INTRA UE: legittimità sanzioni per acquisti senza VIES

Per l’Agenzia delle Entrate (RM 42/E/2012) le operazioni intra UE eseguite senza iscrizione VIES devono essere trattate come operazioni interne.

Se ciò non accade e il contribuente le tratta invece come operazioni intra UE è soggetto a sanzioni (ferma restando la possibilità del ravvedimento operoso ex art. 13 lett. b) DLgs. 472/1997) allora accade che:

  • il cedente nazionale che emette fattura senza IVA è soggetto a sanzione per fatturazione irregolare ex art. 6 co. 1 DLgs. 471/1997 (sanzione dal 100% al 200% del tributo);
  • il cessionario nazionale che riceve fattura senza IVA dal cedente UE, è soggetto alla sanzione ex art. 6 co. 6 DLgs. 471/1997 se, indebitamente, procede all’integrazione della fattura con annotazione nel registro delle vendite e degli acquisti (sanzione pari al 100% dell’IVA indebitamente detratta). Si precisa comunque che il cedente UE dovrebbe fatturare con l’IVA del suo paese, non trovando la p.IVA del cessionario italiano nel VIES.

In questo caso si crede che non spetti il diritto alla detrazione, implicitamente negato dall’Agenzia delle Entrate. Essa, infatti, potrebbe contestare la detrazione, richiamando la giurisprudenza in tema di operazioni esenti, ove non è comunque ammessa la detrazione dell’IVA addebitata in rivalsa (Cass. 26 marzo 2003 n. 4419).
Assonime, con circolare n. 21/2012, afferma che la sanzione per indebita detrazione è eccessiva e snatura la neutralità del tributo: per l’Agenzia delle Entrate infatti l’IVA dovrebbe essere corrisposta nello Stato del cedente UE, quindi disconoscendo nel contempo la detrazione in capo al cessionario nazionale, l’imposta verrebbe di fatto assolta due volte.

Per Assonime sarebbe perciò meglio consentire al cessionario nazionale di regolarizzare l’operazione effettuando una variazione in diminuzione dell’IVA a debito ex art. 26 DPR 633/1972, che annullando la detrazione, renderebbe inapplicabile la sanzione, e l’operazione sarebbe tassata solo nel Paese UE del cedente.

Al di là dell’indebita inversione contabile ad opera del cessionario nazionale, questi, quando  riceve una fattura emessa per errore senza IVA dal cedente UE, non dovrebbe fare nulla a livello di IVA nazionale, ma solo chiedere al cedente l’emanazione di una nota di variazione.

Successivamente, il cessionario provvederà al pagamento dell’IVA addebitatagli, deducendone l’importo ai fini delle imposte sui redditi, siccome essa, a questo punto, è divenuta un costo.

Vedi anche: 

>>> Intra UE: quali sanzioni per acquisti senza VIES nei primi 30 giorni (06/09/2012)

INTRA UE: la cessione intra UE può anche essere imponibile IVA

Fonte: Eutekne.info

Autori: V. Cristiano e M. Sodini

Data: 07/09/2012

La Corte di Giustizia, con sentenza 6 settembre 2012, procedimento C-273/11, conferma il principio secondo cui, nel quadro di una cessione intracomunitaria complessivamente considerata, gli Stati membri possono non riconoscere al venditore l’esenzione dall’IVA soltanto quando il contribuente non riesce “compiutamente” a dimostrare che si tratta di una transazione commerciale intercorsa tra soggetti comunitari.

Se però questa è la regola generale, i giudici riconoscono la “sopravvivenza” di un principio in deroga: se l’operatore comunitario (venditore) ha soddisfatto gli adempimenti che sorgono dal diritto nazionale e dalla prassi comune (anche consuetudinaria), il medesimo non può qualificarsi quale debitore dell’imposta nello Stato Ue di cessione laddove la previsione contrattuale di spedire (o trasportare) le merci fuori dal territorio del Paese non sia stata assolta dall’acquirente.

Il percorso elaborato dai Giudici della Corte Ue parte dall’esame dell’articolo 138, par. 1, della Direttiva 2006/112, in forza del quale gli Stati membri esentano le cessioni di beni spediti o trasportati, fuori del loro rispettivo territorio ma nell’Unione, dal venditore, dall’acquirente o per loro conto, effettuate nei confronti di un altro soggetto passivo o di un ente non soggetto passivo, che agisce in quanto tale in uno Stato membro diverso dallo Stato membro di partenza della spedizione o del trasporto dei beni.

Richiamando la costante giurisprudenza comunitaria, i giudici europei chiariscono che l’esenzione della cessione intracomunitaria diviene applicabile “solo quando il potere di disporre del bene come proprietario è stato trasmesso all’acquirente e quando il venditore prova che tale bene è stato spedito o trasportato in un altro Stato membro e che, in seguito a tale spedizione o trasporto, esso ha lasciato fisicamente il territorio dello Stato membro di cessione” (cfr. sentenza 27 settembre 2007, C-409/04, Teleos). Ancor più nello specifico, viene chiarito che il trasferimento all’acquirente del diritto di disporre di un bene materiale come proprietario costituisce una condizione relativa a qualsiasi cessione di beni, ex art. 14, par. 1, della Direttiva 2006/112, ma non per questo in grado di “etichettare” come comunitaria l’operazione di interesse.

Per quanto riguarda, in secondo luogo, l’obbligo, per il venditore, di dimostrare che il bene è stato spedito o trasportato al di fuori dello Stato membro di cessione, dalla giurisprudenza comunitaria risulta che, in mancanza di specifiche disposizioni nella Direttiva 2006/112 per quanto riguarda le prove che i soggetti passivi siano tenuti a fornire per beneficiare dell’esenzione dall’IVA, “spetta agli Stati membri, conformemente all’articolo 131 della direttiva 2006/112, fissare le condizioni alle quali le cessioni intracomunitarie sono da essi esentate, per assicurare una corretta e semplice applicazione di dette esenzioni e per prevenire ogni possibile evasione, elusione e abuso”. Tuttavia, sottolinea la Corte, nell’esercizio dei loro poteri, gli Stati membri devono rispettare “i principi generali del diritto che fanno parte dell’ordinamento giuridico dell’Unione, quali, in particolare, i principi di certezza del diritto e di proporzionalità”.

A tale riguardo, la Corte di Giustizia ha già evidenziato che, in una situazione in cui manifestamente non esiste alcuna prova tangibile che permetta di ritenere che i beni di cui trattasi sono stati trasferiti al di fuori del territorio dello Stato membro di cessione, porre il soggetto passivo nell’obbligo di fornire una tale prova non garantisce la corretta applicazione del regime delle esenzioni (cfr. sentenza Teleos citata).

La prova dipende dagli elementi che il cedente riceve dall’acquirente

Non da ultimo, occorre precisare che, qualora l’acquirente benefici del potere di disporre del bene di cui trattasi come proprietario nello Stato membro di cessione e, contestualmente, provveda al trasporto di detto bene verso lo Stato membro di destinazione, si deve tener conto del fatto che la prova che il venditore può produrre alle autorità tributarie dipende fondamentalmente dagli elementi che egli riceve a tal fine dall’acquirente.

La Corte, in conclusione, si sofferma su un ulteriore aspetto: l’esenzione di una cessione intracomunitaria non può essere negata al venditore per la sola ragione che l’Amministrazione tributaria di un altro Stato membro ha proceduto a una cancellazione del numero d’identificazione IVA dell’acquirente che, sebbene verificatasi dopo la cessione del bene, ha prodotto effetti, in modo retroattivo, a una data precedente a quest’ultima.

Intra UE: quali sanzioni per acquisti senza VIES nei primi 30 giorni

Il contribuente che vuole poter effettuare operazioni intra UE deve richiedere all’Agenzia Entrate l’autorizzazione in uno dei seguenti modi:

  • nella dichiarazione di inizio attività;
  • o nell’apposito modello reso disponibile dall’Agenzia delle Entrate.

Ex art. 35 co. 7 bis DPR 633/1972, l’Agenzia Entrate può:

  • entro i 30 giorni successivi alla richiesta, negare l’autorizzazione tramite provvedimento, in assenza del quale l’autorizzazione si intende concessa, per il principio del silenzio-assenso;
  • oppure nel futuro revocare con provvedimento di diniego l’autorizzazione già concessa tacitamente .

Con RM 42/E/2012, l’Agenzia Entrate, confermando di fatto il precedente orientamento ex CM 39/E/2011, sostiene che se l’autorizzazione manca o viene revocata, la soggettività passiva intracomunitaria è sospesa, quindi le operazioni dovranno essere trattate come operazioni interne.

La stessa sospensione della soggettività vale per le operazioni che devono essere eseguite nei 30 giorni successivi alla richiesta; in questo lasso temporale, anche se l’autorizzazione verrà poi concessa, si ha che

  • l’emissione della fattura senza IVA ad opera del cedente nazionale sconta una sanzione pari dal 100% al 200% del tributo (art. 6 co.1 DLgs. 471/1997), e
  • l’esecuzione del reverse charge ad opera del cessionario nazionale è punita con una sanzione pari all’imposta indebitamente detratta (art. 6 co.6 D.Lgs. 471/1997).

Secondo Assonime (circolare 21/2012), l’assunto dell’Agenzia contrasta con l’art. 18 del Regolamento 282/2011, che, in certe situazioni, ammette di dimostrare la soggettività passiva con modalità alternative al VIES: a questo punto una soluzione potrebbe essere quella in cui si riconosce l’applicabilità della disciplina degli scambi intra UE contestualmente alla richiesta di autorizzazione, fermo restando il successivo recupero dell’imposta non applicata qualora l’Amministrazione accerti che il soggetto richiedente non sia in possesso dei requisiti di affidabilità richiesti per effettuare le operazioni di cui si tratta.

In pratica il contribuente potrebbe eseguire l’operazione, accollandosi il rischio di un recupero dell’IVA e delle sanzioni se l’autorizzazione dovesse essere negata.

Inoltre i provvedimenti di diniego e revoca dell’autorizzazione sono impugnabili dinanzi alle Commissioni tributarie: cosa succede se sono state irrogate sanzioni e poi la sentenza è invece favorevole al contribuente?

Se vengono impugnati entrambi gli atti (diniego/revoca e accertamento con sanzioni), si possono riunire i ricorsi e ottenere la sospensione del processo, anche se è pur vero che se c’è un diniego espresso (obbligatoriamente entro 30 giorni), questo va impugnato entro 60 giorni, quindi le parti, prima dell’eventuale notifica dell’accertamento (in genere almeno dopo due anni dall’operazione), hanno già un quadro della situazione.

Se la sentenza di primo grado annullasse il diniego, allora l’operazione sarebbe intracomunitaria, quindi nessuna sanzione potrà essere irrogata, stante il carattere retroattivo della sentenza; se la sentenza di appello fosse invece sfavorevole al contribuente, le sanzioni si applicherebbero, fermi restando i termini di decadenza ex art.20 D.Lgs 472/1997.

 

INTRA UE: prova dell’effettiva consegna per la cessione intracomunitaria

La Cassazione conferma la sua posizione di fronte al fenomeno delle frodi fiscali: senza prova dell’effettiva consegna, la cessione non è intracomunitaria e il cedente deve pagare l’IVA

Con sentenza n. 13457 del 27 luglio 2012, la Cassazione ha stabilito che la società che effettua cessioni intra UE deve dimostrare che la merce è stata effettivamente consegnata all’estero, altrimenti rischia di dover pagare l’IVA.

La controversia nasce da un ricorso proposto da una nota società nazionale che si è opposta alle contestazioni dell’Amministrazione finanziaria, che aveva recuperato l’IVA su operazioni di cessione merci effettuate dalla società italiana verso una società francese, sulla base del presupposto che, difettando la prova dell’effettivo spostamento delle merci dal territorio nazionale, la società nazionale non potesse avvalersi del regime di non imponibilità ex art. 41, co.1 DL 331/1993 (cessioni intra UE).

Per il riconoscimento della non imponibilità per le cessioni intra UE, il cedente deve provare che i beni siano stati effettivamente trasportati o spediti nel territorio di un altro Stato membro, non basta la conferma della validità della partita IVA estera (art.50, co.1 e 2 DL 331/1993) e di averla indicata in fattura, essendo questi adempimenti di natura formale, per “agevolare il successivo controllo ed evitare atti elusivi o di natura fraudolenta”.

Utilizzando i principi comunitari (rif. sentenze Corte di giustizia UE, sentenze 27/09/2007, causa C-409/04, Teleos, punto 42 e causa C-184/05, Twoh International, punto 23), la Cassazione stabilisce che:

  • se è legittimo che i provvedimenti adottati dagli Stati membri tendano a preservare il più efficacemente possibile i diritti dell’Erario, essi non devono eccedere quanto è necessario a tal fine (punto 52, sentenza Teleos – questo in generale è proprio il caso dell’Italia);
  • non sarebbe contrario al diritto UE esigere che il fornitore adotti tutte le misure che gli si possono ragionevolmente richiedere al fine di assicurarsi che l’operazione effettuata non lo conduca a partecipare ad una frode fiscale (punto 65);
  • le circostanze che il fornitore ha agito in buona fede, che ha adottato tutte le misure ragionevoli in suo potere e che è esclusa la sua partecipazione ad una frode costituiscono elementi importanti per determinare la possibilità di obbligare tale fornitore ad assolvere l’IVA a posteriori (punto 66).

Sul grado di diligenza richiesto al cessionario, secondo la Cassazione (v. anche sentenza n. 10414/2011) si deve avere riguardo a requisiti non formali, ma sostanziali, senza “ovviamente pretendere un inesigibile dovere di accurata indagine, ma fondandosi su quegli elementi obiettivi (es. assenza di strutture) che non possono sfuggire ad un contraente onesto che operi in un determinato settore commerciale e che in particolare non devono sfuggire ad un imprenditore mediamente accorto”.