INTRA UE: prova del trasferimento fisico della merce

Fonte: Fisco Oggi

Data: 06/09/2013

Autore: S. Servidio

La merce non ha valicato il confine: il contrario va provato dal cedente

L’acquirente opera, di fatto, stabilmente in Italia. Ciò basta a fondare il sospetto del Fisco e a riversare sul venditore l’onere di dimostrare la non imponibilità ai fini Iva
La sezione tributaria della Corte di cassazione, con la sentenza n. 19747 del 28 agosto, ha stabilito, in tema di operazioni intracomunitarie, che è fondata la pretesa tributaria se manca la prova che le merci abbiano lasciato il territorio dello Stato membro di cessione.Il fatto
La vicenda riguarda le fatturazioni di operazioni intracomunitarie relative a cessioni di beni eseguite nel corso dell’anno da una Srl (fornitore nazionale) nei confronti di una società con sede in Germania, ritenute fittizie dall’Amministrazione finanziaria, in quanto il soggetto estero operava, di fatto, in Italia presso i locali di un’altra società e i beni ceduti non erano mai stati trasferiti nel Paese di destinazione, con la conseguenza che doveva ritenersi integrato il presupposto della territorialità (art.7, Dpr 633/1972) per l’applicazione dell’Iva nello Stato in cui si era effettivamente realizzata la cessione.La Commissione tributaria regionale ha accolto l’appello dell’ente impositore e ha dichiarato legittimo l’avviso di accertamento, non avendo l’appellata fornito prova che i beni avessero realmente varcato il confine dello Stato.
In prima battuta, la Ctp aveva escluso la responsabilità della società per irregolarità e/o frode fiscale per mancata destinazione estera dei beni venduti, considerato che la cedente avrebbe “scrupolosamente” adempiuto agli oneri formali posti a carico degli imprenditori che effettuano operazioni intracomunitarie. Da qui, la conclusione che i presunti illeciti fiscali dovevano essere imputati esclusivamente al cessionario estero e che l’ufficio non aveva suffragato con prove determinanti la tesi secondo cui i beni non sarebbero stati effettivamente trasferiti nello Stato di destinazione.La società ha quindi proposto articolato ricorso per cassazione, con il quale, sostanzialmente, denuncia violazione dei principi di certezza del diritto, di proporzionalità e di buona fede, avendo il giudice d’appello erroneamente ritenuto che, nelle operazioni intracomunitarie, rilevava solo l’aspetto “oggettivo” della fattispecie e che si doveva prescindere dai profili “soggettivi” di responsabilità propria del cedente.

Motivi della decisione
La Corte suprema rigetta il ricorso, argomentando innanzitutto che l’esclusione della società dalla compartecipazione alla frode è elemento in sé necessario, ma non sufficiente, per esentare il contribuente dall’obbligazione tributaria in conseguenza del mancato transito territoriale della merce: cosa diversa è, infatti, accertare se la cedente abbia verificato ex ante l’operatività della cessionaria, altro è, poi, accertare se nel caso concreto la merce sia stata o meno realmente trasferita nello Stato membro di destinazione, che è l’elemento costitutivo indefettibile per l’applicazione del regime di esenzione Iva per le operazioni intracomunitarie.

Infatti, ai sensi dell’articolo 41, comma 1, lettera a), del Dl 331/1993, costituiscono cessioni non imponibili quelle a titolo oneroso di beni trasportati o spediti, nel territorio di un altro Stato membro, dal cedente, dall’acquirente o da terzi per loro conto, nei confronti di soggetti passivi d’imposta. Sicché, per la realizzazione di una transazione intracomunitaria, con la conseguente emissione di fattura non imponibile Iva, devono sussistere i seguenti requisiti:

  1. onerosità dell’operazione
  2. acquisizione o trasferimento del diritto di proprietà o di altro diritto reale sui beni
  3. status di operatore economico del cedente nazionale e del cessionario comunitario
  4. effettiva movimentazione del bene dall’Italia a un altro Stato membro, indipendentemente dal fatto che il trasporto o la spedizione avvengano a cura del cedente, del cessionario o di terzi per loro conto.

Tali requisiti devono sussistere congiuntamente: in mancanza anche di uno solo, la cessione sarà da considerare imponibile Iva secondo le disposizioni contenute nel Dpr 633/1972 (cfr risoluzione n. 19/2013).

In relazione alla disciplina normativa comunitaria – secondo il previgente articolo 28-quater della sesta direttiva comunitaria, la n. 388/1977, ora riprodotto nell’articolo 138 paragrafo 1 della direttiva 2006/122/Ce – la Corte di giustizia (sentenze 27 settembre 2007, causa C-409/07, e 16 dicembre 2010, causa C- 430/09) ha fissato alcune coordinate in base alle quali gli elementi costitutivi di una “operazione intracomunitaria” vanno individuati:

  1. nel trasferimento all’acquirente del potere di disporre del bene come proprietario
  2. nella spedizione o trasporto del bene in un altro Stato membro (diverso da quello del soggetto cedente)
  3. nell’effettiva fuoriuscita della merce dal territorio dello Stato membro del soggetto cedente.

Quest’ultimo elemento comporta “un movimento fisico di un bene da uno Stato membro verso un altro” e non consente alcuna ipotesi surrogatoria di tipo virtuale, quale, ad esempio, l’intenzione delle parti espressa in un accordo o convenzione di effettuare detto trasferimento.
Pertanto, afferma il giudice di legittimità, il cedente che chiede di fruire dell’esenzione deve “comunque” offrire le prove di cui dispone e che appaiono “astrattamente” idonee – indipendentemente dall’illecito perpetrato dalla concessionaria – a rappresentare la fuoriuscita della merce dallo Stato membro cedente. Non può, invece, limitarsi a dimostrare che il rapporto giuridico si è perfezionato producendo gli effetti giuridici propri dello schema negoziale adottato nella vendita di beni mobili (cfr articoli 1476, 1510 e 1527, codice civile.)
In particolare, nell’ipotesi di vendita con clausola “franco fabbrica”, il cedente non assolve al proprio onere probatorio con la mera presentazione della lettera di vettura, ma, per provare il diritto all’esenzione Iva, deve produrre un diverso documento rappresentativo dell’effettiva dislocazione della merce nel territorio dello Stato membro di destinazione o la prova anche di “fatti secondari”, dai quali desumere la presenza fisica delle merci in territorio diverso da quello dello Stato membro in cui è residente il cedente.

Nel caso concreto era emerso, in fase istruttoria, che la società tedesca operava, di fatto, stabilmente in Italia, e tale circostanza deve ritenersi del tutto sufficiente a integrare l’onere probatorio dell’Amministrazione finanziaria in ordine all’esistenza, al tempo della conclusione dell’operazione, di elementi di sospetto sull’irregolarità della cessione intracomunitaria e, conseguentemente, a riversare sul contribuente l’onere della prova contraria.

INTRA UE: per la non imponibilità IVA va dimostrato l’effettivo trasferimento

Fonte: Fisco Oggi
Data: 10 Giugno 2013
Autore: S. Ungaro

Iva intracomunitaria: senza malafede, non significa essere “innocente”

Per usufruire del regime di non imponibilità delle operazioni all’interno dell’Ue, non è sufficiente la “forma”. Bisogna anche dimostrare l’effettivo trasferimento del bene.
Per usufruire del regime di non imponibilità ai fini Iva delle operazioni intracomunitarie, non bastano gli adempimenti di natura formale, ma il cedente deve provare anche l’esistenza dello scambio intracomunitario ovvero l’effettivo trasferimento del bene in altro Paese dell’Unione europea.
È quanto affermato dalla Corte di cassazione nella sentenza n. 12964 del 24 maggio 2013.La vicenda
La Guardia di finanza contestava a una società a responsabilità limitata la fatturazione di merci asseritamente destinate all’esportazione in favore di una società tedesca, ma in realtà movimentate esclusivamente in Italia.
Veniva quindi emesso nei confronti della società contribuente, che si era avvalsa del regime di non imponibilità delle operazioni intracomunitarie, un avviso di accertamento, relativo all’anno d’imposta 2009, per il recupero dell’Iva, con ulteriore irrogazione di sanzioni.
I giudici di merito, sia in primo che in secondo grado, accoglievano i ricorsi della società contribuente che, alla stregua della giurisprudenza della Corte di giustizia, non sarebbe stata tenuta a verificare l’avvenuto trasferimento della merce fatturata in un altro Paese comunitario, ma soltanto a rispettare le prescrizioni normative concernenti gli adempimenti formali.Il ricorso
L’Agenzia delle Entrate proponeva ricorso per cassazione lamentando la violazione e la falsa applicazione dell’articolo 41, comma 1, lettera a), DL 331/1993 e dell’art. 28-quater, punto a), lettera a), Direttiva 77/388/Cee, in relazione all’articolo 360, comma 1, n. 3, del codice di procedura civile.
L’Amministrazione finanziaria lamentava, in particolare, che la Commissione tributaria regionale, nel respingere l’appello aveva erroneamente ritenuto che non incombesse sul cedente altro onere se non quello di essere in regola con le disposizioni in materia di registrazione delle fatture e delle operazioni intracomunitarie, tralasciando di considerare, per converso, che era proprio il cedente a dover provare l’effettivo trasferimento della merce in un Paese comunitario.

La pronuncia
La Corte di cassazione, con la sentenza n. 12964 del 24 maggio, ha accolto il ricorso dell’Agenzia delle Entrate e ha cassato la sentenza impugnata.
I giudici di legittimità hanno ricordato che il beneficio della non imponibilità ai fini Iva ricorre sempre che le cessioni abbiano le caratteristiche indicate dall’articolo 41 DL 331/1993, tra cui l’effettiva movimentazione del bene con partenza dall’Italia e arrivo in uno Stato membro dell’Unione europea, indipendentemente dal fatto che il trasporto o la spedizione siano effettuati dal cedente, dal cessionario o da terzi per loro conto.
In assenza dei presupposti normativamente indicati, le cessioni vengono assoggettate all’imposta nel territorio dello Stato.

Al riguardo, la giurisprudenza di legittimità ha più volte avuto modo di precisare che l’onere di provare l’esistenza dello scambio intracomunitario (cioè l’effettivo trasferimento del bene nel territorio di altro Stato membro) grava sul contribuente cedente, che emette la fattura e non applica l’imposta nei confronti del cessionario (articolo 50, comma 1, Dl 331/1993), dichiarando che l’operazione non è imponibile (articolo 46, comma 2, Dl 331/1993).
Ciò, proprio in ragione del principio generale di cui all’articolo 2697 del codice civile, secondo il quale l’onere di provare la sussistenza dei presupposti di fatto, che legittimano la deroga al normale regime impositivo, è a carico di chi invoca la deroga (cfr Cassazione, sentenze 1670/2013, 13457/2012, 20575/2011, 3603/2009 e 21956/2010).

Nel caso di specie, dunque, la società cedente avrebbe dovuto fornire prova dell’avvenuto trasferimento della merce in altro Paese UE, trattandosi di un elemento strutturale della fattispecie normativa, la cui mancanza impedisce il riconoscimento dello stesso carattere “intracomunitario” dell’operazione (cfr Cassazione, sentenza 13457/2012) e fa venir meno il beneficio della non imponibilità.

Infatti, la Corte di cassazione (cfr  Cassazione, sentenza 1670/2013), evocando le più recenti risoluzioni emanate dall’Agenzia delle Entrate (la RM 345/E/2007 e la RM 477/E/2008), pur avendo escluso che il cedente sia tenuto a svolgere attività investigative sulla movimentazione subita dai beni ceduti dopo che gli stessi siano stati consegnati al vettore incaricato dal cessionario, ha affermato che lo stesso ha il dovere “di impiegare la normale diligenza richiesta a un soggetto che pone in essere una transazione commerciale e, quindi, di verificare con la diligenza dell’operatore commerciale professionale le caratteristiche di affidabilità della controparte – Cassazione 13457/2012 –, dovendo questi procurarsi mezzi di prova adeguati alle necessità, capaci se non di dimostrare, quanto meno di non lasciare dubbi circa l’effettività dell’esportazione e circa la sua buona fede in ordine a tale dato. Ciò, peraltro, nella consapevolezza che la concreta individuazione delle condotte, che il cedente deve tenere (o astenersi dal tenere), perché lo si possa giudicare in buona fede nell’esecuzione di una cessione intracomunitaria non conclusasi con l’effettivo trasferimento dei beni ceduti nello Stato membro di destinazione, attiene a valutazioni riservate al giudice di merito in quanto inevitabilmente legate alle specifiche caratteristiche di ciascuna vicenda – Cassazione 8132/2011”.

In definitiva, non incombe sul cedente l’onere di escludere la prova della propria malafede, ma semmai di provare con ogni mezzo l’effettività dell’esportazione e, qualora sia invece provato e ammesso che tale esportazione non vi è stata, di dimostrare che il cedente è stato tratto in inganno nonostante avesse adottato le opportune cautele per evitare tale aggiramento.
Orbene, nel caso di specie, i giudici di appello non hanno applicato correttamente i principi appena espressi, motivo per cui i giudici di piazza Cavour hanno rinviato la causa ad altra sezione della Commissione tributaria regionale.

Ancora una sentenza della Cassazione sul tenore di tutte quelle degli ultimi dieci anni e più. Morale: l’effettivo trasferimento deve essere sempre dimostrato dal contribuente, “con qualsiasi mezzo”.

INTRA UE: IVA su acquisti intra UE detraibile solo se assolta a monte

Fonte: Fisco Oggi
Data: 30/05/2013
Autore: a cura di Giurisprudenza delle imposte edita da ASSONIME
Ai fini del riconoscimento del diritto allo scomputo dell’imposta, è necessario che gli obblighi sostanziali connessi al tributo siano stati puntualmente osservati
I commi 1 e 8 dell’articolo 40 DL 331/1993, nel testo vigente prima delle modifiche ex art. 2, co. 1, lett. b), D.Lgs 18/2010, prevedevano che gli acquisti di beni mobili intra UE venissero assoggettati a Iva in Italia quando detti beni venivano spediti o trasportati dal territorio di altro Stato membro nel territorio dello Stato e che, parimenti, fossero assoggettate a imposta nel territorio dello Stato le operazioni di intermediazione in dette vendite, rese a favore di soggetti Iva residenti.
Con riferimento alle cennate operazioni, l’acquirente del bene e/o il committente della prestazione di intermediazione doveva: numerare le fatture ricevute, integrarle indicando in euro (in precedenza in lire) gli elementi dell’imponibile espresso in valuta estera e l’ammontare dell’imposta, nonché annotarle nel registro delle fatture emesse (registro delle vendite) e in quello delle fatture ricevute (registro degli acquisti), così da dare vita a un credito Iva esattamente corrispondente all’imposta dovuta (articoli 17, comma 3, del DPR 633/1972, e 46 DL 331/1993, entrambi nel testo vigente ratione temporis). Nella fattispecie sottoposta all’attenzione della Corte suprema (sentenza n. 6925 del 20 marzo 2013), il contribuente aveva omesso l’annotazione delle fatture in entrambi i registri, procedendo, tuttavia all’esercizio della detrazione dell’Iva assolta sugli acquisti, mediante indicazione del relativo credito nella dichiarazione Iva.Premesso che dalla lettura della pronuncia in epigrafe non risulta chiaro in che modo il contribuente abbia proceduto a esporre in dichiarazione un credito Iva relativo a un’operazione passiva non contabilizzata (posta la mancata annotazione della medesima nel registro degli acquisti), comunque – in tale stato di cose – la Corte di cassazione ha riconosciuto la legittimità del recupero dell’imposta scomputata in detrazione, operato dall’ufficio, rilevando nella fattispecie l’assenza di qualsivoglia violazione del principio di neutralità dell’Iva.Come correttamente evidenziato dal Supremo collegio, infatti, il principio di neutralità dell’Iva impone che l’inosservanza da parte di un soggetto passivo delle formalità imposte da uno Stato membro non può privare il soggetto medesimo del suo diritto alla detrazione Iva, esercitato mediante annotazione a credito dell’imposta in dichiarazione; ferme restando le eventuali sanzioni previste per l’inosservanza degli obblighi formali.

Tuttavia, ai fini del riconoscimento del diritto alla detrazione, è pur sempre necessario che gli obblighi sostanziali connessi all’imposta in questione siano stati puntualmente osservati. Il che si traduce nella necessità che, a monte della detrazione, vi sia comunque stato il versamento dell’imposta dovuta (Corte di giustizia 8 maggio 2008, cause riunite C-95/07 e C-96/07; Cassazione 25 novembre 2011, n. 24912; Cassazione, 28 luglio 2010, n. 17588; Cassazione 9 ottobre 2009, n. 21457; Cassazione 20 agosto 2004, n. 16477 e 5 maggio 2010, n. 10819; in prassi: RM 56/E/2009, ove è stato evidenziato che “è fatto salvo il diritto alle detrazioni si sensi dell’art.19 d.P.R. 26 ottobre 1972 n.633 quando l’imposta sia stata assolta, ancorché irregolarmente“).

Come si è detto, tuttavia, nella fattispecie sub iudice, il soggetto passivo non aveva provveduto ad annotare le operazioni in questione né nel registro degli acquisti né in quello delle vendite, comunque indicando nella dichiarazione annuale il credito d’imposta relativo all’Iva da scomputare in detrazione con riferimento alle operazioni medesime.

Secondo la Corte, quindi, il soggetto passivo, oltre a non aver rispettato gli obblighi formali imposti dalla normativa, non aveva altresì assolto gli obblighi sostanziali di versamento dell’imposta, cui avrebbe dovuto provvedere mediante l’annotazione delle operazioni nel registro delle vendite. In tale stato di cose, ad avviso del Supremo collegio, il diritto alla detrazione, esercitato mediante esposizione del relativo credito in dichiarazione, non può essere riconosciuto.

INTRA UE: Prova dell’avvenuta cessione franco fabbrica

Nelle cessioni franco fabbrica (Ex Works), in cui il fornitore nazionale consegna i beni al vettore incaricato dal cliente, la prova dell’avvenuta cessione intra UE può essere fornita con il CMR (“lettera di vettura internazionale”) elettronico, oltre che cartaceo: inoltre, i documenti che contengono le medesime informazioni del CMR (cedente, vettore, cessionario) hanno lo stesso valore di prova.

Con la RM 19/E/2013 l’Agenzia Entrate fornisce tali chiarimenti sulla prova del trasporto dei beni, affinché l’operazione possa qualificarsi cessione intra UE e quindi non imponibile IVA ex art. 41 DL 331/1993.

La normativa UE (direttiva 2006/112/CE) lascia ai singoli Stati membri la possibilità di indicare gli strumenti comprovanti l’avvenuto trasporto della merce da uno Stato all’altro, nel rispetto dei principi di neutralità dell’imposta, certezza del diritto e proporzionalità delle misure adottate: l’Italia non ha dettato norme specifiche al riguardo, ma consente alle parti di provare con ogni mezzo la natura dell’operazione.

Sul punto sono state emanate alcune risoluzioni:
La RM 345/E/2007, individua nel documento di trasporto la prova idonea a dimostrare il transito di merci verso un Paese UE, da conservare, ed eventualmente esibire, unitamente agli elenchi Intra, alle fatture e alla documentazione bancaria.
La RM 477/E/2008 (proprio sulle cessioni “franco fabbrica” senza documenti di trasporto) afferma che in tal caso la prova “potrà essere fornita con qualsiasi altro documento idoneo a dimostrare che le merci sono state inviate in altro Stato membro”.

Con l’ultimo documento di prassi, l’Agenzia parifica il CMR elettronico al CMR cartaceo: avendo lo stesso contenuto, è idoneo a dimostrare l’uscita della merce dal territorio italiano. Inoltre, l’Agenzia precisa che la prova dell’avvenuto trasporto dei beni possa essere fornita anche con documenti diversi dal CMR cartaceo. Se gli stessi elementi del CMR (dati della spedizione e firme del cedente, vettore e cessionario) si possono avere con documenti separati essi hanno uguale valore probatorio.

Una precisazione sul CMR elettronico: esso ha lo stesso valore del CMR cartaceo, ma non si considera a tutti gli effetti documento informatico in quanto privo di “riferimento temporale” e “sottoscrizione elettronica”; il CMR elettronico si qualifica, pertanto, giuridicamente, come documento analogico, ed andrà quindi stampato su carta per avere rilevanza giuridica e tributaria (V. RM 158/E/2009).

Infine, i documenti di trasporto hanno valenza probatoria se conservati con le fatture, la documentazione bancaria e gli elenchi Intrastat. Il fornitore dovrà, quindi, acquisire e conservare i mezzi di prova con l’ordinaria diligenza e rendere disponibili i documenti per gli eventuali controlli dell’Agenzia.