INTRA UE: prova della cessione di una barca RM 71/E/2014

Con RM 71/E/2014, l’Agenzia Entrate ritorna sulla questione della prova delle cessioni intra UE ex art.41 DL 331/1993 (art.138 par.1 Dir. 2006/112/CE), concludendo che se manca il documento di trasporto, è necessario un atto che dimostri, con sufficiente evidenza, che il bene è uscito dal territorio e ha raggiunto il Paese di destinazione.

Come con la precedente RM 19/E/2013, il cedente nazionale può provare la cessione con altri mezzi di prova, diversi dal CMR cartaceo: stavolta, con riferimento al settore della nautica da diporto, una società italiana intende cedere un’imbarcazione da diporto usata ad un cliente soggetto passivo in Francia (non applicando il regime del margine), ex art. 41 DL 331/1993, con trasferimento nel Paese di destinazione effettuato dal cliente UE per proprio conto, ovviamente via mare, e quindi con l’impossibilità di attestare il trasferimento del bene mediante DDT o CMR.

Il cedente IT chiede quindi come poter provare la cessione intra UE, e propone i seguenti mezzi:

Continue reading

INTRA UE: bonifico bancario insufficiente come prova della cessione intra

Il bonifico bancario è insufficiente come prova della cessione intra UE: è quanto afferma la CTP di Cremona, con sentenza 56/1/13, riportando l’attenzione su uno dei punti più critici in materia di cessioni intra UE, e cioè quello della prova che bisogna fornire in caso di controlli per dimostrare l’effettività dell’operazione.

La CTP di Cremona ha affermato che la prova può essere data con ogni mezzo avente carattere di certezza ed incontrovertibilità, come ad es. l’attestazione di pubbliche amministrazioni del paese di destinazione, mentre dei documenti di origine privata come sono i documenti bancari di avvenuto pagamento, non possono costituire prova idonea allo scopo.

La sentenza nasce da una contestazione fatta dall’Agenzia Entrate ad una azienda per operazioni intra UE con clienti di altri stati membri che, pur esistenti ed operativi, avevano uno un numero di partita IVA inesistente ed un altro un numero di partita IVA inattivo: il venditore italiano avrebbe dovuto porre in essere delle verifiche su tali partite IV, ma avrebbe comunque potuto provare l’effettività delle cessioni intra UE (e cioè lo status di soggetto passivo del cessionario UE e l’avvenuta consegna della merce in altro stato) utilizzando qualsiasi mezzo avente carattere di certezza ed incontrovertibilità.

Ovviamente su quali mezzi utilizzare non si dice nulla, a parte che la documentazione bancaria non è sufficiente come prova da sola. Si richiama quindi l’attenzione sull’importanza di produrre la documentazione che potrebbe essere richiesta alle aziende, implementando una procedura in azienda che consenta di verificare l’effettività delle cessioni intra UE, e cioè lo status di soggetto passivo del cessionario UE e l’avvenuta consegna della merce in altro stato.

In tal senso si rimanda alla documentazione di prassi, ultima delle quali la RM 19/E/2013 

DEVI APPROFONDIRE? UTILIZZA L’E-BOOK DELLO STUDIO GIARDINI 

E-BOOK OPERAZIONI INTERNAZIONALI v. 1.09 – agg. 05/2014 – 400 pag. , in vendita sul sito del Commercialista Telematico al prezzo di 25 € + IVA 

cover-op-int

INTRA UE: prova del trasferimento fisico della merce

Fonte: Fisco Oggi

Data: 06/09/2013

Autore: S. Servidio

La merce non ha valicato il confine: il contrario va provato dal cedente

L’acquirente opera, di fatto, stabilmente in Italia. Ciò basta a fondare il sospetto del Fisco e a riversare sul venditore l’onere di dimostrare la non imponibilità ai fini Iva
La sezione tributaria della Corte di cassazione, con la sentenza n. 19747 del 28 agosto, ha stabilito, in tema di operazioni intracomunitarie, che è fondata la pretesa tributaria se manca la prova che le merci abbiano lasciato il territorio dello Stato membro di cessione.Il fatto
La vicenda riguarda le fatturazioni di operazioni intracomunitarie relative a cessioni di beni eseguite nel corso dell’anno da una Srl (fornitore nazionale) nei confronti di una società con sede in Germania, ritenute fittizie dall’Amministrazione finanziaria, in quanto il soggetto estero operava, di fatto, in Italia presso i locali di un’altra società e i beni ceduti non erano mai stati trasferiti nel Paese di destinazione, con la conseguenza che doveva ritenersi integrato il presupposto della territorialità (art.7, Dpr 633/1972) per l’applicazione dell’Iva nello Stato in cui si era effettivamente realizzata la cessione.La Commissione tributaria regionale ha accolto l’appello dell’ente impositore e ha dichiarato legittimo l’avviso di accertamento, non avendo l’appellata fornito prova che i beni avessero realmente varcato il confine dello Stato.
In prima battuta, la Ctp aveva escluso la responsabilità della società per irregolarità e/o frode fiscale per mancata destinazione estera dei beni venduti, considerato che la cedente avrebbe “scrupolosamente” adempiuto agli oneri formali posti a carico degli imprenditori che effettuano operazioni intracomunitarie. Da qui, la conclusione che i presunti illeciti fiscali dovevano essere imputati esclusivamente al cessionario estero e che l’ufficio non aveva suffragato con prove determinanti la tesi secondo cui i beni non sarebbero stati effettivamente trasferiti nello Stato di destinazione.La società ha quindi proposto articolato ricorso per cassazione, con il quale, sostanzialmente, denuncia violazione dei principi di certezza del diritto, di proporzionalità e di buona fede, avendo il giudice d’appello erroneamente ritenuto che, nelle operazioni intracomunitarie, rilevava solo l’aspetto “oggettivo” della fattispecie e che si doveva prescindere dai profili “soggettivi” di responsabilità propria del cedente.

Motivi della decisione
La Corte suprema rigetta il ricorso, argomentando innanzitutto che l’esclusione della società dalla compartecipazione alla frode è elemento in sé necessario, ma non sufficiente, per esentare il contribuente dall’obbligazione tributaria in conseguenza del mancato transito territoriale della merce: cosa diversa è, infatti, accertare se la cedente abbia verificato ex ante l’operatività della cessionaria, altro è, poi, accertare se nel caso concreto la merce sia stata o meno realmente trasferita nello Stato membro di destinazione, che è l’elemento costitutivo indefettibile per l’applicazione del regime di esenzione Iva per le operazioni intracomunitarie.

Infatti, ai sensi dell’articolo 41, comma 1, lettera a), del Dl 331/1993, costituiscono cessioni non imponibili quelle a titolo oneroso di beni trasportati o spediti, nel territorio di un altro Stato membro, dal cedente, dall’acquirente o da terzi per loro conto, nei confronti di soggetti passivi d’imposta. Sicché, per la realizzazione di una transazione intracomunitaria, con la conseguente emissione di fattura non imponibile Iva, devono sussistere i seguenti requisiti:

  1. onerosità dell’operazione
  2. acquisizione o trasferimento del diritto di proprietà o di altro diritto reale sui beni
  3. status di operatore economico del cedente nazionale e del cessionario comunitario
  4. effettiva movimentazione del bene dall’Italia a un altro Stato membro, indipendentemente dal fatto che il trasporto o la spedizione avvengano a cura del cedente, del cessionario o di terzi per loro conto.

Tali requisiti devono sussistere congiuntamente: in mancanza anche di uno solo, la cessione sarà da considerare imponibile Iva secondo le disposizioni contenute nel Dpr 633/1972 (cfr risoluzione n. 19/2013).

In relazione alla disciplina normativa comunitaria – secondo il previgente articolo 28-quater della sesta direttiva comunitaria, la n. 388/1977, ora riprodotto nell’articolo 138 paragrafo 1 della direttiva 2006/122/Ce – la Corte di giustizia (sentenze 27 settembre 2007, causa C-409/07, e 16 dicembre 2010, causa C- 430/09) ha fissato alcune coordinate in base alle quali gli elementi costitutivi di una “operazione intracomunitaria” vanno individuati:

  1. nel trasferimento all’acquirente del potere di disporre del bene come proprietario
  2. nella spedizione o trasporto del bene in un altro Stato membro (diverso da quello del soggetto cedente)
  3. nell’effettiva fuoriuscita della merce dal territorio dello Stato membro del soggetto cedente.

Quest’ultimo elemento comporta “un movimento fisico di un bene da uno Stato membro verso un altro” e non consente alcuna ipotesi surrogatoria di tipo virtuale, quale, ad esempio, l’intenzione delle parti espressa in un accordo o convenzione di effettuare detto trasferimento.
Pertanto, afferma il giudice di legittimità, il cedente che chiede di fruire dell’esenzione deve “comunque” offrire le prove di cui dispone e che appaiono “astrattamente” idonee – indipendentemente dall’illecito perpetrato dalla concessionaria – a rappresentare la fuoriuscita della merce dallo Stato membro cedente. Non può, invece, limitarsi a dimostrare che il rapporto giuridico si è perfezionato producendo gli effetti giuridici propri dello schema negoziale adottato nella vendita di beni mobili (cfr articoli 1476, 1510 e 1527, codice civile.)
In particolare, nell’ipotesi di vendita con clausola “franco fabbrica”, il cedente non assolve al proprio onere probatorio con la mera presentazione della lettera di vettura, ma, per provare il diritto all’esenzione Iva, deve produrre un diverso documento rappresentativo dell’effettiva dislocazione della merce nel territorio dello Stato membro di destinazione o la prova anche di “fatti secondari”, dai quali desumere la presenza fisica delle merci in territorio diverso da quello dello Stato membro in cui è residente il cedente.

Nel caso concreto era emerso, in fase istruttoria, che la società tedesca operava, di fatto, stabilmente in Italia, e tale circostanza deve ritenersi del tutto sufficiente a integrare l’onere probatorio dell’Amministrazione finanziaria in ordine all’esistenza, al tempo della conclusione dell’operazione, di elementi di sospetto sull’irregolarità della cessione intracomunitaria e, conseguentemente, a riversare sul contribuente l’onere della prova contraria.

EXPORT: prova dell’esportazione

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 19750 del 28 agosto 2013, ha stabilito che la cessione all’esportazione e la conseguente non applicazione dell’IVA, può essere provata con ogni mezzo che abbia il carattere di certezza ed incontrovertibilità.

E’ stata quindi ribaltata la decisione dei giudici tributari della CTR Lombardia che avevano disconosciuto una cessione all’esportazione poiché priva del documento amministrativo unico (DAU). L’ufficio aveva interpretato in maniera restrittiva la normativa ritenendo esclusivamente i mezzi di prova enunciati idonei a provare la natura di operazione extracomunitaria alla cessione operata dal contribuente.

La Cassazione ha invece accolto il ricorso del contribuente escludendo che la prova dell’esportazione potesse sostanziarsi semplicemente nella fattura di trasporto/spedizione oppure nella documentazione di pagamento: costituiscono validi mezzi di prova anche la bolletta doganale (DAU) o la vidimazione della fattura o della bolla/DDT.