CORTE UE: esenzione IVA solo per navigazione in alto mare

Fonte: Fisco Oggi

Autore: M. Verrengia

Data: 22/03/2013

Corte Ue: ok a esenzione Iva ma deve navigare “in alto mare”

Secondo i giudici comunitari il requisito non è astratto ed è vincolante in relazione a quelle operazioni inerenti mezzi che trasportano passeggeri e imbarcazioni mercantili

La Corte di giustizia ha dichiarato che la Francia è venuta meno agli obblighi su di essa incombenti, ai sensi della direttiva 2006/112/CE, relativa al sistema comune Iva, poiché non ha subordinato al requisito della navigazione “in alto mare” l’esenzione da IVA per le operazioni inerenti navi che trasportano passeggeri ed imbarcazioni mercantili.

La diffida della Commissione europea
I fatti originavano da una lettera di diffida, con cui la Commissione UE contestava alla Francia l’incompatibilità della normativa Iva francese con la direttiva UE di riferimento, in quanto prevedeva l’esenzione da IVA sulle operazioni di “consegna, riparazione, trasformazione, manutenzione, noleggio e leasing” per le seguenti tipologie di imbarcazioni:

  • navi che esercitano il commercio marittimo;
  • barche utilizzate per lo svolgimento di un’attività industriale in alto mare;
  • navi che praticano la pesca commerciale in mare e barche che praticano operazioni di assistenza e salvataggio in mare.

In particolare, l’Organo europeo contestava l’assenza del requisito della navigazione “in alto mare”, per quanto riguardava le navi mercantili e le navi che trasportano passeggeri a pagamento. Infatti, l’articolo 148 della direttiva è chiaro nell’esentare dall’applicazione dell’IVA, fra l’altro, le cessioni di beni destinati al rifornimento ed al vettovagliamento delle navi adibite alla navigazione in alto mare, riferendosi, poi, anche alle navi adibite al trasporto passeggeri ed a quelle commerciali.

Le ragioni della Francia
Lo Stato francese, dal canto suo, riteneva che la nozione di navigazione “in alto mare” fosse troppo restrittiva e, comunque, astratta.
In ogni caso, a seguito di un’ulteriore lettera di diffida, la Francia faceva presente che, a decorrere dal 10 gennaio 2011, il codice generale delle imposte francese contenesse oramai la dizione “navi commerciali adibite alla navigazione in alto mare” e che, quindi, l’eccezione avesse perso il requisito dell’attualità.
Successivamente, poiché la censura era stata, in ogni caso, disattesa da parte dello Stato francese, la Commissione riteneva di adire la Corte di giustizia.

Le motivazioni della sentenza
Gli eurogiudici censurano, conformemente alle doglianze espresse dalla Commissione europea, la legislazione Iva francese, nella versione vigente ratione temporis.
A giudizio della Corte, infatti, lo Stato francese si era reso pacificamente inadempiente rispetto alla direttiva Iva, nella misura in cui non aveva disposto che l’esenzione Iva per le cessioni inerenti navi commerciali e traghetti si applicasse soltanto in caso di navigazione “in alto mare”.
Né, in qualche misura, poteva sostenere le ragioni della Francia sulla conformità alla normativa europea la circostanza che la prassi nazionale (circolare amministrativa n. 168 del 22/10/2003 e n. 15 del 24/01/2005) richiedesse per le navi mercantili, al fine di poter beneficiare dell’esenzione, tre requisiti cumulativi: l’iscrizione su un registro ufficiale francese o straniero, la presenza a bordo di un equipaggio permanente e lo svolgimento di un “business”.
Vi erano, difatti, vari esempi, citati dalla Commissione, che avrebbero garantito l’esenzione Iva per la legge francese, in antitesi però con le indicazioni desumibili dalla normativa comunitaria.
Si trattava di ipotesi concernenti le navi commerciali che effettuano attività di cabotaggio, oppure le medesime tipologie di imbarcazioni che effettuano il trasporto di persone (le cosiddette “barche navette” che garantiscono il trasporto fra città costiere vicine), o, ancora, gli yacht che esercitano attività commerciali ma che comunque rimangono nella prossimità della costa oppure che sono utilizzati come “residenza” nelle località balneari.

Le conclusioni della Corte di giustizia
Indi, le censure avanzate dalla Commissione Europea alla legislazione Iva francese sono state accolte dai togati comunitari. Anzitutto perchè, secondo l’orientamente consolidato della Corte, le esenzioni vanno interpretate restrittivamente, nel senso previsto dalla normativa comunitaria.
Inoltre, la Francia, secondo il parere dei degli eurogiudici, non fornisce alcuna garanzia in ordine alla circostanza che le esenzioni vengano applicate in situazioni conformi a quelle previste dalla direttiva Iva.
Alla Corte di giustizia, dunque, non resta che accogliere le doglianze della Commissione europea, convergendo sugli argomenti emersi a favore della distorsione del sistema delle esenzioni Iva da parte della legislazione francese.

Fonte: sentenza Corte di Giustizia UE, 21 marzo 2013, causa C-197/2012

CORTE UE: per l’esenzione IVA conta lo status di soggetto passivo

Fonte: Fisco Oggi – procedimento Corte UE C-587/10 

Data: 01/10/2012

Autore: A. De Angelis

Gli eurogiudici chiamati a pronunziarsi su una cessione intracomunitaria di beni tra una società holding, la controllata e il diniego di concessione del diritto

La domanda sollevata dinanzi ai giudici della Corte di giustizia dell’Unione europea riguarda una controversia sorta, nell’ambito di una cessione intracomunitaria di beni, tra una società holding e la controllata, a seguito del diniego di concessione del diritto di esenzione dell’imposta sul valore aggiunto. La motivazione di tale diniego, infine, consiste essenzialmente nel mancato possesso del numero di identificazione Iva da parte dell’acquirente.

Il procedimento principale

Nel 1998, una società controllata dalla società ricorrente, effettuava una cessione di beni a una società stabilita negli USA ma con una stabile organizzazione in Portogallo priva, però, del numero di identificazione Iva. Quest’ultima, invece, aveva subito rivenduto i beni a una società stabilita in Finlandia con regolare numero di identificazione Iva. La società ricorrente, perfezionata l’operazione, emetteva la relativa fattura senza applicazione dell’Iva ma indicando il numero di identificazione della società finlandese. L’Amministrazione tributaria tedesca, da parte sua, rivendicava l’applicazione dell’Iva sulla fattura. Veniva negato così il beneficio della esenzione da Iva di cui ci si era avvalsi nella compilazione della fattura. Il primo grado di giudizio respingeva il ricorso presentato dalla società capogruppo non riconoscendo, pertanto, il diritto di esenzione. La mancata concessione della esenzione Iva è motivata facendo un richiamo alla normativa nazionale, alla stregua della quale si subordina tale beneficio al possesso del numero di identificazione Iva. Per altro verso, sottolinea il giudice stesso, la normativa comunitaria ritiene che, in alternativa al numero identificativo Iva, è sufficiente comprovare che l’acquirente sia assoggettato alla normativa Iva. Alla luce di queste di considerazioni, il giudice del rinvio, ha deciso di sospendere il procedimento per richiedere la pronuncia dei giudici comunitari.

Le questioni pregiudiziali

Le questioni pregiudiziali sollevate dal giudice nazionale e affrontate congiuntamente dai togati europei, fanno riferimento alla applicazione dell’articolo 28, quater, punto A), lettera a), primo comma della sesta direttiva Iva. In sostanza, si tratta di stabilire se, in virtù di tale articolo, uno Stato membro può subordinare l’esenzione Iva al possesso del numero di identificazione Iva senza concederla laddove sia possibile dimostrare, da parte del fornitore, la qualifica di soggetto passivo Iva dell’acquirente a prescindere dal numero di identificazione. 

Le osservazioni dei togati europei

Il requisito di cui all’articolo 28, sottolineano i giudici, ovvero il possesso del numero identificativo Iva, non sembra essere un requisito stringente per l’assoggettabilità all’imposta sul valore aggiunto. Pertanto, la questione di cui alla causa principale riguarda stabilire il rispetto della sussistenza dello status di soggetto passivo dell’acquirente. Al riguardo, in passatola Corte ha affermato che il possesso dei requisiti formali sia una materia di competenza dei singoli Stati membri. L’articolo 22, paragrafo 8, della sesta direttiva riconosce agli Stati membri la facoltà di adottare provvedimenti per rendere più sicura la riscossione delle imposte, attenuando comportamenti fraudolenti. In tale ottica, una limitazione del diritto all’esenzione Iva sulla base di considerazioni puramente formali, e non sostanziali, non può essere consentito in quanto non sarebbe giustificabile dal fine della lotta alla frode e all’evasione dell’Iva. In considerazione del principio di equità fiscale, più volte richiamato nelle pronunce dei giudici europei, si è sempre ritenuto come il beneficio di esenzione dall’imposta possa essere concesso previa verifica del possesso dei requisiti di carattere sostanziale. Circa la fattispecie principale, infatti, è vero che il numero di identificazione Iva sia una sufficiente prova dello status di soggetto passivo Iva per gli Stati membri, ma è altresì vero che i fornitori possono comunque comprovare in altro modo la sussistenza di tale status. Ecco che allora, il numero identificativo è soltanto un elemento che facilita la verifica del possesso del requisito in oggetto.

La pronuncia della Corte

Il diritto comunitario, in particolare il richiamato articolo 28, quater, punto A), lettera a), primo comma della sesta direttiva Iva, sancisce il possesso della qualifica di soggetto passivo, comprovata dall’attribuzione di un numero identificativo, per beneficiare del regime di esenzione dall’Iva su alcune cessioni di beni. Alla luce di tale conclusione, sottolineano i giudici europei, ogni Stato membro può subordinare tale esenzione al possesso del citato numero identificativo. Pur tuttavia, tale requisito formale può essere superato laddove l’operatore economico fornisca sufficienti indicazioni atte a dimostrare che l’acquirente sia il soggetto passivo Iva.