Identificativo IVA non validato, scambio intra UE imponibile

Fonte: Fisco Oggi

Data: 09/03/2012

Il requisito della comunicazione al Fisco è di natura sostanziale e l’omissione determina l’assoggettamento a Iva secondo le ordinarie regole di applicazione

SINTESI: In materia di scambi intracomunitari, il regime relativo alle operazioni c.d. non imponibili ai fini IVA prevede, ai fini della sua applicazione, l’effettuazione degli adempimenti previsti dall’articolo 50 del DL n. 331 del 1993. In particolare, il comma 2 del citato articolo 50 prevede che il cessionario del bene o del servizio comunichi all’Amministrazione finanziaria il numero identificativo attribuito dallo Stato membro di appartenenza. Al fine predetto, pertanto, non è sufficiente la mera indicazione del predetto numero identificativo inserito nella documentazione concernente l’operazione intracomunitaria. Il requisito della comunicazione all’Amministrazione finanziaria è di natura sostanziale e la relativa omissione determina l’assoggettamento al tributo secondo le regole ordinarie di applicazione dell’IVA per le operazioni imponibili.

Ordinanza n. 3167 del 29 febbraio 2012 (udienza 11 gennaio 2012)
Cassazione Civile, sezione VI – Pres. Merone Antonio – Est. Caracciolo Giuseppe
Iva – Scambi intracomunitari – Operazioni non imponibili – Comunicazione all’Amministrazione finanziaria – Obbligatorietà

INTRA UE: prova della cessione a carico del cedente

La Cassazione, con sentenza n. 20575/2011 (7 ottobre 2011), ha confermato che la movimentazione territoriale dei beni ceduti, dallo Stato UE del cedente allo Stato UE del cessionario, è elemento strutturale perchè l’operazione sia intracomunitaria: la prova della movimentazione deve essere quindi fornita dal cedente, affinchè l’operazione possa considerarsi intracomunitaria non imponibile.

La Cassazione ha quindi accolto il ricorso dell’Agenzia delle Entrate, avverso la decisione della C.T.R. Liguria, favorevole, invece, al contribuente: l’assunto del giudice di merito che un’operazione si considera intracomunitaria, quindi non imponibile, solo per il fatto che i beni ceduti siano destinati ad un soggetto passivo di Stato membro UE con codice identificativo IVA attribuitogli dallo Stato di appartenenza, non è stato ritenuto conforme nè all’art. 41, co. 1, lett. a) DL 331/1993, né al criterio di riparto ex art. 2697 c.c. 

La decisione della Cassazione si fonda sull’art. 41, co. 1, lett. a) DL 331/1993: sono non imponibili IVA le cessioni a titolo oneroso di beni, trasportati o spediti nel territorio di altro Stato membro, dal cedente o dall’acquirente, o da terzi per loro conto, nei confronti di cessionari soggetti passivi d’imposta.

Da ciò discende che la prova della cessione intra UE, ovvero l’effettivo trasferimento del bene nel territorio di altro Stato membro, è a carico del contribuente che emette la fattura, ex art. 46, co.2 DL 331/1993, poichè la fattura contiene la dicitura “operazione non imponibile”, coerentemente con il principio generale ex art. 2697 c.c. (l’onere di dimostrare la sussistenza dei presupposti di fatto che legittimano la deroga al normale regime impositivo è a carico di chi invoca la deroga agevolativa).

La Cassazione ha, pertanto:

  • confermato quanto già sostenuto in passato in tema di onere della prova, con riferimento alle operazioni di cessione all’esportazione ex art. 8 DPR 633/1972 (Cass. n. 3603/2009), compreso il caso della triangolazione (Cass. 21956/2010).
  • precisato che l’art. 50 DL 331/1993 (“obblighi connessi agli scambi intra UE”, ad es. comunicazione del numero di partita IVA attribuito dallo Stato membro di appartenenza) opera su un piano distinto, rispetto all’identificazione degli elementi costitutivi della fattispecie ex art. 41 ( “cessioni intracomunitarie non imponibili”).

Contrariamente quindi a quanto affermato dalla CTR:

  • dall’art.50 DL 331/1993 sugli adempimenti formali non è possibile ricavare la prova dei presupposti applicativi della non imponibilità ex art.41 DL 331/1993;  la contestazione dell’esistenza dell’operazione intra UE non imponibile si fonda sulla mancata introduzione dei beni ceduti nel territorio dello Stato membro UE del cessionario;
  • non è vero che con la consegna al cessionario UE, avvenuta in Italia, i beni escono dalla sfera giuridica del cedente, a cui non compete quindi verificare l’uscita: la norma tributaria richiede invece espressamente – quale presupposto di non imponibilità – la destinazione effettiva dei beni nel territorio di altro Stato membro UE, ponendo a carico del soggetto che intende avvalersi del beneficio l’onere di fornire la prova dei relativi fatti costitutivi.

La Cassazione quindi non ha ritenuto sufficiente, ai fini probatori, che il cedente abbia richiesto ed ottenuto la conferma del numero d’identificazione IVA del cessionario assegnatogli dallo Stato UE di appartenenza, essendo, invece, necessaria la dimostrazione della reale introduzione dei beni in quest’ultimo Paese.

TERRITORIALITA’ SERVIZI – chiarimenti della CM 37/E/2011 – 5° parte – operazioni non imponibili

>>>> Vai alla 1° parte dell’articolo: “Criteri base”

>>>> Vai alla 2° parte dell’articolo: “Deroghe B2B e B2C”

>>>> Vai alla 3° parte dell’articolo: “Deroghe esclusivamente B2C”

>>>> Vai alla 4° parte dell’articolo: “Debitore d’imposta”

OPERAZIONI NON IMPONIBILI

Insieme alla territorialità, vi sono state modifiche alla disciplina delle operazioni non imponibili IVA: sono state soppresse le disposizioni che stabilivano la  non applicazione dell’imposta per cessioni all’esportazione ed operazioni assimilate, servizi internazionali, cessioni intracomunitarie, altre operazioni intracomunitarie disciplinate ex art.40 DL 331/1993; tali operazioni sono ora definite come operazioni non imponibili, ovvero operazioni esenti che non limitano l’esercizio del diritto alla detrazione (v. modifiche agli artt. 8 e 9 DPR 633/1972, e all’art.41 DL 331/1993).

Le modifiche alla territorialità impattano inoltre sull’ambito di operatività delle disposizioni ex art. 9, co.1 DPR 633/1972:

  • tale disposizione continua ad applicarsi per le operazioni che rientrano nel campo di  applicazione dell’imposta ex artt. da 7 a 7-septies DPR 633/1972;
  • per le operazioni B2B con assoggettamento a IVA nello Stato del committente:
    • sono irrilevanti ai fini IVA le operazioni rese a committenti non stabiliti nel territorio dello Stato, ancorché la fattispecie sia presa in considerazione anche ex art.9, co.1. Tali operazioni sono quindi irrilevanti ai fini dello status di esportatore abituale e della determinazione del plafond;
    • sono non imponibili IVA le operazioni rese a committenti stabiliti nel territorio dello Stato, ove ricadenti nell’ambito applicativo delle prestazioni ex art.9, co.1 DPR 633/1972.

Per le prestazioni ex art. 9, co.1 n. 2) e n. 4) DPR 633/1972, la non imponibilità è rispettivamente prevista per i trasporti e i servizi di spedizione relativi a beni in esportazione, in transito, in importazione temporanea, nonché a beni in importazione i cui corrispettivi siano assoggettati all’imposta ex art.69, co.1 DPR 633/1972. Si precisa che, i concetti di importazione e esportazione assumono rilevanza con riferimento al territorio UE, quindi la non imponibilità si applica, per i servizi acquistati da committenti stabiliti nel territorio dello Stato, anche quando le predette fattispecie (esportazione, importazione, transito) si verifichino nel territorio di uno Stato UE diverso dall’Italia.

In tal senso, con riguardo  al concetto di “territorio” rilevante ai fini delle esportazioni, v. RM 134/E/2010, in cui si è chiarito che è qualificabile come cessione all’esportazione il trasferimento di un bene da uno Stato membro verso un Paese extra-UE. La corretta applicazione della disciplina di non imponibilità sarà provata dalla documentazione doganale emessa dall’Autorità fiscale dello Stato membro interessato.

Analoghe considerazioni valgono con riferimento all’art.9, co.1, n. 7), che prevede la non imponibilità per le intermediazioni relative a beni in importazione, in esportazione e transito, ed anche le intermediazioni relative a operazioni effettuate fuori della UE. Anche tale ultima disposizione, nei rapporti  B2B, vale con riferimento alle prestazioni commesse da  soggetti passivi stabiliti nel territorio dello Stato (non verificandosi il presupposto territoriale per quelle commesse da soggetti non stabiliti nel territorio dello Stato). Nulla muta, rispetto alla disciplina previgente, con riferimento alla disciplina dei trasporti internazionali di persone, non modificata dal D.Lgs 18/2010.

Si precisa infine che è irrilevante la soppressione della disposizione ex art. 9, co.1, numero 12) DPR 633/1972, in base al quale costituivano operazioni non imponibili le operazioni assicurative, bancarie e finanziarie di cui ai numeri da 1 a 4 art. 10 DPR 633/1972, quando rese a soggetti (sia passivi, che privati) non comunitari o relative a beni destinati a essere esportati. In aderenza con la previsione comunitaria, tali operazioni (comprese anche le prestazioni di intermediazione relative alle operazioni assicurative, bancarie e finanziarie ex art.10 numeri da 1) a 4) DPR 633/1972) sono ora considerate ex art.19 co. 3, lett. a-bis) DPR 633/1972:

  • non territoriali, ma da considerare ai fini della detrazione come operazioni imponibili, se rese a committenti stabiliti in uno Stato extra UE;
  • non territoriali, ma da considerare ai fini della detrazione come operazioni imponibili, se rese a committenti soggetti passivi stabiliti in uno Stato UE, se relative a beni destinati a essere esportati;
  • esenti da IVA, ma da considerare ai fini della detrazione come operazioni imponibili, se rese a committenti soggetti passivi stabiliti in Italia o committenti non soggetti passivi stabiliti in Italia o in uno Stato UE, se relative a beni destinati a essere esportati.

PERFEZIONAMENTO PASSIVO

Il trattamento ai fini IVA delle operazioni di reimportazione di merci comunitarie inviate al di fuori del territorio UE per essere sottoposte a lavorazione, trasformazione o riparazione (c.d. “regime di perfezionamento passivo” o “esportazioni temporanee”) è il seguente:

  • sino al 31 dicembre 2009,  l’IVA sul servizio di lavorazione doveva essere assolta in dogana alla reimportazione della merce e calcolata sulla differenza tra il valore doganale della merce stessa alla reimportazione e quello determinato al momento della temporanea esportazione;
  • dal 1° gennaio 2010 a seguito delle modifiche in materia di  reverse charge, si verifica la situazione in cui l’IVA, da esigere in dogana al momento della reimportazione, deve essere anche applicata dal committente stabilito in Italia del servizio, che ex art.17 DPR 633/1972 è il debitore dell’imposta.

Quindi, dal 1° gennaio 2010:

  • l’IVA sulla lavorazione viene corrisposta dal committente al momento di effettuazione della lavorazione tramite emissione di autofattura ovvero integrazione della fattura del fornitore estero;
  • il committente – che, anteriormente alla reimportazione, avrà già applicato l’IVA sulla lavorazione al momento di effettuazione della prestazione di lavorazione tramite autofattura ovvero integrazione della fattura del fornitore estero – al momento della reimportazione, potrà documentalmente dimostrare l’avvenuto adempimento e, in tal caso, dall’IVA calcolata in dogana dovrà essere sottratta l’IVA già assolta per autofatturazione della lavorazione, scongiurando anche la possibilità che, in caso di mancato rientro del bene nel Paese, l’imposta sul servizio in questione non venga assolta;
  • diversamente, nel caso in cui l’avvenuto assolvimento dell’IVA non possa essere dimostrato, si può continuare ad applicare la procedura finora seguita che prevede la liquidazione e l’assolvimento dell’IVA in dogana, all’atto della reimportazione;
  • per le lavorazioni territorialmente rilevanti in Italia, quindi, dovrà in ogni caso essere emessa autofattura da parte del committente nazionale, che in luogo dell’applicazione dell’IVA indicherà la dizione “IVA assolta in dogana con documento doganale n XY”.

Rappresentante fiscale e acquisti senza IVA: RM 80/E/2011

L’Agenzia delle Entrate, con [download id=”6683″], ha ribadito che anche dopo le modifiche all’art. 17 DPR 633/1972, il soggetto non residente identificato tramite rappresentante fiscale (v. anche [download id=”6685″]può effettuare acquisti senza applicazione dell’IVA beneficiando del plafond di esportatore abituale ai sensi dell’art. 8, co.2, DPR 633/1972.

L’Agenzia con la [download id=”6683″] ha fornito inoltre ulteriori precisazioni per il soggetto estero cedente identificato tramite rappresentante nel territorio dello stato .

IL CASO CONCRETO  

La società Alfa ha sede in Svizzera e  fa parte del gruppo multinazionale Beta. L’attività di Alfa consiste nell’acquisto dei prodotti di Beta presso i fornitori. Tali prodotti, stoccati in magazzini centrali situati in Stati europei (tra cui l’Italia) sono successivamente rivenduti alle società del gruppo incaricate della gestione dei negozi di vendita al dettaglio.

Per lo svolgimento della propria attività, Alfa effettua operazioni rilevanti territorialmente nel territorio dello Stato e, pertanto, per assolvere gli obblighi relativi a tali operazioni ha nominato un rappresentante fiscale ex art. 17, co. 3, DPR 633/1972.

In particolare, la società Alfa ha chiesto all’Agenzia se poteva acquistare beni o servizi senza addebito dell’IVA (plafond), ex art. 8, co. 2, DPR 633/1972, atteso che il Dlgs 18/2010, ha modificato la disciplina del rappresentante fiscale ex art. 17 DPR 633/1972.

L’Agenzia delle Entrate ha chiarito che anche un soggetto passivo non residente, ma identificato ai fini IVA in Italia, tramite rappresentante fiscale (o anche direttamente ex art. 35-ter), può maturare il plafond e effettuare acquisti senza applicazione dell’imposta.

Coloro che effettuano esportazioni, ex art. 8, co. 2, DPR 633/1972, possono compiere acquisti senza IVA, nei limiti dei corrispettivi realizzati, per tali operazioni, nell’anno solare passato (ovvero nei 12 mesi precedenti), dietro presentazione di una lettera di intenti al proprio fornitore, a condizione che l’ammontare di quegli importi sia superiore al 10% del volume d’affari (art. 1, DL 746/1983, convertito in L. 17/1984).

In relazione alla maturazione del plafond, l’Agenzia ha precisato che il soggetto estero cedente, identificato nel territorio dello Stato, realizza un’operazione rilevante ai fini del plafond quando realizza:

  • esportazioni;
  • cessioni intracomunitarie;
  • cessioni di beni e/o prestazioni di servizi interni non imponibili (ex artt. 8–bis e 9) nei confronti di altri soggetti non residenti ovvero privati.

Diversamente, l’interessato non realizza alcuna operazione rilevante ai fini del plafond in caso di:

  • cessioni interne nei confronti di soggetti passivi residenti [o assimilati ex art. 7-ter, co. 2, lettere b) e c)];
  • servizi interni nei confronti di soggetti passivi residenti [o assimilati di cui all’art. 7-ter, co. 2, lettere b) e c)];

dal momento che in tali due ipotesi la qualifica di debitore d’imposta è assunta dal cessionario/committente, soggetto passivo stabilito in Italia (art. 17, co. 2, DPR 633/1972), che deve assolvere l’imposta mediante reverse charge.

Si precisa che anche fino al 2009 il soggetto non residente, tramite identificazione IVA in Italia, non maturava plafond per le operazioni attive rilevanti territorialmente in Italia, effettuate nei confronti di cessionari o committenti nazionali, in quanto si trattava, per la maggior parte, di operazioni imponibili, per le quali non c’erano comunque benefici in relazione allo status di esportatore abituale.

Il DLgs. 18/2010 non ha cambiato il regime dell’operazione, ma il debitore del tributo, che dal 2010, per le operazioni poste in essere da non residenti nel territorio dello Stato, è in ogni caso il cessionario o committente nazionale. Tale ultimo soggetto, infatti, deve assolvere agli obblighi IVA, con emissione di autofattura (o integrazione della fattura del prestatore), in luogo del soggetto non residente, pur se identificato in Italia.