessa, tali operazioni non configurano né un acquisto di bene intracomunitario né una cessione di bene intraUE.

Per gli stessi motivi, l’importazione di tali beni non è soggetta ad imposta in dogana (art. 68, comma 1, lettera g-bis), del Decreto IVA), anche se l’operazione di acquisto è comunque soggetta al rispetto degli obblighi procedurali doganali. Analogo discorso per le cessioni effettuate da soggetti nazionali nei confronti di acquirenti extracomunitari, le quali richiedono l’espletamento delle relative operazioni doganali. Tali ultime operazioni sono considerate a tutti gli effetti cessioni all’esportazione ai sensi dell’art. 8 del DPR 633/1972, per cui consentono di portare in detrazione l’IVA sugli acquisti relativa assolta a monte in via di rivalsa (CM n. 54/2004).

Legge Comunitaria 2010: 5) Operazioni non imponibili art.72 – accordi internazionali

OPERAZIONI NON IMPONIBILI EX ART.72 DPR 633/1972 (in vigore dal 17/03/2012)

La Legge Comunitaria 2010 (L.217/2011) ha modificato l’art. 72 DPR 633/1972, nel modo seguente:

Ai fini IVA sono non imponibili ed equiparate alle cessioni ex artt. 8, 8-bis –  le cessioni di beni e ex art. 9 DPR 633/1972 – le prestazioni di servizi eseguite nei confronti:

  • delle sedi e dei rappresentanti diplomatici e consolari appartenenti a Stati che in via di reciprocità riconoscono analoghi benefici alle sedi e ai rappresentanti diplomatici e consolari italiani;
  • dei comandi militari degli Stati membri, dei quartieri generali militari internazionali e degli organismi sussidiari;
  • dell’UE, della CEEA (Comunità europea dell’energia atomica), della BCE, della BEI (Banca europea per gli investimenti) e degli organismi istituiti dall’UE;
  • dell’ONU e delle sue istituzioni specializzate nell’esercizio delle proprie funzioni istituzionali;
  • dell’Istituto universitario europeo e della Scuola europea di Varese nell’esercizio delle proprie funzioni istituzionali;
  • degli organismi internazionali riconosciuti diversi da quelli di cui alla lett. c), e i membri di tali organismi.

Con tale articolo si rendono applicabili le disposizioni relative alle agevolazioni IVA previste da trattati e accordi internazionali

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>>>> 4) Legge Comunitaria 2010: Importazioni

Legge Comunitaria 2010: 1) prestazioni di servizi – momento di effettuazione e integrazione

MOMENTO DI EFFETTUAZIONE (in vigore dal 17 marzo 2012).

La Legge Comunitaria 2010 (L.217/2011)  ha introdotto una deroga al principio generale (solo italiano) secondo cui le prestazioni di servizi si considerano effettuate al momento del pagamento del corrispettivo.

Ex nuovo art. 6, co.6 DPR 633/1972 le prestazioni di servizi generici ex art. 7-ter DPR 633/1972 (quindi non le prestazioni ex art.7 quater e quinquies DPR 633/1972) rese/ricevute con soggetti passivi non stabiliti in Italia:

  • si considerano effettuate al momento di ultimazione delle prestazioni (SOLO se antecedente, alla data di pagamento del corrispettivo);
  • se hanno carattere periodico o continuativo, si considerano effettuate alla data di maturazione dei corrispettivi (SOLO se antecedente, alla data di pagamento del corrispettivo);
  • se rese in modo continuativo, con durata ultrannuale e senza pagamenti parziali nello stesso periodo, si considerano effettuate al 31/12 di ciascun anno solare, finché non concluse (in tal caso la base imponibile è costituita dalle spese sostenute dal prestatore per l’esecuzione dei servizi – v. CM 37/E/2011).

La finalità principale della norma è quella di sincronizzare le operazioni intra UE, in modo che sia il fornitore sia l’acquirente inviino gli INTRASTAT per lo stesso periodo d’imposta, quindi per queste prestazioni di servizi l’emissione anticipata della fattura rispetto alla data di ultimazione della prestazione o del pagamento del corrispettivo sarà irrilevante.

Nulla cambia invece per prestazioni ex artt. 7-quater e 7-quinquies, DPR 633/1972, operazioni con altri soggetti passivi italiani o con privati consumatori non residenti, che continueranno a essere disciplinate ex art. 6, co. 3 e 4, DPR 633/1972 (data di pagamento del corrispettivo o, se antecedente, data di emissione della fattura).

INTEGRAZIONE OBBLIGATORIA (in vigore dal 17 marzo 2012).

La Legge Comunitaria 2010 (L.217/2011) ha aggiunto un periodo all’art. 17, co.2 DPR 633/1972, prevedendo che:

  • se il committente italiano riceve una prestazione di servizi generici da un soggetto UE, deve integrare la fattura ricevuta e non può più scegliere tra emissione dell’autofattura o integrazione (v. CM 12/E/2010);
  • la registrazione nel registro delle fatture emesse (art. 23) o corrispettivi (art. 24) e la registrazione nel registro degli acquisti (art. 25) deve avvenire entro il mese di ricevimento della stessa o anche successivamente, comunque entro 15 giorni dal ricevimento, e con riferimento al relativo mese.

Quindi nel caso di prestazioni generiche rese a un committente nazionale da un soggetto passivo stabilito in un altro paese UE, l’IVA deve essere assolta dall’operatore nazionale come per gli acquisti intra UE (artt. 46 e 47 DL 331/1993), cioè integrando la fattura.

Si precisa che invece l’IVA continuerà ad essere assolta mediante emissione di autofattura alla data del pagamento del corrispettivo nei seguenti casi:

  • prestazioni ex art. 7-ter DPR 633/1972 ricevute da soggetti passivi extra UE;
  • prestazioni ex artt. 7-quater e quinquies DPR 633/1972 ricevute da soggetti passivi UE/extra UE;

Infine si ritiene che il committente italiano sia tenuto a regolarizzare l’operazione (ex art.46 co.5 DL 331/1993) nei seguenti casi:

  • in caso di mancato ricevimento della fattura per servizi generici emessa dal prestatore UE entro il mese successivo a quello di effettuazione dell’operazione (mese di ultimazione del servizio o, se antecedente, di pagamento), il committente sarà tenuto ad emettere, entro il mese successivo, autofattura in unico esemplare con indicazione del numero di identificazione attribuito al prestatore dallo Stato UE di appartenenza;
  • in caso di ricevimento di fattura con corrispettivo inferiore a quello reale, il committente italiano dovrà emettere entro  15 giorni successivi alla registrazione della fattura originaria, autofattura integrativa.

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Corte UE: la messa a disposizione di personale autonomo paga l’IVA

Fonte: Sentenza Corte di Giustizia UE del 26.01.2012 procedimento C-218/10 – su Fisco Oggi.it

Data: 27 gennaio 2012

Autore: A. De Angelis

La domanda di pronuncia pregiudiziale è stata sollevata in merito alla interpretazione di alcune disposizioni della sesta direttiva del Consiglio 17 maggio 1977, 77/388/CEE in materia di IVA. Nello specifico gli articoli interessati sono il n. 9 e i nn. 17 e 18.

I fatti della causa principale
Una società di diritto tedesco, nell’esercizio della sua attività, nella annualità del 2005, metteva a disposizione conducenti autonomi a società di trasporti nazionali ma anche extranazionali,  per la precisione, stabilite nel territorio italiano. Proprio a queste ultime società di trasporto italiane venivano presentate fatture prive dell’applicazione dell’Iva. Al riguardo, l’Amministrazione finanziaria tedesca, contestando la qualificazione di attività rientranti nella nozione di messa a disposizione di personale, rivendicava l’assoggettamento all’imposta,  delle prestazioni in oggetto, in Germania in quanto imputabili alla società di diritto tedesco tenuta alla fatturazione. Per contro, l’ufficio rimborsi IVA, ritenendo che le prestazioni controverse avessero natura di “messa a disposizione di personale” negava la concessione del rimborso dell’IVA versata dalle imprese italiane in quanto le prestazioni stesse sarebbero state imponibili in Italia. Per chiarire la controversa vicenda veniva sottoposta la vicenda al giudice del rinvio. Quest’ultimo, nel sospendere il procedimento e chiedere una pronuncia della Corte europea, è mosso dal dubbio sulla sussistenza di un  nesso  tra il debito IVA delle società di erogazione del servizio e il diritto al rimorso per l’IVA assolta a  monte a favore del soggetto destinatario.

Le questioni pregiudiziali
La controversa vicenda riguarda l‘individuazione del luogo di fornitura della prestazione di servizi ai fini della corretta applicazione del meccanismo di riscossione dell’imposta sul valore aggiunto.
Con la prima questione pregiudiziale si chiede sostanzialmente, in riferimento all’articolo 9, paragrafo 2, lettera e) la giusta interpretazione della richiamata nozione di “messa a disposizione di personale”. In altre parole, occorre stabilire se nella suddetta definizione si possa ricomprendere non soltanto il personale con contratto di lavoro dipendente, ma anche il personale autonomo privo di rapporto di dipendenza con il datore di lavoro. Appurato questo, la seconda questione riguarda stabilire la sussistenza o meno di un obbligo, per gli Stati membri, di emanare norme procedurali interne per garantire che l’IVA sulle prestazioni di servizi sia riscossa correttamente al riparo da problematiche derivanti dalla peculiarità dei sistemi tributari dei diversi Paesi comunitari.

La disamina della Corte
In primis i giudici europei sottolineano, nell’affrontare la prima questione, come dal testo dell’articolo 9, paragrafo 2, lettera e) non è possibile evincere se i lavoratori autonomi possano essere considerati nel novero del personale messo a disposizione. Tuttavia, restando sulla lettura della disposizione, non si può affermare che la stessa disposizione non si applichi al lavoro autonomo. A una analisi più approfondita del testo dell’articolo 9, paragrafo 2, lettera e), si evince che la stessa disposizione contiene regole volte alla determinazione del luogo di collegamento fiscale delle prestazioni di servizi. Alla luce di costante giurisprudenza della Corte, le disposizioni hanno la finalità di armonizzare le diverse discipline dei Paesi membri in virtù del principio del divieto delle doppie imposizioni. Con questa chiave di lettura, ossia il contrasto alla doppia imposizione, il termine “personale” di cui alla norma in esame non può che essere interpretato nel senso di ricomprendere anche i lavoratori autonomi. È opinione dei togati europei che questa  interpretazione sia suffragata da un altro importante principio, cioè quello della certezza del diritto. Alla stregua di questa argomentazione, ne deriva una più agevole determinazione del luogo di effettuazione dell’operazione per la corretta determinazione dell’imposta sul valore aggiunto. Nell’affrontare la seconda questione i giudici ricordano che la sesta direttiva Iva non sancisce per gli Stati membri alcun obbligo alla adozione di misure come quelle richiamate nella questione pregiudiziale. Pertanto, in assenza di una disciplina dell’Unione, è l’ordinamento giuridico nazionale che deve provvedere alla regolamentazione. In assenza di una disposizione a carattere nazionale, il diritto del prestatore di servizi e quello dei destinatari risulterebbero compromessi contravvenendo al principio di equità. Questo non sembra condivisibile nel caso di specie, dove i soggetti interessati possono non soltanto farsi valere nei confronti dell’Amministrazione, ma anche percorrendo la strada del giudizio. Dagli atti esaminati i giudici hanno appurato che la normativa nazionale, di cui alla causa principale, non è di ostacolo al buon funzionamento della cooperazione giudiziaria.

Il verdetto dei giudici europei
A conclusione della disamina dei fatti di cui al procedimento C-218/10, i giudici della prima sezione della Corte di giustizia Ue si sono espressi affermando che, nel concetto di “messa a disposizione di personale”, come richiamato nelle disposizioni della sesta direttiva Iva, si deve ricomprendere anche la messa a disposizione di personale autonomo. Quanto alla seconda questione pregiudiziale, infine, i togati europei si sono espressi affermando la sussistenza di un obbligo che, come riflesso delle disposizioni comunitarie, preveda l’adozione da parte degli Stati membri di misure volte a garantire la puntuale riscossione dell’iva in virtù del principio di neutralità fiscale.