Acquisti da Repubblica San Marino

Fonte: Eutekne.info

Autore: L. Cacciapaglia e F. D’Alfonso

Data: 23/08/2011

La disciplina IVA degli acquisti da San Marino prevede numerose particolarità che derogano ai criteri generali. In queste s’innestano le peculiarità degli acquisti effettuati dagli enti non commerciali. Va premesso che la Repubblica di San Marino non costituisce uno Stato membro della UE né fa parte del “territorio della Comunità”, come definito dall’art. 7, comma 1, lett. b), del DPR n. 633/1972.

Per gli acquisti di servizi, si applicheranno le regole generali in materia di individuazione del luogo di imposizione, salvo specifiche deroghe (es. servizi su immobili) per cui:

  • saranno rilevanti territorialmente in Italia le prestazioni rese nei confronti di soggetti passivi IVA stabiliti in Italia (art. 7-ter, co. 1, lett. a) DPR 633/1972);
  • saranno fuori dal campo di applicazione le prestazioni rese a privati nazionali. Peraltro, non devono considerarsi soggetti passivi coloro che ricevono servizi destinati esclusivamente ad un uso privato, compreso quello da parte dei loro dipendenti (art. 19 del regolamento del Consiglio UE n. 282/2011). Tale principio, dunque, oltre che per le persone fisiche esercenti attività d’impresa, arti o professioni (art. 7-ter, comma 2, lett. a) del Decreto IVA), la natura dell’acquisto dei quali è oggetto di valutazione da parte del prestatore del servizio, vale anche con riferimento alle persone giuridiche che si trovano nelle predette condizioni previste dal citato reg. UE (CM 37/E/2011).

Per soggetti passivi devono intendersi anche gli enti, le associazioni e le altre organizzazioni ex art. 4, co.4 del Decreto IVA, cioè: gli enti non commercialiche svolgono attività commerciale; gli enti, le associazioni e le altre organizzazioni che non svolgono attività commerciale, ma che sono identificati ai fini IVA (art. 7-ter, comma 2, lett. b) e c) del Decreto IVA).
In particolare, rientrano tra questi ultimi soggetti:

  • coloro che hanno effettuato nell’anno precedente, ovvero effettuino nell’anno in corso, acquisti intracomunitari di beni al di sopra della soglia di 10.000 euro fissata dall’art. 38, comma 5, lett. c) del DL n. 331/1993 o che hanno optato per l’imposizione nel nostro Paese;
  • gli operatori che hanno eseguito, entro gli stessi termini, acquisti presso operatori di San Marino superiori alla soglia di 8.263,31 euro, nonché i soggetti che, pur non avendo superato tali soglie, abbiano optato per l’imposizione in Italia. In linea generale, si ricorda che in caso di acquisto di beni e servizi effettuato nei confronti di soggetti non residenti (quindi, anche sammarinesi) in virtù di operazioni rilevanti territorialmente in Italia, tutti gli obblighi IVA dovranno essere adempiuti dal committente nazionale attraverso il sistema del c.d. “reverse charge” (art. 17, secondo comma del DPR n. 633/1972), mediante autofattura e duplice annotazione, sul registro vendite e su quello acquisti, di tale documento. Se il servizio è acquistato da privati nazionali, si applicheranno, invece, le imposte locali del Paese del prestatore del servizio.

Per quanto concerne gli acquisti di beni, anche se San Marino costituisce uno Stato extra-UE, non si applica la disciplina prevista per le importazioni, ma sono previste due particolari procedure, alternative:

  • con addebito d’imposta da parte del fornitore di San Marino;
  • senza indicazione dell’IVA da parte di quest’ultimo.

Nel primo caso (cfr. circolare dell’Agenzia delle Entrate n. 158/2000), il cedente sammarinese emette fattura in quattro copie indicando: il proprio numero di identificazione; la partita IVA dell’acquirente; l’ammontare dell’IVA dovuta dal cessionario italiano.
Tali fatture devono poi essere presentate all’Ufficio tributario sammarinese congiuntamente ad un elenco riepilogativo in quattro copie e previo versamento dell’imposta. Successivamente, il fornitore sammarinese trasmette al soggetto IVA italiano l’originale della fattura restituita dall’ufficio, perforata con datario e timbrata con impronta secco. L’operatore nazionale annoterà la fattura ricevuta nel registro IVA acquisti e potrà portare in detrazione l’imposta secondo i criteri generali.
Secondo l’altra procedura, l’operatore sammarinese emetterà fattura in tre esemplari, riportando sulla stessa il proprio codice identificativo e la partita IVA del cessionario italiano e presenterà detti documenti, accompagnati da un elenco riepilogativo in tre copie, all’Ufficio tributario sammarinese, il quale apporrà sugli stessi un timbro a secco, restituendo al cedente sammarinese due esemplari delle fatture (cfr. DM 24 dicembre 1993). Un esemplare delle fatture vistate sarà, poi, inviato dall’operatore sammarinese all’acquirente italiano, il quale adempierà agli obblighi IVA a norma dell’art. 17, comma 2 del DPR 633/1972 (autofatturazione). Il soggetto nazionale dovrà, inoltre, avere cura di comunicare al locale Ufficio dell’Agenzia delle Entrate (non è previsto, tuttavia, un preciso limite temporale) l’annotazione delle predette operazioni sui registri IVA.

Particolarità per gli acquisti effettuati dagli enti non commerciali

Particolarità vigono per gli acquisti di beni e/o di servizi realizzati da enti non commerciali, soggetti passivi o non soggetti passivi, ma comunque identificati ai fini IVA in Italia. In caso di acquisti effettuati in relazione allo svolgimento di attività istituzionali e per i quali l’imposta è stata applicata ai sensi dell’art. 17, secondo comma del DPR n. 633/1972 (reverse charge), gli obblighi di registrazione, dichiarazione e versamento dell’imposta dovranno essere, infatti, adempiuti da questi ultimi secondo le disposizioni di cui agli artt. 47, comma 3 e 49 del DL n. 331/1993 (articolo 30-bis del DPR n. 633/1972). Pertanto, detti enti non commerciali dovranno annotare l’autofattura emessa in unapposito registro tenuto e conservato a norma dell’art. 39 del Decreto IVA (in tale registro dovranno essere annotate anche le fatture IVA emesse dall’operatore sammarinese secondo l’altra procedura), nonché versare cumulativamente, entro ciascun mese, l’imposta relativa a tutti gli acquisti registrati nel mese precedente tramite modello F24. Allo stesso tempo, tali soggetti sono tenuti ad inviare telematicamente all’Agenzia delle Entrate una dichiarazione (c.d. “modello INTRA12”), nella quale devono essere riportati gli acquisti registrati nel mese precedente, l’importo relativo all’IVA dovuta, nonché gli estremi del versamento effettuato dal dichiarante.

Inoltre, i citati enti non commerciali non soggetti passivi dovranno adempiere agli obblighi IVA secondo le modalità indicate esclusivamente nelle ipotesi in cui l’ammontare degli acquisti effettuati nella Repubblica di San Marino abbia superato nell’anno precedente ovvero superi nell’anno in corso il limite di 8.263,31 euro o laddove, pur non avendo superato tale soglia, gli stessi abbiano optato per l’imposizione in Italia; in caso contrario, l’imposta sarà assolta nella Repubblica di San Marino, poiché il fornitore sammarinese addebiterà l’Iva locale con la propria fattura. Ad ogni modo, a prescindere dalla procedura adottata, per l’acquisto di servizi da fornitori sammarinesi non è previsto alcun obbligo ai fini INTRASTAT. Gli acquisti realizzati dai soggetti privati saranno assoggettate ad imposta nella Repubblica di San Marino, salvo che si tratti di acquisti (a titolo oneroso) di mezzi di trasporto nuovi o di beni ceduti in base a cataloghi, per corrispondenza e simili, con invio a carico del cedente, in caso di superamento della soglia di 35.000 euro o di opzione da parte del cedente per il pagamento del tributo in Italia.

Infine, rientrando San Marino tra i Paesi a fiscalità privilegiata di cui al DM 4 maggio 1999 e al DM 21 novembre 2001, i soggetti IVA nazionali sono tenuti a comunicare all’Agenzia delle Entrate tutte le cessioni di beni e le prestazioni di servizi effettuate e ricevute, registrate o soggette a registrazione che coinvolgono gli operatori economici aventi sede, residenza o domicilio in tale Stato. Devono essere comunicate anche le prestazioni di servizi rese/ricevute prive del requisito della territorialità (DM 5 agosto 2010). Tuttavia, non occorre indicare nel modello UNICO l’ammontare degli acquisti ai fini della deducibilità dei relativi costi e spese, poiché San Marino non è presente nella lista di Paesi di cui al DM 23 gennaio 2002.

Plafond IVA: per le violazioni conta l’anno di illegittimo utilizzo

La Cassazione, con sentenza n. 12774 del 10/06/2011, ha affermato che le contestazioni riguardanti il plafond IVA non si riferiscono all’anno di formazione, ma a quello successivo di utilizzo del medesimo: quindi, in caso di insussistenza o superamento del plafond disponibile il termine di decadenza di quattro anni per l’accertamento decorre dall’anno in cui il plafond è stato utilizzato per acquisti senza IVA.

Il plafond è generato dalle operazioni con l’estero, con due metodi alternativi:

  • metodo solare, in cui si fa riferimento alle operazioni registrate nell’anno precedente; in tal caso il relativo utilizzo si verifica sempre nell’anno successivo a quello di creazione;
  • metodo mensile, in cui si fa riferimento alle operazioni registrate nei dodici mesi precedenti.

Il caso dibattuto si riferisce a una triangolazione in esportazione: tale operazione genera plafond sia per il primo cedente (italiano – IT1, per il quale sarà un plafond libero), sia per il promotore (anch’esso italiano – IT2, per il quale sarà un plafond in parte libero e in parte vincolato). Se, quindi, ad uno o entrambi gli operatori viene contestato il regime di non imponibilità applicato in sede di fatturazione, ad es. perché non è stata provata l’uscita dei beni fuori della UE, l’effetto è duplice: il bene ceduto si presume immesso in consumo nel territorio italiano (con il conseguente recupero dell’IVA e l’applicazione della relativa sanzione) e la cessione non assume rilevanza sia per la determinazione dello status di esportatore abituale, sia per la formazione del plafond.

Mentre il recupero dell’IVA sulla cessione (interna o all’esportazione) si riferisce all’anno di fatturazione ex art. 8, co. 1, lett. a), DPR 633/1972, la violazione consistente nell’acquisto senza applicazione dell’IVA ex art. 8, co. 1, lett. c) si nell’anno successivo: per quest’ultima infrazione, quindi, il termine di decadenza dell’accertamento da parte dell’Agenzia delle Entrate decorre dall’anno in cui l’operatore, avvalendosi illegittimamente della qualifica di esportatore abituale, ha acquistato beni senza IVA.

Si sottolinea inoltre un punto che desta perplessità della sentenza, in cui si afferma quanto segue: la non imponibilità delle operazioni effettuate nei confronti degli esportatori abituali presuppone che l’operazione sia, oggettivamente, destinata all’esportazione richiamando una precedente sentenza (n. 16819/2008) dove si afferma che il mancato trasporto/spedizione dei beni in territorio extra UE preclude il beneficio.

Si ritiene invece che l’agevolazione concessa all’esportatore abituale sia svincolata dalla destinazione dei beni acquistati; per le cessioni non imponibili ex art. 8, co.1, lett. c), DPR 633/1972, non è dunque prevista la prova dell’uscita “materiale” dei beni dalla UE e, inoltre, la dichiarazione che l’esportatore abituale invia al proprio fornitore non attesta l’intento di esportare i beni acquistati, bensì la volontà di avvalersi del beneficio di acquistare senza IVA grazie allo status posseduto.

L’Agenzia delle Entrate ha confermato questa conclusione sia prima che dopo le modifiche apportate dalla [download id=”6663″]:

  • prima, era sufficiente la “potenziale possibilità di esportazione”, tant’è che “a differenza di quanto stabilito per gli acquisti di beni destinati ad essere esportati nello stato originario, nella specie non è prevista un’ipotesi di violazione delle disposizioni regolanti il tributo, ove i beni stessi abbiano destinazione diversa dall’invio all’estero” ([download id=”6665″]);
  • dopo, l’agevolazione è subordinata esclusivamente alla qualifica di esportatore abituale dell’acquirente italiano, essendo venuta definitivamente meno la rilevanza dell’intento di esportare i beni fuori della Comunità ([download id=”6661″]).

INTRASTAT: Scadenzario 2011 e Decreto Sviluppo

Gli elenchi INTRASTAT vanno presentati in via telematica con le seguenti scadenze: entro il giorno 25 del mese successivo al periodo (mese/trimestre) di riferimento, attraverso in alternativa:

  • Servizio telematico doganale;
  • Servizi telematici dell’Agenzia delle Entrate (Entratel o Fisconline).

Con CM 60/D/1999, l’Agenzia delle Dogane ha specificato che per gli Uffici doganali la giornata di sabato è lavorativa, quindi se la scadenza di presentazione INTRASTAT cade di sabato i contribuenti non possono beneficiare del differimento generalizzato dei termini al lunedì successivo.

Parte della dottrina ha sostenuto che tale limitazione interessi anche gli elenchi INTRASTAT trasmessi attraverso i Servizi telematici dell’Agenzia delle Entrate in quanto gli stessi fungono semplicemente da canali di trasmissione, mentre il destinatario finale delle dichiarazioni rimane comunque l’Agenzia delle Dogane.

L’art. 7, c. 2, lett. l), DL 110/2011 (c.d. “Decreto Sviluppo”), risolve finalmente tale problematica stabilendo che i versamenti e gli adempimenti, anche se effettuabili con modalità esclusivamente telematica, previsti da norme riguardanti l’Amministrazione economico – finanziaria che scadono il sabato o in un giorno festivo sono sempre prorogati al primo giorno lavorativo successivo.

Pertanto, dal 14 maggio 2011 (data di entrata in vigore del DL), se il termine di presentazione degli elenchi INTRASTAT cade di sabato, lo stesso è automaticamente prorogato al primo giorno lavorativo successivo a prescindere dal canale telematico utilizzato (Agenzia delle Entrate o Agenzia delle Dogane).

Si forniscono degli esempi in calce allo scadenzario per comprendere le variazioni di periodicità

Scadenzario Intrastat 2015

>>>> Scarica lo scadenzario INTRASTAT 2011


IVA UE: no ad IVA ridotta per importazione animali vivi

Fonte: Fisco Oggi – sentenza Corte UE del 12 maggio 2011, proc. C-543/09

Autore: A. De Angelis

Data: 17/05/2011

È la conclusione a cui sono pervenuti i giudici comunitari su una questione che coinvolge la normativa tedesca

Il quadro giuridico comunitario è costituito dalla direttiva 2006/112 in materia di IVA e precisamente gli articoli 96, 97 e 98 in combinato disposto con l’allegato III. Gli articoli 96 e 97 contengono disposizioni che determinano l’aliquota ordinaria da applicare ai singoli scambi di beni e servizi. Il successivo articolo 98, invece, tratta la possibilità, per gli Stati membri, di applicare aliquote ridotte per quei beni e servizi enumerati nell’allegato III, “Elenco delle forniture di beni e servizi assoggettabili ad aliquote ridotte”: al punto 1) prevede proprio l’applicabilità di aliquote ridotte alla cessione di animali vivi a fini alimentari. La normativa nazionale (tedesca) è costituita sostanzialmente dalla legge sull’imposta sul fatturato il cui articolo 12 stabilisce l’aliquota IVA ordinaria da applicare alle operazioni imponibili. Il secondo comma del medesimo articolo 12 tratta il caso di una riduzione al 7% dell’aliquota ordinaria. L’allegato II contiene l’elenco delle merci soggette ad aliquota IVA ridotta tra cui troviamo nella categoria animali vivi proprio i cavalli. Anche nella circolare del 5 agosto 2004 del ministero delle Finanze tedesco trova un riscontro l’applicazione di un aliquota ridotta sulle transazioni di animali vivi tra cui i cavalli.

Causa principale e questione pregiudiziale
Il procedimento adito dalla Commissione europea (articolo 226 CE) riguarda l’interpretazione della normativa comunitaria in materia di IVA, precisamente la Direttiva 112/2006, ad opera della repubblica federale tedesca, in virtù della quale applicare una aliquota ridotta alla cessione all’importazione di animali vivi. Ciò anche laddove l’importazione riguardi animali il cui scopo di commercializzazione è disgiunto dalla trasformazione alimentare. Questione che si pone per taluni animali quali appunto i cavalli. Pertanto, con lettera del 17 ottobre 2007 la Commissione europea chiedeva alla repubblica federale tedesca di presentare le sue osservazioni sulla questione interpretativa. A tal proposito la Germania faceva notare come l’applicazione di un aliquota Iva ridotta deve considerarsi giustificata sulla base del principio di neutralità fiscale, in quanto l’agevolazione contestata consente un pari trattamento tributario alla cessione di animali vivi a prescindere dallo scopo del loro utilizzo. Con parere motivato del 27 novembre 2008 la Commissione non riteneva tale tesi giustificativa appropriata visto e considerato che è opportuno mantenere talune distinzioni, come nel caso di specie, in quanto il principio di neutralità fiscale non ne risulta compromesso. Ecco che allora, con detto parere motivato, la Commissione chiedeva alla Germania di adeguarsi e di applicare una aliquota Iva ordinaria. Nella convinzione della fondatezza della propria linea interpretativa, la repubblica federale tedesca non si uniformava alle richieste della Commissione europea costringendo quest’ultima a rivolgersi ai giudici della Corte di giustizia europea. In altri termini, la questione pregiudiziale, sollevata dalla Commissione, è volta ad appurare se, ai fini dell’applicazione di una aliquota ordinaria o ridotta in materia di imposta sul valore aggiunto, rilevi la destinazione per fini alimentari o non degli animali vivi importati.

Le osservazioni delle parti
Secondo l’orientamento della Commissione europea la normativa tedesca, nell’applicare l’aliquota Iva ridotta, nella questione di cui alla causa principale viola gli articoli 96 e 98 della Direttiva 2006/112. Questo in quanto l’aliquota ridotta costituisce un regime in deroga al regime ordinario e, in quanto tale, laddove la casistica non sia sufficientemente comprensiva in maniera tale da richiedere una interpretazione, detta interpretazione non può che essere restrittiva. Tale considerazione, aggiunge la Commissione, è suffragata anche da una analisi della normativa svolta nelle diverse versioni linguistiche che sembrano dare rilevanza alla destinazione alimentare della cessione all’importazione dell’animale vivo. Inoltre si sottolinea come assume rilevanza quella che è la destinazione normale degli animali vivi importati e che, perciò, non ha alcun valore il fatto che quella alimentare sia pur sempre una destinazione potenziale. Per contro, la Germania ritiene che un siffatto ricorso debba considerarsi irricevibile e che, nella versione linguistica tedesca, non vi è alcun riferimento alla destinazione alimentare c.d. normale nella cessione di animali vivi. Inoltre, occorre aggiungere che nella versione tedesca i cavalli sono animali la cui cessione ha quale finalità naturale quella alimentare ovvero agricola. Quanto alla destinazione alimentare, dunque, questa è sempre possibile e anche se l’animale nel suo ciclo di vita, prima di essere macellato, viene utilizzato in altro modo. Non di meno conto è il fatto che l’interpretazione fornita dalla Commissione costruirebbe una violazione del principio della certezza del diritto in quanto occorrerebbe di volta in volta andare a valutare caso per caso la destinazione degli animali vivi, applicando o meno l’aliquota ridotta, non potendo determinare la destinazione a priori. Infine, possiamo dire che nella sostanza sia la repubblica francese che i Paesi Bassi sostengono le argomentazioni e la posizione della repubblica federale tedesca.

Argomentazioni della Corte
Secondo i giudici europei per risolvere il dubbio interpretativo occorre partire dalla corretta interpretazione della norma comunitaria. Ecco che, laddove il legislatore comunitario utilizza l’avverbio “normalmente”, intende asserire a tutti quegli animali che generalmente sono destinati alla macellazione e, quindi, a entrare nella catena alimentare. Ma nella causa principale si tratta della particolare razza equina che dalla lettura interpretativa che precede non sembra proprio rientrare nella normale destinazione alimentare. Inoltre i togati europei ribadiscono come la riduzione di aliquota Iva costituisca una deroga a un principio generale e in quanto tale andrebbe interpretato restrittivamente. Di conseguenza se si lasciasse passare l’applicazione della riduzione di aliquota anche a una specie animale non normalmente destinata alla catena alimentare, significherebbe rendere valida una interpretazione estensiva della deroga. Quanto alla lesione del principio di neutralità fiscale dalla mancata estensione della riduzione, i giudici europei sottolineano come il trattamento differente di beni o servizi in concorrenza tra loro costituisce un carattere insito dell’imposta sul valore aggiunto.

La pronuncia degli eurogiudici
A conclusione dell’iter processuale, i giudici della settima sezione della Corte di giustizia europea si sono pronunciati accogliendo il ricorso presentato dalla Commissione europea. Pertanto, hanno ritenuto prevalente la linea interpretativa secondo cui non su tutte le importazioni di animali vivi, in particolare di cavalli, può essere applicata una ridotta aliquota IVA. Presupposto dell’agevolazione fiscale, infatti, è la destinazione ad uso alimentare degli animali vivi. Cosa che non può essere a priori in considerazione del fatto che i cavalli vengono importati anche per usi diversi da quello alimentare. Pertanto, l’interpretazione giuridica fatta da Germania, Francia e Paesi Bassi non trova conferma nella pronuncia dei togati europei.