INTRA UE: esportatori abituali, nuovo obbligo di fatturazione non incide sullo status

Nel decreto Salva infrazioni, di adeguamento delle norme nazionali alle disposizioni UE  (Direttiva n. 2010/45/UE), vi sono alcune importanti modifiche relative alle norme IVA (vai all’articolo) : tra queste disposizioni si evidenzia in particolare l’obbligo di emissione della fattura per le operazioni non territoriali.

L’obbligo di fatturazione delle operazioni attive è in generale connesso al fatto che una operazione sia rilevante ai fini IVA (imponibile, non imponibile, esente); vi sono però alcune deroghe, ex art. 21, co.6 DPR 633/1972: già dal 2012, c’è l’obbligo di fatturazione per le prestazioni di servizi non territoriali ex art. 7-ter DPR 633/1972 rese a soggetti passivi stabiliti nel territorio di altro Stato membro UE (obbligo funzionale alla compilazione degli Intrastat).

Dal 1° gennaio 2013 l’obbligo di fatturazione sarà esteso, tra le altre, alle operazioni non territorialmente rilevanti in Italia ex artt. da 7 a 7-septies DPR 633/1972, con le seguenti annotazioni:

  • inversione contabile”, per segnalare che l’IVA deve essere assolta a destino, per le cessioni di beni e prestazioni di servizi, diverse da quelle esenti ex art. 10, nn. da 1) a 4) e 9) DPR 633/1972, effettuate nei confronti di un soggetto passivo stabilito in altro Stato UE;
  • operazione non soggetta” se invece le operazioni si considerano effettuate fuori UE, per segnalare che l’operazione non rileva ai fini IVA.

Dato che tali operazioni diventano soggette a fatturazione e registrazione, tutte le operazioni non territoriali partecipano alla formazione del volume d’affari del contribuente; questa grandezza è molto importante perchè regola:

  • l’utilizzo delle liquidazioni IVA trimestrali;
  • l’accesso a regimi agevolati (es. IVA per cassa che ha come limite un volume d’affari di 2 milioni di euro),
  • la possibilità, per i soggetti che operano con l’estero, di acquistare senza applicazione dell’IVA, ex art. 8, co. 1, lett. c) DPR 633/1972, inviando lettera d’intento ai fornitori, entro un determinato plafond.

Quest’ultima possibilità evita agli operatori di finire sempre in credito IVA a causa dei ritardi con il quale detto credito può essere chiesto a rimborso. Si può accedere a questa agevolazione, ex art. 1 DL 746/1983, se si realizzano operazioni nei confronti dell’estero (es. cessioni intra UE, esportazioni, ecc.) per un importo superiore al 10% del volume d’affari realizzato nell’anno precedente.

La modifica a partire dal 2013, in mancanza di altre disposizioni, con l’ampliamento delle operazioni ricadenti nel volume d’affari avrebbe reso molto più difficile il raggiungimento dello status di esportatore abituale (aumenta il denominatore, rimane inalterato il numeratore del rapporto); dal momento che invece si tratta di operazioni per le quali non viene computato il plafond di acquisti con esclusione da IVA, poichè per la realizzazione di tale rapporto sono escluse le operazioni non territoriali di cui sopra.

In altre parole, malgrado esse vadano fatturate e concorrano al volume d’affari, comunque non rilevano ai fini del calcolo dello status di esportatore abituale, nonché del calcolo del plafond.

EXPORT: rileva il comportamento concludente per esportatori abituali

Fonte: Eutekne.info

Autore: S. Cerato e M.Bana

Data: 20/04/2011

Per la Cassazione, l’omessa compilazione del quadro VC non incide sul regime di esonero dall’imposta

La mancata segnalazione dell’opzione per il regime del plafond non legittima la contestazione, da parte dell’Agenzia delle Entrate, di acquisti in esenzione IVA oltre il limite spettante, in violazione dell’art. 8, co.1, lett. c), DPR 633/1972.

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 9028/2011, ritiene irrilevante l’omessa compilazione del quadro VC della dichiarazione IVA – e, quindi, l’indicazione dell’esercizio della facoltà dell’acquisto senza l’applicazione dell’imposta – destinato ad accogliere il riepilogo, suddiviso per mese, delle operazioni attive generatrici del plafond dell’esportatore abituale e di quelle passive effettuate in virtù di tale proprio status. In particolare, i giudici tributari hanno accolto le ragioni del contribuente, secondo cui le opzioni riguardanti il regime dell’IVA possono essere altresì manifestate mediante comportamenti concludenti, coerenti e adeguatamente uniformati alla tenuta della contabilità obbligatoria: al ricorrere di tale ipotesi, deve, infatti, ritenersi prospettabile, ad avviso dei supremi giudici tributari, una mera violazione formale.

Fondamento di tale orientamento, in primo luogo, l’art. 1, co.1, DPR 442/1997, per effetto del quale l’opzione e la revoca dei regimi di determinazione dell’imposta si desumono dai comportamenti concludenti del contribuente, ovvero dalle modalità di tenuta delle scritture contabili. La disposizione stabilisce, inoltre, che la validità dell’opzione, e della relativa revoca, è subordinata esclusivamente alla propria concreta attuazione sin dall’inizio dell’anno o dell’attività: tale principio ha trovato applicazione nel consolidato e costante pronunciamento della giurisprudenza di legittimità (Cass. n.11170/2006; n. 2810/2005; n. 10599/2003; n. 9885/2002).

Conseguentemente, l’omessa compilazione del quadro VC non determina l’inefficacia del regime di esonero dall’applicazione dell’imposta, bensì la mera irrogazione delle sanzioni previste in caso di omessa oppure irregolare comunicazione, purché il contribuente:

  • goda effettivamente dello status di esportatore abituale, ovvero soddisfi i requisiti ex art. 1, co.1, lett. a), [download id=”0″], avendo effettuato – nell’anno solare precedente (c.d. plafond fisso), oppure negli ultimi dodici mesi (c.d. plafond mobile) – un ammontare di esportazioni, o altre operazioni rilevanti con l’estero, superiore al 10% del volume d’affari;
  • abbia predisposto e inviato al proprio fornitore, prima dell’effettuazione dell’operazione, la dichiarazione d’intento, in duplice esemplare, su modello conforme a quello approvato con il DM 6 dicembre 1986, al fine di attestare, sotto la propria responsabilità, la qualifica di cui al punto precedente, e richiedere la non applicazione dell’IVA, ex art. 8, co.1, lett. c), DPR 633/1972.

La Cassazione ha, invece, disatteso il secondo motivo del ricorso del contribuente, riguardante la ripresa a tassazione di costi ritenuti privi del requisito dell’inerenza (art. 109 DPR n. 917/1986), ritenendolo inammissibile, a causa della propria natura, incompatibile con l’ottemperanza alle prescrizioni di cui all’art. 366-bis del codice di procedura civile. La decisione conferma, quindi, l’orientamento della precedente sentenza n. 3519/2008: i quesiti di diritto – dovendo assolvere la funzione di integrare il punto di congiunzione tra la risoluzione del caso specifico e l’enunciazione del principio giuridico generale – non possono essere meramente generici e teorici, ma devono essere calati nella fattispecie concreta, al fine di consentire alla Corte di comprendere, sulla base della sola lettura, il presunto errore compiuto dal giudice e la regola applicabile