Corte UE: regime IVA ordinario sul servizio di semplice trasporto

Fonte: Fisco Oggi

Data: 13/04/2012

Autore: A. De Angelis

Oggetto di intervento da parte dei giudici comunitari, il regime speciale riconosciuto dalla direttiva Iva alle agenzie di viaggio ma non applicabile al caso in questione

La domanda di pronuncia pregiudiziale prende le mosse dal ricorso presentato da una società di trasporto di persone contro un avviso di accertamento relativo all’indebita detrazione Iva sui servizi di trasporto passeggeri. L’Amministrazione finanziaria cecoslovacca contestava alla società ricorrente l’applicazione, ai propri servizi di trasporto, del regime speciale IVA riservato, dalla direttiva Iva, alle agenzie di viaggio. Alla stregua di quanto previsto dall’articolo 104, paragrafo 3, primo comma del regolamento di procedura, la decisione della Corte è stata pronunziata con ordinanza in quanto chiaramente desumibile dalla giurisprudenza della Corte.

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Il procedimento principale
La società ricorrente svolge un’attività di trasporto persone nell’ambito del territorio della Repubblica ceca e nel territorio comunitario. Tale attività viene svolta attraverso pullman propri o tramite subfornitori nella forma di autonome società di trasporto assoggettate al regime dell’Iva. Quanto alla clientela, è composta da agenzie di viaggio. Nel fatturare il servizio di trasporto, svolto con l’ausilio delle società subfornitrici, la società ricorrente include l’Iva e provvede a inoltrare una richiesta di rimborso dell’eccedenza, rispetto a quella versata, come disposto nella normativa Iva. Nel corso degli anni si sono verificate eccedenze di imposta piuttosto ingenti che la società ricorrente ha provveduto a detrarre. Ma l’ufficio delle Finanze di Praga ha contestato tali ingenti detrazioni ritenendo che  la società fornisse prestazioni di viaggio da assoggettare al regime speciale Iva. A tale proposito veniva emesso un avviso di accertamento contro cui era proposto ricorso.  Un ricorso respinto anche dal Tribunale municipale di Praga e che induceva la società ricorrente a presentarlo per cassazione. Il giudice nazionale, nutrendo dubbi sulla corretta interpretazione sull’articolo 306 della direttiva Iva che prevede un regime speciale per le agenzie di viaggio, decideva di sospendere il procedimento per sollevare la questione alla Corte di Giustizia comunitaria.
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La questione pregiudiziale
La vera questione affrontata dalla Corte, seppure nel testo sia stata posta un’altra questione ritenuta ininfluente ai fini della pronuncia finale, mira a stabilire se una società di trasporto, come quella di cui alla causa principale, ovvero che offra servizi di trasporto tramite pullman alle agenzie di viaggio senza fornire altri servizi, rientri nel regime speciale Iva che l’articolo 306 della direttiva Iva riserva alle agenzie di viaggio.
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Sulla questione pregiudiziale
A parere della Corte, la presente questione pregiudiziale può essere risolta con una ordinanza motivata, in luogo di una sentenza, in quanto alla fattispecie principale si può applicare la giurisprudenza relativa alla nozione di agenzia di viaggio. Ecco quindi come il regime speciale richiamato, ai fini Iva, ex articolo 26 della sesta direttiva Iva è quello che si applica alle agenzie di viaggio nonché agli organizzatori di tour turistici. Secondo passata giurisprudenza della Corte stessa, il riferimento è alle sentenze Van Ginkel, la fattispecie che vede le agenzie di viaggio fornire soltanto ed esclusivamente alloggi per vacanza non inficia l’applicazione del regime speciale Iva per le stesse agenzie. Seguendo un’altra considerazione dei giudici della sesta sezione della Corte europea, inoltre, le ragioni sottese al regime speciale Iva esulano dalla qualifica del soggetto quale agenzia di viaggio. In altri termini i giudici sottolineano che a rilevare è la tipologia di servizio prestato, che deve essere analogo a quello erogato dalle agenzie di viaggio, a prescindere dalla qualificazione soggettiva dell’operatore. Come già affermato nella già richiamata sentenza Van Ginkel, però, l’applicazione del regime speciale richiede che l’operatore esegua, oltre al semplice trasporto, anche altri servizi aggiuntivi, seppur di carattere accessorio alla prestazione principale. Quanto alla società ricorrente che svolge esclusivamente attività di trasporto, senza offrire alcun servizio aggiuntivo, non rientra nelle condizioni richieste per usufruire del regime Iva speciale previsto dall’articolo 306 della sesta direttiva Iva.
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L’ordinanza
Alla luce delle argomentazioni dei giudici della Corte di Strasburgo e, in considerazione della precedente giurisprudenza pertinente, previo parere dell’avvocato generale, la Corte, considerata anche la richiesta di rinvio operata dal giudice nazionale, ha risolto la questione pregiudiziale con un ordinanza motivata. Una società di trasporto, che non fornisca servizi ulteriori rispetto a quello di trasporto passeggeri, non svolge un’attività per la quale si applica il regime speciale Iva. Tale regime, infatti, è previsto per le sole agenzie di viaggio come disposto dall’articolo 306 della direttiva 2006/112/CE del Consiglio, del 28 novembre 2006.

IVA: diritto alla detrazione a prescindere dal versamento

Fonte: Fisco Oggi

Data: 02/04/2012

Autore: A. De Angelis

Il caso, che è stato oggetto di rinvio pregiudiziale, riguarda l’interpretazione della sesta direttiva comunitaria, la 388 del 1977, con riferimento all’articolo 17

La società ricorrente, negli anni dal 1992 al 1995, importava biciclette dichiarando come provenienza il Vietnam. L’Amministrazione doganale francese, invece, considerava la merce di origine cinese con conseguente applicazione di dazi doganali e dazi antidumping a loro volta soggetti a Iva. Il mancato versamento dell’Iva comportava il sorgere di un credito a favore dell’Amministrazione finanziaria francese. Credito Iva, però, non ritenuto valido dal giudice fallimentare, in quanto il credito  era stato insinuato a titolo definitivo oltre i termini stabiliti dalla legge. Ecco che allora la società ricorrente proponeva domanda di rimborso del credito Iva di cui essa si riteneva titolare in considerazione del rialzo dell’Iva all’importazione sui diritti elusi.

La posizione dell’Amministrazione finanziaria
L’Amministrazione respingeva la  richiesta argomentando che la detraibilità Iva all’importazione è subordinata al suo effettivo previo versamento. La società ricorrente, considerato il rigetto nel giudizio in primo grado, faceva ricorso in cassazione dinanzi al Consiglio di Stato sostenendo come l’esercizio a detrazione subordinato a un effettivo previo pagamento dell’imposta, come previsto dal codice generale delle imposte francese, sia incompatibile con l’articolo 17, paragrafo 2, lettera b), della sesta direttiva Iva. Il Consiglio di Stato decideva pertanto di sospendere il procedimento e adire i giudici comunitari..
I contenuti della questione pregiudiziale
Il dubbio interpretativo sollevato riguarda la corretta interpretazione dell’art. 17, paragrafo 2, lettera b), della sesta direttiva Iva. In altri termini, si tratta di stabilire la conformità, alla suddetta disposizione, di una normativa nazionale che prevede di subordinare l’esercizio del diritto a detrazione dell’Iva all’importazione, all’effettivo versamento dell’imposta, dal soggetto passivo quando tale soggetto sia allo stesso tempo il titolare del diritto a detrazione.
L’analisi della normativa comunitaria
Dalla lettura dell’art. 17, si evince come ogni soggetto passivo è autorizzato a detrarre l’Iva per i beni importati nel territorio dello Stato. I soggetti passivi, pertanto, possono detrarre l’Iva per i beni di loro proprietà o che saranno ceduti. Quindi, la detrazione è prevista sia per l’imposta già versata ma anche per quella da versare in futuro.  Dal combinato disposto dell’articolo 17, con l’art. 10 della sesta direttiva deriva che il diritto a detrazione Iva sia indipendente dall’avvenuto pagamento del corrispettivo versato per i beni importati. Di conseguenza il diritto a detrazione dell’Iva all’importazione non può essere subordinato all’effettivo pagamento dell’Iva. A tale conclusione si perviene richiamando anche l’articolo 18 della sesta direttiva rubricato “Modalità di esercizio del diritto a deduzione”, per il quale il diritto a detrazione non viene subordinato affatto all’effettivo previo pagamento dell’imposta all’importazione. Tale interpretazione, si conforma ai principi della sesta direttiva Iva secondo cui il diritto a detrazione non può essere limitato in quanto parte integrante del più complesso meccanismo dell’imposta sul valore aggiunto. Questo è vero, a maggior ragione, tanto più se si fa riferimento al principio della neutralità fiscale che il ricordato sistema comune dell’Iva è finalizzato a garantire. Diversamente, consentire la detrazione soltanto previo effettivo pagamento significherebbe far gravare sul soggetto passivo, seppur temporaneamente, l’onere dell’imposizione economica che il meccanismo della detrazione è invece finalizzato a non consentire. Quanto al pericolo di frode o evasione fiscale, il rischio è scongiurato in quanto il soggetto che si avvale della detrazione è tenuto a dimostrare la sussistenza dei presupposti del diritto a detrazione.
La conclusione degli eurogiudici
A conclusione della disamina della questione pregiudiziale i giudici comunitari ritengono che una normativa nazionale, come quella di cui alla causa principale, non è compatibile con le disposizioni della sesta direttiva Iva e, in particolare, con l’articolo 17, paragrafo 2, lettera b). Pertanto, il diritto a detrazione dell’Iva può essere esercitato a prescindere dell’effettivo versamento dell’imposta dovuta da parte del titolare del diritto a detrazione. Come precisato nel testo stesso della sentenza, l’imposta dovuta si riferisce a un debito esigibile e che obbliga quindi il soggetto passivo al versamento dell’Iva detraibile quale imposta assolta a monte.
Fonte: sentenza Corte UE del 29.03.2012 procedimento C-414/10

Corte UE: sul diritto a detrazione l’immediatezza d’uso non conta

Fonte: Fisco Oggi

Data: 27/03/2012

Autore: M. Maiorino

La domanda di pronuncia pregiudiziale, oggetto di intervento dei giudici comunitari nella recente pronunzia, verte sull’interpretazione della direttiva 112/2006.
Secondo l’articolo 168, lettera a) della direttiva 2006/112/CE del 28 novembre 2006, “nella misura in cui i beni e i servizi sono impiegati ai fini di sue operazioni soggette ad imposta, il soggetto passivo ha il diritto, nello Stato membro  in cui effettua tali operazioni, di detrarre dall’importo dell’imposta di cui è debitore, gli importi seguenti  “l’Iva dovuta o assolta in tale Stato membro per i beni che gli sono o gli saranno ceduti e per i servizi che gli sono o saranno resi da un altro soggetto passivo”.
L’oggetto della controversia
La domanda è stata presentata nell’ambito di una controversia pendente tra una società che gestisce un hotel in una stazione balneare e l’Amministrazione finanziaria bulgara in ordine a un avviso di accertamento in rettifica con cui è stato negato alla società il diritto alla detrazione dell’imposta versata per l’acquisto di un appartamento. L’ immobile è destinato a uso abitativo e la società non ha provveduto a modificare la destinazione dell’immobile. Ciò ha indotto l’Amministrazione finanziaria  a ritenere che tale immobile non fosse utilizzato per l’esercizio dell’attività di impresa e pertanto non potesse beneficiare del diritto alla detrazione dell’imposta assolta per il suo acquisto.
Le questioni pregiudiziali
L’autorità giurisdizionale adita ha sospeso il procedimento sottoponendo alla Corte di Giustizia le seguenti questioni pregiudiziali:
  • se l’articolo 168, lettera a) della direttiva debba essere interpretato nel senso che dopo che il soggetto passivo ha esercitato il proprio diritto di scelta e ha inserito un immobilenel patrimonio dell’impresa, che rappresenta un bene di investimento,  si deve presumere che sia utilizzato ai fini delle operazioni imponibili effettuate dal soggetto passivo;
  • se l’articolo 168, lettera a) della direttiva debba essere interpretato nel senso che il diritto alla detrazione in occasione dell’acquisto di un immobile destinato al patrocinio dell’impresa di un soggetto passivo sorge immediatamente nel periodo fiscale in cui l’imposta è divenuta esigibile, e ciò a prescindere dalla circostanza che l’immobile non possa essere utilizzato a causa della mancanza del certificato di agibilità previsto per legge;
  • se sia compatibile con la direttiva e con la giurisprudenza una interpretazione di prassi secondo cui il diritto alla detrazione fatto valere da soggetti passivi Iva per beni di investimento da essi acquistati può essere negato sulla base del fatto che tali beni sono utilizzati dai titolari delle società per fini privati senza che a tale uso venga applicata l’Iva.
Le valutazioni della Corte
La Corte esamina congiuntamente le questioni, pervenendo alle seguenti conclusioni. Nel caso di una operazione consistente nell’acquisto di un bene di investimento destinato in parte all’uso privato e in parte all’uso professionale, il soggetto passivo può decidere di destinare integralmente il bene al patrimonio dell’impresa. In via generale, l’Iva dovuta a  monte sull’acquisto di tale bene è integralmente detraibile. Ciò premesso, qualora un bene di investimento destinato all’impresa abbia consentito una detrazione integrale o parziale dell’Iva versata  a monte, il suo impiego per le esigenze private del soggetto passivo o del suo personale o per finalità estranee all’impresa è equiparato ad un prestazione di servizi a titolo oneroso ai sensi dell’articolo 26 della direttiva Iva.
Se la detrazione dell’Iva dovuta  a monte fosse negata al soggetto passivo per i successivi utilizzi professionali imponibili, nonostante l’iniziale intento di destinare integralmente il bene di investimento alla sua impresa, in vista di operazioni future, il soggetto passivo non risulterebbe interamente esonerato dall’imposta inerente al bene utilizzato ai fini della propria attività economica e la tassazione delle sue attività professionali provocherebbe una doppia imposizione che risulterebbe in contrasto con il principio della neutralità fiscale che caratterizza il sistema comune dell’Iva.
Spese d’investimento e attività economiche
In ossequio al predetto principio, si richiede che le spese d’investimento effettuate ai fini e in vista di un’impresa siano considerate come attività economiche che conferiscono l’immediato diritto alla detrazione dell’Iva dovuta a monte. Pertanto, un privato che acquisti beni ai fini di una attività economica (articolo 9 della direttiva Iva), agisce in qualità di soggetto passivo, anche laddove i beni non siano immediatamente impiegati per detta attività economica.
Tuttavia, nelle ipotesi fraudolente o abusive in cui il soggetto passivo abbia finto di voler svolgere un’attività economica specifica, cercando in  realtà di fare entrare nel suo patrimonio privato beni che possono essere oggetto di una detrazione, l’Amministrazione finanziaria può chiedere, con effetto retroattivo, il rimborso delle somme detratte, posto che tali detrazioni sono state concesse sulla base di false dichiarazioni.
Le conclusioni
Secondo gli eurogiudici l’articolo 168, lettera a) della direttiva deve essere interpretato nel senso che un soggetto passivo che, agendo in quanto tale, abbia acquistato un bene di investimento e lo abbia destinato al patrimonio dell’impresa, ha il diritto di detrarre l’Iva che grava sull’acquisto di tale bene nel corso del periodo fiscale durante il quale l’imposta è divenuta esigibile, indipendentemente dal fatto che detto bene non sia immediatamente utilizzato a fini professionali. Spetterà al giudice nazionale stabilire se il soggetto passivo abbia acquistato il bene di investimento ai fini della sua attività economica e quindi valutare se del caso l’esistenza di una pratica fraudolenta.

Corte UE: la messa a disposizione di personale autonomo paga l’IVA

Fonte: Sentenza Corte di Giustizia UE del 26.01.2012 procedimento C-218/10 – su Fisco Oggi.it

Data: 27 gennaio 2012

Autore: A. De Angelis

La domanda di pronuncia pregiudiziale è stata sollevata in merito alla interpretazione di alcune disposizioni della sesta direttiva del Consiglio 17 maggio 1977, 77/388/CEE in materia di IVA. Nello specifico gli articoli interessati sono il n. 9 e i nn. 17 e 18.

I fatti della causa principale
Una società di diritto tedesco, nell’esercizio della sua attività, nella annualità del 2005, metteva a disposizione conducenti autonomi a società di trasporti nazionali ma anche extranazionali,  per la precisione, stabilite nel territorio italiano. Proprio a queste ultime società di trasporto italiane venivano presentate fatture prive dell’applicazione dell’Iva. Al riguardo, l’Amministrazione finanziaria tedesca, contestando la qualificazione di attività rientranti nella nozione di messa a disposizione di personale, rivendicava l’assoggettamento all’imposta,  delle prestazioni in oggetto, in Germania in quanto imputabili alla società di diritto tedesco tenuta alla fatturazione. Per contro, l’ufficio rimborsi IVA, ritenendo che le prestazioni controverse avessero natura di “messa a disposizione di personale” negava la concessione del rimborso dell’IVA versata dalle imprese italiane in quanto le prestazioni stesse sarebbero state imponibili in Italia. Per chiarire la controversa vicenda veniva sottoposta la vicenda al giudice del rinvio. Quest’ultimo, nel sospendere il procedimento e chiedere una pronuncia della Corte europea, è mosso dal dubbio sulla sussistenza di un  nesso  tra il debito IVA delle società di erogazione del servizio e il diritto al rimorso per l’IVA assolta a  monte a favore del soggetto destinatario.

Le questioni pregiudiziali
La controversa vicenda riguarda l‘individuazione del luogo di fornitura della prestazione di servizi ai fini della corretta applicazione del meccanismo di riscossione dell’imposta sul valore aggiunto.
Con la prima questione pregiudiziale si chiede sostanzialmente, in riferimento all’articolo 9, paragrafo 2, lettera e) la giusta interpretazione della richiamata nozione di “messa a disposizione di personale”. In altre parole, occorre stabilire se nella suddetta definizione si possa ricomprendere non soltanto il personale con contratto di lavoro dipendente, ma anche il personale autonomo privo di rapporto di dipendenza con il datore di lavoro. Appurato questo, la seconda questione riguarda stabilire la sussistenza o meno di un obbligo, per gli Stati membri, di emanare norme procedurali interne per garantire che l’IVA sulle prestazioni di servizi sia riscossa correttamente al riparo da problematiche derivanti dalla peculiarità dei sistemi tributari dei diversi Paesi comunitari.

La disamina della Corte
In primis i giudici europei sottolineano, nell’affrontare la prima questione, come dal testo dell’articolo 9, paragrafo 2, lettera e) non è possibile evincere se i lavoratori autonomi possano essere considerati nel novero del personale messo a disposizione. Tuttavia, restando sulla lettura della disposizione, non si può affermare che la stessa disposizione non si applichi al lavoro autonomo. A una analisi più approfondita del testo dell’articolo 9, paragrafo 2, lettera e), si evince che la stessa disposizione contiene regole volte alla determinazione del luogo di collegamento fiscale delle prestazioni di servizi. Alla luce di costante giurisprudenza della Corte, le disposizioni hanno la finalità di armonizzare le diverse discipline dei Paesi membri in virtù del principio del divieto delle doppie imposizioni. Con questa chiave di lettura, ossia il contrasto alla doppia imposizione, il termine “personale” di cui alla norma in esame non può che essere interpretato nel senso di ricomprendere anche i lavoratori autonomi. È opinione dei togati europei che questa  interpretazione sia suffragata da un altro importante principio, cioè quello della certezza del diritto. Alla stregua di questa argomentazione, ne deriva una più agevole determinazione del luogo di effettuazione dell’operazione per la corretta determinazione dell’imposta sul valore aggiunto. Nell’affrontare la seconda questione i giudici ricordano che la sesta direttiva Iva non sancisce per gli Stati membri alcun obbligo alla adozione di misure come quelle richiamate nella questione pregiudiziale. Pertanto, in assenza di una disciplina dell’Unione, è l’ordinamento giuridico nazionale che deve provvedere alla regolamentazione. In assenza di una disposizione a carattere nazionale, il diritto del prestatore di servizi e quello dei destinatari risulterebbero compromessi contravvenendo al principio di equità. Questo non sembra condivisibile nel caso di specie, dove i soggetti interessati possono non soltanto farsi valere nei confronti dell’Amministrazione, ma anche percorrendo la strada del giudizio. Dagli atti esaminati i giudici hanno appurato che la normativa nazionale, di cui alla causa principale, non è di ostacolo al buon funzionamento della cooperazione giudiziaria.

Il verdetto dei giudici europei
A conclusione della disamina dei fatti di cui al procedimento C-218/10, i giudici della prima sezione della Corte di giustizia Ue si sono espressi affermando che, nel concetto di “messa a disposizione di personale”, come richiamato nelle disposizioni della sesta direttiva Iva, si deve ricomprendere anche la messa a disposizione di personale autonomo. Quanto alla seconda questione pregiudiziale, infine, i togati europei si sono espressi affermando la sussistenza di un obbligo che, come riflesso delle disposizioni comunitarie, preveda l’adozione da parte degli Stati membri di misure volte a garantire la puntuale riscossione dell’iva in virtù del principio di neutralità fiscale.