IVA CHARTERING NAUTICO: non conformità alla normativa UE

Fonte: eutekne.info

Autore: M. Peirolo

Data: 25/05/2011

L’attuale art. 8-bis DPR 633/1972, lett. a), considera non imponibili ai fini IVA, in quanto assimilate alle cessioni all’esportazione, “le cessioni di navi destinate all’esercizio di attività commerciali o della pesca (…), escluse le unità da diporto ex L. 11 febbraio 1971, n. 50”. La successiva lett. e) estende l’agevolazione, tra l’altro, alla locazione e al noleggio delle suddette navi, purché ad uso non diportistico.

La norma non è conforme all’art. 148, par. 1, lett. a) e c), Direttiva n. 2006/112/CE: sul piano comunitario, l’esenzione si applica alle “navi adibite alla navigazione in alto mare e al trasporto a pagamento di passeggeri o utilizzate nell’esercizio di attività commerciali, industriali e della pesca”. Il criterio della “navigazione in alto mare” si riferisce non solo alle navi adibite al trasporto a pagamento di passeggeri, ma anche alle navi impiegate nell’esercizio di attività commerciali, industriali e della pesca (Corte di Giustizia UE, cause riunite da C-181/04 a C-183/04).

Per tale ragione la Commissione UE, nei confronti sia della Francia (caso n. 2008/2287), sia dell’Italia (caso n. 2008/4219) ha avviato la procedura di infrazione ex art. 258 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea. Con il comunicato stampa del 19 maggio 2011, la Commissione UE ha ufficialmente chiesto all’Italia di modificare l’art. 8-bis DPR n. 633/1972, posto che l’illegittima applicazione estensiva delle esenzioni determina una distorsione tra gli Stati membri, sotto forma di mancata riscossione della quota-parte di IVA di competenza del bilancio della UE. La Francia, invece, dal 1° gennaio 2011 ha modificato la propria legislazione (cfr. art. 262 Code Général des Impôts, riformulato dall’art. 70 L. n. 1658/2010).

L’Italia adesso ha due mesi di tempo per uniformarsi alla Direttiva UE, in caso contrario, la Commissione potrà adire la Corte di Giustizia, ex art. 226 del Trattato CE, affinché sia dichiarata inadempiente. Le necessarie modifiche sono contenute nell’art. 1 del DDL approvato dal Consiglio dei ministri il 4 febbraio 2011, successivamente incorporate nell’art. 11 del DDL Comunitaria per il 2010.

In base all’art. 86 della Convenzione delle Nazioni Unite sul Diritto del Mare del 10 dicembre 1982 (c.d. Convenzione di Montego Bay), ratificata con L. n. 689/1994, per “alto mare” s’intendono “tutte le aree marine non incluse nella zona economica esclusiva, nel mare territoriale o nelle acque interne di uno Stato, o nelle acque arcipelagiche di uno Stato-arcipelago”.

Il criterio della navigazione in alto mare, come anticipato, si applica anche al noleggio e alla locazione di navi adibite al trasporto a pagamento di passeggeri o utilizzate nell’esercizio di attività commerciali, industriali e della pesca. Come si desume dal caso Bacino Charter Company, anche le unità da diporto beneficiano dell’esenzione se, oltre alla navigazione d’alto mare, sono impiegate nell’attività economica svolta dall’utilizzatore. L’agevolazione resta preclusa quando la nave sia locata o noleggiata per fini di diporto, cioè per scopi sportivi o ricreativi e senza fini di lucro (causa C-116/10).

Per le navi e le imbarcazioni da diporto, la normativa UE non richiede ulteriori condizioni per il riconoscimento dell’esenzione. Per contro, l’Agenzia delle Entrate ha, in più occasioni, precisato che la non imponibilità dell’art. 8-bis presuppone – in linea con l’art. 2, co.2, DLgs. 171/2005 – che l’utilizzazione commerciale risulti, allo stesso tempo, dai registri di iscrizione e dalla licenza di navigazione (RM 94/E/2002 e RM 95/E/2008). A maggior ragione, quindi, il regime agevolato si applica alle unità da diporto iscritte nel Registro Internazionale (di cui all’art. 1 del DL n. 457/1997, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 30/1998), in quanto le stesse – per definizione – non possono che svolgere un’attività commerciale (RM 95/E/2008): si tratta, nello specifico, delle navi con scafo di lunghezza superiore a 24 metri e comunque di stazza lorda non superiore alle 1.000 tonnellate, adibite alla navigazione internazionale esclusivamente al noleggio per finalità turistiche.

La portata delle citate iscrizioni e annotazioni andrebbe opportunamente verificata sul piano comunitario, posto che – dall’insegnamento della Corte UE – si evince la prevalenza della sostanza sulla forma. Per questa ragione, inoltre, l’utilizzazione commerciale delle unità da diporto dovrebbe essere detassata a prescindere dal contratto da cui discende l’uso (noleggio o locazione).

La diversa indicazione dell’Agenzia delle Entrate, che agevola il noleggio, ma non la locazione (RM 94/E/2002RM 95/E/2008), andrebbe quindi rivisitata in quanto:

  • la Direttiva comunitaria non riconosce l’esenzione in funzione del destinatario;
  • l’art. 2, co. 1, D.Lgs. 171/2005 qualifica come commerciale la c.d. attività di “charteraggio”, avente cioè per oggetto il noleggio e la locazione di unità da diporto, peraltro anche se battenti bandiera comunitaria.

OBBLIGO NOMINA RAPPRESENTANTE FISCALE: incompatibilità con libera circolazione capitali

Fonte: Eutekne.info

Autore: G. Odetto

Data: 6 maggio 2011

Sentenza Corte di Giustizia europea 5 maggio 2011 causa C-267/09: la Corte di Giustizia UE  ha ritenuto incompatibile con il principio di libera circolazione dei capitali l’obbligo di nomina del rappresentante fiscale dei soggetti non residenti ai fini delle imposte sui redditi.

Questo principio è stato stabilito relativamente a una controversia insorta con lo Stato portoghese, la cui legislazione tributaria (art.130) impone la nomina del rappresentante per i non residenti:

  1. in tutti i casi in cui vengano percepiti redditi soggetti a imposta, al fine della rappresentanza nei confronti dell’Amministrazione e dell’assolvimento degli obblighi tributari in Portogallo;
  2. all’atto dell’attribuzione del codice fiscale, sempre in Portogallo.

Il primo obbligo è stato ritenuto incompatibile con il diritto comunitario, in linea con la Commissione europea, che aveva aperto la relativa procedura di infrazione, in quanto i costi amministrativi per la nomina del rappresentante e la relativa retribuzione determinano un ostacolo idoneo a dissuadere le persone non residenti in Portogallo a investire in quello Stato (punto 37 della sentenza).

La Corte di Giustizia ha, in particolare, respinto le eccezioni avanzate dal Governo portoghese, stabilendo che l’obbligo di nomina del rappresentante eccederebbe quanto previsto in sede comunitaria al fine di reprimere le frodi tributarie; la presenza del rappresentante costituirebbe, in altre parole, una necessità dettata da una supposta “presunzione di evasione o frode fiscale” (punto 43 della sentenza), in quanto l’Amministrazione fiscale portoghese richiederebbe al rappresentante stesso dati e notizie relative al soggetto estero rappresentato, in caso di contestazioni. A confutazione di ciò, la Corte ha rilevato che tali poteri possono essere esercitati dall’Amministrazione stessa avvalendosi delle procedure di scambio di informazioni previste a livello internazionale.

LEGGE ITALIANA

Quali le possibili conseguenze della sentenza sulla legislazione italiana (v. art. 4, co. 2, DPR 600/1973, l’obbligo di nomina di un rappresentante per i rapporti tributari in Italia delle società ed enti esteri)?
In prima analisi, si potrebbe sostenere che si tratta di casi differenti, in quanto la legislazione portoghese prevede l’intervento del rappresentante anche nel pagamento, in nome e per conto del rappresentato, dell’imposta dovuta da quest’ultimo.

Si tratta, quindi, di una situazione che pare non perfettamente sovrapponibile al caso italiano, nel quale il rappresentante fiscale – ad esempio – non è obbligato a sottoscrivere la dichiarazione dei redditi italiana (anche se ne ha facoltà – v. istruzioni al modello UNICO 2011 SC, che contemplano tale figura tra quelle abilitate, con il codice 6).

In un’ottica più generale, tuttavia, si potrebbe argomentare come la norma possa presentare profili di incompatibilità se l’obbligo di nomina fosse da intendersi riferito a una figura che assuma responsabilità dirette nei confronti dell’Erario (come effettivamente avvenuto nel caso portoghese nella causa C-267/09), sicché gli unici obblighi potrebbero riguardare figure non investite da tali responsabilità, che agiscano in qualità di meri domiciliatari nei rapporti con l’Amministrazione, ferma restando la responsabilità degli organi amministrativi (anche se esteri) per le violazioni commesse..

RIMBORSO IVA NON RESIDENTI: no al rimborso se l’Erario non ha incassato l’IVA

Si riporta la seguente sentenza in materia di rimborsi IVA.

Fonte: Fisco Oggi

Autore: E.Papandrea

Data: 01/12/2010

SENTENZA n. 931/3/2010 Commissione Tributaria Provinciale di Pescara

Il caso
La società IT1 stipula con la società ES1 un contratto per l’esecuzione di alcuni lavori da effettuarsi presso uno stabilimento di desolforazione situato sul territorio nazionale.
ES1, a sua volta, affida la realizzazione del lavoro a una Associazione temporanea d’imprese (ATI) costituita da due società spagnole, ES2 e ES3.
ES3, agendo per conto dell’ATI, per realizzare parte dei lavori affidati, acquista materiale presso il fornitore IT2 – produttore di pannelli termoisolanti – e lo stesso fornitore consegna il materiale occorrente presso lo stabilimento di desolforazione, emettendo regolari fatture assoggettate a IVA, trattandosi di operazione interamente svolta sul territorio nazionale.
In seguito, ES3 fattura all’ATI – committente spagnolo – sia il materiale acquistato da IT2 sia la propria prestazione per il montaggio dei pannelli termoisolanti presso lo stabilimento di desolforazione. L’insieme dell’operazione viene effettuata senza applicazione dell’IVA, con indicazione nella fattura spagnola della dicitura: “consegna di materiale non soggetto ad IVA. Operazione esente da IVA trattandosi di consegna in Italia“.
L’ATI – a sua volta – fattura il lavoro effettuato al cliente finale ES1, che applica il meccanismo dell’inversione contabile.
Il diniego del rimborso
ES3 presenta, in data 9/4/2008, richiesta di rimborso ex art.38-ter presso il Cento operativo di Pescara.
Il Centro operativo di Pescara nega il rimborso così argomentando:

  • preso atto che la società ES3 ha acquistato beni da fornitore italiano (IT2) per la realizzazione di un impianto da installarsi, a cura della società non residente, presso lo stabilimento situato sul territorio nazionale;
  • tenuto conto che la società ES3 ha successivamente venduto l’impianto realizzato, fatturando sia il materiale che la prestazione di montaggio e installazione a committente spagnolo senza applicazione di imposta in quanto, come si rileva da fattura di vendita, “operazione esente da Iva trattandosi di consegna in Italia“;
  • posto che si tratta, in realtà, di cessione interna rilevante in territorio nazionale per cui l’imposta doveva essere assolta in Italia da parte del soggetto comunitario cedente l’impianto oppure dal cessionario/committente comunitario attraverso gli istituti della identificazione diretta ex art.35-ter DPR 633/1972 o della rappresentanza fiscale in Italia ex art.17, co.2, DPR 633/1972;
  • considerato che nel caso di specie non è possibile applicare il meccanismo del reverse charge ex art.17, co.3, DPR 633/1972.
  • comunica che l’istanza di rimborso IVA non può essere accolta per avere la società richiedente posto in essere operazioni attive in Italia (cessioni di beni all’interno dello Stato) in contrasto con le disposizioni sopra citate.

Il ricorso respinto e le motivazioni della sentenza
La Commissione tributaria provinciale di Pescara ha respinto il ricorso presentato dalla società ES3 richiedente il rimborso e facente parte dell’Associazione temporanea d’imprese, formulando le seguenti osservazioni:

  • dalla fattura oggetto di richiesta di rimborso emerge che la cessione/prestazione di cui trattasi è rilevante ai fini IVA in quanto operazione effettuata sul territorio nazionale. La stessa è tuttavia rimasta interamente detassata in quanto né il cedente/prestatore (ES3) né il cessionario/committente (ATI) hanno soddisfatto gli adempimenti tributari previsti per le operazioni/prestazioni svolte interamente in territorio nazionale;
  • nel caso in esame, come evidenziato dalle motivazioni del diniego, non è possibile applicare il meccanismo del reverse charge ex art.17 co.3 DPR 633/1972, visto che l’ATI (cessionario/committente della prestazione e della fornitura) non è residente nel territorio dello Stato, bensì trattasi di soggetto spagnolo che non ha in Italia una stabile organizzazione e non ha né nominato un rappresentante fiscale ex art.17, co.2, né si è identificata direttamente ex art.35-ter, DPR 633/1972, operazioni che avrebbero consentito di assolvere gli obblighi relativi alle cessioni di beni e alle prestazioni di servizi effettuate nel territorio dello Stato al soggetto non residente;
  • visto quanto precede, la Ctp giudica irrilevante la memoria difensiva dell’ATI circa la successiva fattura dalla stessa emessa a ES1 e dalla successiva applicazione da parte di ES1 dell’inversione contabile.

Quindi, conclude la Ctp di Pescara, “…la ricorrente non ha diritto al rimborso IVA ex art. 38-ter DPR 633/1972, in quanto non solo non si è resa debitrice d’imposta a seguito della cessione in territorio italiano di beni nazionali, ma anche perché non potendosi assolvere l’imposta ad essa relativa in nessuna delle modalità sopra descritte, l’Erario non ha incassato l’IVA sulla predetta cessione con la conseguenza che il riconoscimento del rimborso richiesto costituirebbe un indebito rimborso da parte dell’ufficio