DOGANA: dal 1° luglio accordo di libero scambio UE – Corea del Sud

Fonte: www.bg.camcom.it

Data: 16/06/2011

Autore: CCIAA Bergamo

Il 1° luglio 2011 entrerà in vigore l’Accordo provvisorio sul libero commercio tra Unione Europea e Corea del Sud.
In pratica, in virtù di tale Accordo le merci di origine preferenziale comunitaria – come già avviene per gli scambi con gli altri Paesi a regime preferenziale – beneficeranno di una riduzione daziaria all’atto dell’importazione in Corea. Inoltre, entro il 2016 i dazi (che attualmente sono mediamente dell’11,2% in Corea e del 5,6% in UE) verranno aboliti su circa il 97% dei prodotti.
Però, diversamente da quanto prevedono gli accordi preferenziali attualmente in vigore con altri Paesi extraUE, non sarà possibile attestare l’origine preferenziale delle merci per mezzo del certificato Eur1, bensì:
– per spedizioni inferiori a 6.000 € bisognerà riportare in fattura la dichiarazione di origine preferenziale secondo il testo indicato dall’accordo;
– per spedizioni di importo superiore sarà richiesta un’autorizzazione doganale che conferisce lo status di “esportatore autorizzato a fare dichiarazioni di origine preferenziale su fattura”.
Per ottenere tale autorizzazione, l’azienda esportatrice dovrà presentare istanza all’Agenzia delle Dogane della provincia in cui ha la sede legale.
L’istanza dovrà indicare il numero delle esportazioni verso la Corea realizzate nei 3 anni precedenti, oltre all’incidenza in percentuale di tali esportazioni in confronto alle altre destinazioni (occorre dimostrare la frequenza degli scambi).
La Dogana effettuerà un controllo in azienda per verificare la conoscenza e il rispetto delle regole di origine preferenziale e rilascerà poi apposito numero di autorizzazione che dovrà essere inserito nelle fatture di esportazione verso la Corea all’interno della dichiarazione di origine preferenziale.
Ovviamente senza l’autorizzazione sarà sempre possibile esportare in Corea, ma il cliente/importatore non potrà beneficiare dei trattamenti favorevoli di dazio.

>>>> Vai al testo dell’Accordo EU-KOREA Free Trade Agreement

EXPORT: chiarimenti su notifica esportazione CM 16/D/2011

L’Agenzia delle Dogane, con CM 16/D del 12 maggio 2011, ha fornito chiarimenti in merito alla notifica di esportazione e conseguente prova dell’uscita della merce dal territorio doganale della Comunità per talune operazioni di esportazione, ed in particolare:

  1. notifica di esportazione per operazioni effettuate tramite corriere espresso;
  2. esportazioni abbinate a transito.

>>>> Vai alla [download id=”6647″].

TRIANGOLAZIONI EXPORT: non imponibile anche con trasporto del cessionario

Fonte: Eutekne.info

Autore: P. Centore e M. Peirolo

Data: 20/04/2011

La Cassazione, con sentenza 6898 del 25/03/2011, ha stabilito che nelle triangolazioni all’esportazione, la cessione dei beni tra i due operatori italiani si considera non imponibile IVA anche se i beni sono stati trasportati fuori della UE dal cessionario italiano.

Premessa: nelle esportazioni dirette, anche in triangolazione,  il cedente italiano deve dimostrare l’avvenuta esportazione della merce, oggetto di un unico trasporto, in territorio extra UE, per la non imponibilità IVA.

A tal fine, l’art. 8, co. 1, lett. a), DPR 633/1972 individua i mezzi di prova dal punto di vista formale, dato che – sul piano sostanziale – la detassazione dell’operazione esige che sia superata la presunzione di consegna dei beni nello Stato italiano.

Nelle triangolazioni, dove si verifica una cessione interna (da IT1 primo cedente >>> a IT2 promotore) e una cessione all’esportazione (da IT2 promotore >>> a ExtraUE destinatario finale), è necessario, per la non imponibilità tra i due operatori italiani – che la dogana apponga il  visto uscire, a seconda dei casi, sulla fattura di vendita o sul DDT ([download id=”6641″]): in tal modo la dogana, attraverso la vidimazione, attesta – a livello formale – la condizione “materiale” relativa al superamento della linea doganale comunitaria dei beni ceduti, ma non quella sostanziale, diretta ad evitare che i beni, entrando nella disponibilità del cessionario italiano, siano – di fatto – “consumati” nel territorio nazionale.

Quest’ultima condizione, esplicitata nella locuzione “a cura o a nome del cedente”, richiamata nell’art. 8, co.1, lett. a) DPR 633/1972 e poi estesa alle triangolazioni comunitarie ex art. 58 DL 331/1993, ha indotto l’Amministrazione finanziaria ad escludere il beneficio della non imponibilità quando il contratto di trasporto/spedizione sia stipulato dal cessionario anziché dal cedente ([download id=”6643″]).

A seguito della norma di interpretazione autentica ex art. 13, co. 1, L. 413/1991, risulta invece irrilevante il soggetto al quale sia intestata la fattura emessa dal vettore/spedizioniere e che effettua il relativo pagamento.

Sulla scorta della posizione espressa in precedenza dalla Cassazione (sent. n.4098/2000), l’orientamento della prassi amministrativa è stato ridimensionato, in modo che al cessionario sia impedito soltanto di entrare in possesso della merce da inviare fuori dall’Italia. In linea, infatti, con la ratio della norma che agevola, ai fini IVA, le cessioni verso Paesi “terzi”, la [download id=”6645″] ha chiarito che l’operatore italiano, promotore della triangolazione, può stipulare il contratto “su mandato ed in nome del cedente”, fermo restando che la merce deve essere ritirata direttamente dal vettore presso il primo cedente; in questo modo il cessionario agisce come mero intermediario del cedente, senza mai acquisire la disponibilità dei beni.

La giurisprudenza di legittimità sopra richiamata – confermata da ultimo con le sentenze nn. 6114/2009 e 6898/2011 – ha privilegiato il carattere oggettivo della detassazione, ribadendo che la triangolazione di beni a destinazione di un Paese comunitario o extracomunitario, per essere agevolabile anche nel primo passaggio (interno) dei beni, “non presuppone necessariamente che vi sia la prova che il trasporto all’estero sia avvenuto a cura e a nome del cedente, quanto piuttosto che, fin dalla sua origine e nella sua rappresentazione documentale, sia stata voluta come cessione nazionale in vista del trasporto a cessionario residente all’estero, nel senso che tale destinazione sia riferibile alla comune volontà degli originari contraenti”.

È in forza di questa impostazione che la Suprema Corte, nella sentenza n. 6898/2011, ha riconosciuto il beneficio della non imponibilità alla cessione interna dei beni destinati ad essere trasportati fuori della Comunità anche quando l’invio all’estero sia avvenuto utilizzando un automezzo di proprietà del cessionario italiano.

È dunque l’esistenza della triangolazione, desumibile dalla volontà delle parti, che garantisce la tutela del divieto di immissione in consumo in Italia, senza che abbia alcuna rilevanza il soggetto nella cui disponibilità rientrano i beni da trasportare/spedire all’estero. Questa conclusione è avallata dai principi sanciti dalla Corte di Giustizia UE (causa C-245/04, causa C-430/09), a proposito delle c.d. “vendite a catena”. Per i giudici comunitari, la detassazione, in caso di più vendite consecutive, è riconosciuta alla cessione interna dei beni oggetto di un unico trasporto dal Paese del primo cedente a quello (diverso) del cessionario finale, a prescindere dal soggetto – che quindi può ben essere il cessionario intermedio – che abbia la disponibilità della merce durante il trasporto verso il destinatario non residente.

La posizione della Cassazione, sostenuta dalla Corte UE, impone all’Agenzia delle Entrate la rivisitazione, in senso sostanziale, dell’interpretazione della locuzione “a cura o a nome del cedente” nelle triangolazioni ex art. 8 DPR 633/1972 e ex art. 58 DL 331/1993: non conta quindi il soggetto che stipula (o nel cui nome viene stipulato) il contratto di trasporto, quanto il fatto che il bene sia effettivamente trasferito all’estero, in dipendenza di un’operazione triangolare.

EXPORT: rileva il comportamento concludente per esportatori abituali

Fonte: Eutekne.info

Autore: S. Cerato e M.Bana

Data: 20/04/2011

Per la Cassazione, l’omessa compilazione del quadro VC non incide sul regime di esonero dall’imposta

La mancata segnalazione dell’opzione per il regime del plafond non legittima la contestazione, da parte dell’Agenzia delle Entrate, di acquisti in esenzione IVA oltre il limite spettante, in violazione dell’art. 8, co.1, lett. c), DPR 633/1972.

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 9028/2011, ritiene irrilevante l’omessa compilazione del quadro VC della dichiarazione IVA – e, quindi, l’indicazione dell’esercizio della facoltà dell’acquisto senza l’applicazione dell’imposta – destinato ad accogliere il riepilogo, suddiviso per mese, delle operazioni attive generatrici del plafond dell’esportatore abituale e di quelle passive effettuate in virtù di tale proprio status. In particolare, i giudici tributari hanno accolto le ragioni del contribuente, secondo cui le opzioni riguardanti il regime dell’IVA possono essere altresì manifestate mediante comportamenti concludenti, coerenti e adeguatamente uniformati alla tenuta della contabilità obbligatoria: al ricorrere di tale ipotesi, deve, infatti, ritenersi prospettabile, ad avviso dei supremi giudici tributari, una mera violazione formale.

Fondamento di tale orientamento, in primo luogo, l’art. 1, co.1, DPR 442/1997, per effetto del quale l’opzione e la revoca dei regimi di determinazione dell’imposta si desumono dai comportamenti concludenti del contribuente, ovvero dalle modalità di tenuta delle scritture contabili. La disposizione stabilisce, inoltre, che la validità dell’opzione, e della relativa revoca, è subordinata esclusivamente alla propria concreta attuazione sin dall’inizio dell’anno o dell’attività: tale principio ha trovato applicazione nel consolidato e costante pronunciamento della giurisprudenza di legittimità (Cass. n.11170/2006; n. 2810/2005; n. 10599/2003; n. 9885/2002).

Conseguentemente, l’omessa compilazione del quadro VC non determina l’inefficacia del regime di esonero dall’applicazione dell’imposta, bensì la mera irrogazione delle sanzioni previste in caso di omessa oppure irregolare comunicazione, purché il contribuente:

  • goda effettivamente dello status di esportatore abituale, ovvero soddisfi i requisiti ex art. 1, co.1, lett. a), [download id=”0″], avendo effettuato – nell’anno solare precedente (c.d. plafond fisso), oppure negli ultimi dodici mesi (c.d. plafond mobile) – un ammontare di esportazioni, o altre operazioni rilevanti con l’estero, superiore al 10% del volume d’affari;
  • abbia predisposto e inviato al proprio fornitore, prima dell’effettuazione dell’operazione, la dichiarazione d’intento, in duplice esemplare, su modello conforme a quello approvato con il DM 6 dicembre 1986, al fine di attestare, sotto la propria responsabilità, la qualifica di cui al punto precedente, e richiedere la non applicazione dell’IVA, ex art. 8, co.1, lett. c), DPR 633/1972.

La Cassazione ha, invece, disatteso il secondo motivo del ricorso del contribuente, riguardante la ripresa a tassazione di costi ritenuti privi del requisito dell’inerenza (art. 109 DPR n. 917/1986), ritenendolo inammissibile, a causa della propria natura, incompatibile con l’ottemperanza alle prescrizioni di cui all’art. 366-bis del codice di procedura civile. La decisione conferma, quindi, l’orientamento della precedente sentenza n. 3519/2008: i quesiti di diritto – dovendo assolvere la funzione di integrare il punto di congiunzione tra la risoluzione del caso specifico e l’enunciazione del principio giuridico generale – non possono essere meramente generici e teorici, ma devono essere calati nella fattispecie concreta, al fine di consentire alla Corte di comprendere, sulla base della sola lettura, il presunto errore compiuto dal giudice e la regola applicabile