CORTE UE: per l’esenzione IVA conta lo status di soggetto passivo

Fonte: Fisco Oggi – procedimento Corte UE C-587/10 

Data: 01/10/2012

Autore: A. De Angelis

Gli eurogiudici chiamati a pronunziarsi su una cessione intracomunitaria di beni tra una società holding, la controllata e il diniego di concessione del diritto

La domanda sollevata dinanzi ai giudici della Corte di giustizia dell’Unione europea riguarda una controversia sorta, nell’ambito di una cessione intracomunitaria di beni, tra una società holding e la controllata, a seguito del diniego di concessione del diritto di esenzione dell’imposta sul valore aggiunto. La motivazione di tale diniego, infine, consiste essenzialmente nel mancato possesso del numero di identificazione Iva da parte dell’acquirente.

Il procedimento principale

Nel 1998, una società controllata dalla società ricorrente, effettuava una cessione di beni a una società stabilita negli USA ma con una stabile organizzazione in Portogallo priva, però, del numero di identificazione Iva. Quest’ultima, invece, aveva subito rivenduto i beni a una società stabilita in Finlandia con regolare numero di identificazione Iva. La società ricorrente, perfezionata l’operazione, emetteva la relativa fattura senza applicazione dell’Iva ma indicando il numero di identificazione della società finlandese. L’Amministrazione tributaria tedesca, da parte sua, rivendicava l’applicazione dell’Iva sulla fattura. Veniva negato così il beneficio della esenzione da Iva di cui ci si era avvalsi nella compilazione della fattura. Il primo grado di giudizio respingeva il ricorso presentato dalla società capogruppo non riconoscendo, pertanto, il diritto di esenzione. La mancata concessione della esenzione Iva è motivata facendo un richiamo alla normativa nazionale, alla stregua della quale si subordina tale beneficio al possesso del numero di identificazione Iva. Per altro verso, sottolinea il giudice stesso, la normativa comunitaria ritiene che, in alternativa al numero identificativo Iva, è sufficiente comprovare che l’acquirente sia assoggettato alla normativa Iva. Alla luce di queste di considerazioni, il giudice del rinvio, ha deciso di sospendere il procedimento per richiedere la pronuncia dei giudici comunitari.

Le questioni pregiudiziali

Le questioni pregiudiziali sollevate dal giudice nazionale e affrontate congiuntamente dai togati europei, fanno riferimento alla applicazione dell’articolo 28, quater, punto A), lettera a), primo comma della sesta direttiva Iva. In sostanza, si tratta di stabilire se, in virtù di tale articolo, uno Stato membro può subordinare l’esenzione Iva al possesso del numero di identificazione Iva senza concederla laddove sia possibile dimostrare, da parte del fornitore, la qualifica di soggetto passivo Iva dell’acquirente a prescindere dal numero di identificazione. 

Le osservazioni dei togati europei

Il requisito di cui all’articolo 28, sottolineano i giudici, ovvero il possesso del numero identificativo Iva, non sembra essere un requisito stringente per l’assoggettabilità all’imposta sul valore aggiunto. Pertanto, la questione di cui alla causa principale riguarda stabilire il rispetto della sussistenza dello status di soggetto passivo dell’acquirente. Al riguardo, in passatola Corte ha affermato che il possesso dei requisiti formali sia una materia di competenza dei singoli Stati membri. L’articolo 22, paragrafo 8, della sesta direttiva riconosce agli Stati membri la facoltà di adottare provvedimenti per rendere più sicura la riscossione delle imposte, attenuando comportamenti fraudolenti. In tale ottica, una limitazione del diritto all’esenzione Iva sulla base di considerazioni puramente formali, e non sostanziali, non può essere consentito in quanto non sarebbe giustificabile dal fine della lotta alla frode e all’evasione dell’Iva. In considerazione del principio di equità fiscale, più volte richiamato nelle pronunce dei giudici europei, si è sempre ritenuto come il beneficio di esenzione dall’imposta possa essere concesso previa verifica del possesso dei requisiti di carattere sostanziale. Circa la fattispecie principale, infatti, è vero che il numero di identificazione Iva sia una sufficiente prova dello status di soggetto passivo Iva per gli Stati membri, ma è altresì vero che i fornitori possono comunque comprovare in altro modo la sussistenza di tale status. Ecco che allora, il numero identificativo è soltanto un elemento che facilita la verifica del possesso del requisito in oggetto.

La pronuncia della Corte

Il diritto comunitario, in particolare il richiamato articolo 28, quater, punto A), lettera a), primo comma della sesta direttiva Iva, sancisce il possesso della qualifica di soggetto passivo, comprovata dall’attribuzione di un numero identificativo, per beneficiare del regime di esenzione dall’Iva su alcune cessioni di beni. Alla luce di tale conclusione, sottolineano i giudici europei, ogni Stato membro può subordinare tale esenzione al possesso del citato numero identificativo. Pur tuttavia, tale requisito formale può essere superato laddove l’operatore economico fornisca sufficienti indicazioni atte a dimostrare che l’acquirente sia il soggetto passivo Iva. 

Corte UE: sul diritto a detrazione l’immediatezza d’uso non conta

Fonte: Fisco Oggi

Data: 27/03/2012

Autore: M. Maiorino

La domanda di pronuncia pregiudiziale, oggetto di intervento dei giudici comunitari nella recente pronunzia, verte sull’interpretazione della direttiva 112/2006.
Secondo l’articolo 168, lettera a) della direttiva 2006/112/CE del 28 novembre 2006, “nella misura in cui i beni e i servizi sono impiegati ai fini di sue operazioni soggette ad imposta, il soggetto passivo ha il diritto, nello Stato membro  in cui effettua tali operazioni, di detrarre dall’importo dell’imposta di cui è debitore, gli importi seguenti  “l’Iva dovuta o assolta in tale Stato membro per i beni che gli sono o gli saranno ceduti e per i servizi che gli sono o saranno resi da un altro soggetto passivo”.
L’oggetto della controversia
La domanda è stata presentata nell’ambito di una controversia pendente tra una società che gestisce un hotel in una stazione balneare e l’Amministrazione finanziaria bulgara in ordine a un avviso di accertamento in rettifica con cui è stato negato alla società il diritto alla detrazione dell’imposta versata per l’acquisto di un appartamento. L’ immobile è destinato a uso abitativo e la società non ha provveduto a modificare la destinazione dell’immobile. Ciò ha indotto l’Amministrazione finanziaria  a ritenere che tale immobile non fosse utilizzato per l’esercizio dell’attività di impresa e pertanto non potesse beneficiare del diritto alla detrazione dell’imposta assolta per il suo acquisto.
Le questioni pregiudiziali
L’autorità giurisdizionale adita ha sospeso il procedimento sottoponendo alla Corte di Giustizia le seguenti questioni pregiudiziali:
  • se l’articolo 168, lettera a) della direttiva debba essere interpretato nel senso che dopo che il soggetto passivo ha esercitato il proprio diritto di scelta e ha inserito un immobilenel patrimonio dell’impresa, che rappresenta un bene di investimento,  si deve presumere che sia utilizzato ai fini delle operazioni imponibili effettuate dal soggetto passivo;
  • se l’articolo 168, lettera a) della direttiva debba essere interpretato nel senso che il diritto alla detrazione in occasione dell’acquisto di un immobile destinato al patrocinio dell’impresa di un soggetto passivo sorge immediatamente nel periodo fiscale in cui l’imposta è divenuta esigibile, e ciò a prescindere dalla circostanza che l’immobile non possa essere utilizzato a causa della mancanza del certificato di agibilità previsto per legge;
  • se sia compatibile con la direttiva e con la giurisprudenza una interpretazione di prassi secondo cui il diritto alla detrazione fatto valere da soggetti passivi Iva per beni di investimento da essi acquistati può essere negato sulla base del fatto che tali beni sono utilizzati dai titolari delle società per fini privati senza che a tale uso venga applicata l’Iva.
Le valutazioni della Corte
La Corte esamina congiuntamente le questioni, pervenendo alle seguenti conclusioni. Nel caso di una operazione consistente nell’acquisto di un bene di investimento destinato in parte all’uso privato e in parte all’uso professionale, il soggetto passivo può decidere di destinare integralmente il bene al patrimonio dell’impresa. In via generale, l’Iva dovuta a  monte sull’acquisto di tale bene è integralmente detraibile. Ciò premesso, qualora un bene di investimento destinato all’impresa abbia consentito una detrazione integrale o parziale dell’Iva versata  a monte, il suo impiego per le esigenze private del soggetto passivo o del suo personale o per finalità estranee all’impresa è equiparato ad un prestazione di servizi a titolo oneroso ai sensi dell’articolo 26 della direttiva Iva.
Se la detrazione dell’Iva dovuta  a monte fosse negata al soggetto passivo per i successivi utilizzi professionali imponibili, nonostante l’iniziale intento di destinare integralmente il bene di investimento alla sua impresa, in vista di operazioni future, il soggetto passivo non risulterebbe interamente esonerato dall’imposta inerente al bene utilizzato ai fini della propria attività economica e la tassazione delle sue attività professionali provocherebbe una doppia imposizione che risulterebbe in contrasto con il principio della neutralità fiscale che caratterizza il sistema comune dell’Iva.
Spese d’investimento e attività economiche
In ossequio al predetto principio, si richiede che le spese d’investimento effettuate ai fini e in vista di un’impresa siano considerate come attività economiche che conferiscono l’immediato diritto alla detrazione dell’Iva dovuta a monte. Pertanto, un privato che acquisti beni ai fini di una attività economica (articolo 9 della direttiva Iva), agisce in qualità di soggetto passivo, anche laddove i beni non siano immediatamente impiegati per detta attività economica.
Tuttavia, nelle ipotesi fraudolente o abusive in cui il soggetto passivo abbia finto di voler svolgere un’attività economica specifica, cercando in  realtà di fare entrare nel suo patrimonio privato beni che possono essere oggetto di una detrazione, l’Amministrazione finanziaria può chiedere, con effetto retroattivo, il rimborso delle somme detratte, posto che tali detrazioni sono state concesse sulla base di false dichiarazioni.
Le conclusioni
Secondo gli eurogiudici l’articolo 168, lettera a) della direttiva deve essere interpretato nel senso che un soggetto passivo che, agendo in quanto tale, abbia acquistato un bene di investimento e lo abbia destinato al patrimonio dell’impresa, ha il diritto di detrarre l’Iva che grava sull’acquisto di tale bene nel corso del periodo fiscale durante il quale l’imposta è divenuta esigibile, indipendentemente dal fatto che detto bene non sia immediatamente utilizzato a fini professionali. Spetterà al giudice nazionale stabilire se il soggetto passivo abbia acquistato il bene di investimento ai fini della sua attività economica e quindi valutare se del caso l’esistenza di una pratica fraudolenta.

TERRITORIALITA’ SERVIZI: Riformulato il Regolamento 1777/2005

Il Consiglio Ecofin (i 27 ministri delle Finanze UE) ha approvato lo scorso 15 marzo 2011, tra l’altro, un nuovo regolamento sull’attuazione della disciplina IVA, aggiornato alle modifiche introdotte dalla riforma della territorialità dei servizi (Direttiva 2008/8/CE), entrata in vigore il 1° gennaio 2010.

Il documento riformula l’attuale Regolamento UE 1777/2005 (disposizioni di applicazione relative al sistema comune dell’IVA),  è composto da 65 articoli e 4 allegati, con cui si definiscono gli ambiti di applicazione dei primi titoli della Direttiva 2006/112/CE: le norme in questione sono in attesa di pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale UE, e saranno subito vincolanti per tutti gli Stati membri a partire dal 1° luglio 2011.

Il Consiglio ha ravvisato la necessità di emettere un nuovo regolamento (le cui disposizioni non vanno recepite dalle legislazioni dei singoli Stati, ma sono di immediata applicazione) dato che le modifiche apportate dalla Direttiva 2008/8/CE (territorialità dei servizi) in molti casi sono state liberamente interpretate dai singoli Paesi, e per evitare quindi il rischio di conclusioni discordanti e/o incompatibili con il funzionamento del mercato unico europeo.

L’entrata in vigore dei contenuti del regolamento è prevista per il 1° luglio 2011, mentre alcune norme entreranno in vigore nel 2013 e nel 2015; le interpretazioni ufficiali in materia delle singole amministrazioni finanziarie rimangono quindi vincolanti, almeno fino al prossimo luglio, anche se non è escluso che, in alcuni casi, si sia data rilevanza alle nuove interpretazioni già dallo scorso gennaio 2010 o 2011.

L’Agenzia delle Entrate, sul punto, emetterà una circolare con tutti i nuovi orientamenti UE attribuendo ad essi, inoltre, una esatta collocazione temporale.

Il Regolamento affronta principalmente i seguenti temi:

  • definisce in maniera univoca lo status del committente di una prestazione di servizi, per poter applicare senza zone d’ombra la nuova regola dei rapporti B2B;
  • fissa delle regole specifiche per individuare le qualità del committente e per verificare se questi riceve un servizio per fini professionali oppure per uso privato: l’identificazione della soggettività passiva avviene tramite l’attribuzione di un numero identificativo IVA, che deve essere comunicato ai cedenti;
  • definisce la “stabile organizzazione”, richiamandosi a due concetti chiave (art.15):
    • un sufficiente grado di permanenza della struttura nel territorio dello Stato membro,
    • la qualificazione della struttura come presenza di risorse umane e materiali.

Trovate una trattazione approfondita della materia nell’e-book dello Studio “Operazioni Internazionali 1.05″, 337 pagine aggiornato al 01/03/2011, in vendita sul sito del Commercialista Telematico.

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