INTRA UE: Prova dell’avvenuta cessione franco fabbrica

Nelle cessioni franco fabbrica (Ex Works), in cui il fornitore nazionale consegna i beni al vettore incaricato dal cliente, la prova dell’avvenuta cessione intra UE può essere fornita con il CMR (“lettera di vettura internazionale”) elettronico, oltre che cartaceo: inoltre, i documenti che contengono le medesime informazioni del CMR (cedente, vettore, cessionario) hanno lo stesso valore di prova.

Con la RM 19/E/2013 l’Agenzia Entrate fornisce tali chiarimenti sulla prova del trasporto dei beni, affinché l’operazione possa qualificarsi cessione intra UE e quindi non imponibile IVA ex art. 41 DL 331/1993.

La normativa UE (direttiva 2006/112/CE) lascia ai singoli Stati membri la possibilità di indicare gli strumenti comprovanti l’avvenuto trasporto della merce da uno Stato all’altro, nel rispetto dei principi di neutralità dell’imposta, certezza del diritto e proporzionalità delle misure adottate: l’Italia non ha dettato norme specifiche al riguardo, ma consente alle parti di provare con ogni mezzo la natura dell’operazione.

Sul punto sono state emanate alcune risoluzioni:
La RM 345/E/2007, individua nel documento di trasporto la prova idonea a dimostrare il transito di merci verso un Paese UE, da conservare, ed eventualmente esibire, unitamente agli elenchi Intra, alle fatture e alla documentazione bancaria.
La RM 477/E/2008 (proprio sulle cessioni “franco fabbrica” senza documenti di trasporto) afferma che in tal caso la prova “potrà essere fornita con qualsiasi altro documento idoneo a dimostrare che le merci sono state inviate in altro Stato membro”.

Con l’ultimo documento di prassi, l’Agenzia parifica il CMR elettronico al CMR cartaceo: avendo lo stesso contenuto, è idoneo a dimostrare l’uscita della merce dal territorio italiano. Inoltre, l’Agenzia precisa che la prova dell’avvenuto trasporto dei beni possa essere fornita anche con documenti diversi dal CMR cartaceo. Se gli stessi elementi del CMR (dati della spedizione e firme del cedente, vettore e cessionario) si possono avere con documenti separati essi hanno uguale valore probatorio.

Una precisazione sul CMR elettronico: esso ha lo stesso valore del CMR cartaceo, ma non si considera a tutti gli effetti documento informatico in quanto privo di “riferimento temporale” e “sottoscrizione elettronica”; il CMR elettronico si qualifica, pertanto, giuridicamente, come documento analogico, ed andrà quindi stampato su carta per avere rilevanza giuridica e tributaria (V. RM 158/E/2009).

Infine, i documenti di trasporto hanno valenza probatoria se conservati con le fatture, la documentazione bancaria e gli elenchi Intrastat. Il fornitore dovrà, quindi, acquisire e conservare i mezzi di prova con l’ordinaria diligenza e rendere disponibili i documenti per gli eventuali controlli dell’Agenzia.

INTRA UE: prova dell’effettiva consegna per la cessione intracomunitaria

La Cassazione conferma la sua posizione di fronte al fenomeno delle frodi fiscali: senza prova dell’effettiva consegna, la cessione non è intracomunitaria e il cedente deve pagare l’IVA

Con sentenza n. 13457 del 27 luglio 2012, la Cassazione ha stabilito che la società che effettua cessioni intra UE deve dimostrare che la merce è stata effettivamente consegnata all’estero, altrimenti rischia di dover pagare l’IVA.

La controversia nasce da un ricorso proposto da una nota società nazionale che si è opposta alle contestazioni dell’Amministrazione finanziaria, che aveva recuperato l’IVA su operazioni di cessione merci effettuate dalla società italiana verso una società francese, sulla base del presupposto che, difettando la prova dell’effettivo spostamento delle merci dal territorio nazionale, la società nazionale non potesse avvalersi del regime di non imponibilità ex art. 41, co.1 DL 331/1993 (cessioni intra UE).

Per il riconoscimento della non imponibilità per le cessioni intra UE, il cedente deve provare che i beni siano stati effettivamente trasportati o spediti nel territorio di un altro Stato membro, non basta la conferma della validità della partita IVA estera (art.50, co.1 e 2 DL 331/1993) e di averla indicata in fattura, essendo questi adempimenti di natura formale, per “agevolare il successivo controllo ed evitare atti elusivi o di natura fraudolenta”.

Utilizzando i principi comunitari (rif. sentenze Corte di giustizia UE, sentenze 27/09/2007, causa C-409/04, Teleos, punto 42 e causa C-184/05, Twoh International, punto 23), la Cassazione stabilisce che:

  • se è legittimo che i provvedimenti adottati dagli Stati membri tendano a preservare il più efficacemente possibile i diritti dell’Erario, essi non devono eccedere quanto è necessario a tal fine (punto 52, sentenza Teleos – questo in generale è proprio il caso dell’Italia);
  • non sarebbe contrario al diritto UE esigere che il fornitore adotti tutte le misure che gli si possono ragionevolmente richiedere al fine di assicurarsi che l’operazione effettuata non lo conduca a partecipare ad una frode fiscale (punto 65);
  • le circostanze che il fornitore ha agito in buona fede, che ha adottato tutte le misure ragionevoli in suo potere e che è esclusa la sua partecipazione ad una frode costituiscono elementi importanti per determinare la possibilità di obbligare tale fornitore ad assolvere l’IVA a posteriori (punto 66).

Sul grado di diligenza richiesto al cessionario, secondo la Cassazione (v. anche sentenza n. 10414/2011) si deve avere riguardo a requisiti non formali, ma sostanziali, senza “ovviamente pretendere un inesigibile dovere di accurata indagine, ma fondandosi su quegli elementi obiettivi (es. assenza di strutture) che non possono sfuggire ad un contraente onesto che operi in un determinato settore commerciale e che in particolare non devono sfuggire ad un imprenditore mediamente accorto”.

EXPORT: prova dell’operazione (sentenza Cassazione)

Fonte: Eutekne.info

Autore: L.A. Carello

Data: 27/10/2011

Con la sentenza n. 22233 depositata il 26 ottobre 2011, la Corte di Cassazione ha ribadito che, in caso di operazioni con operatori extra-Ue, “l’esportazione deve risultare da documento doganale o da vidimazione apposta dall’Ufficio”, al fine di comprovare l’uscita della merce dal territorio doganale.

Il caso trae origine dalla contestazione di omessa fatturazione di operazioni imponibili a una società italiana, che, all’epoca dei fatti (1997), aveva intrattenuto rapporti commerciali con una società ungherese, allora esclusa dal territorio UE, avvalendosi di un altro operatore identificato in Italia.

La Corte chiarisce, preliminarmente, che si tratta di un’esportazione triangolare regolata dall’articolo 8, lett. a) DPR 633/1972, la quale si caratterizza per la presenza di un cedente e di un cessionario entrambi residenti nel territorio dello Stato, e di un cessionario residente all’estero e destinatario della merce. In tale contesto, il giudice di merito aveva ritenuto legittimo l’operato della contribuente, la quale aveva considerato non imponibili ai fini IVA le cessioni fatturate alla società ungherese, sul presupposto che le stesse venissero esportate in territorio extra-Ue.

Secondo la Cassazione, la tesi del giudice di merito risulta carente, in quanto si poggia sul presupposto del diritto al rimborso che spetterebbe alla società cessionaria e alla conseguente mancanza di danno erariale derivante dalla non applicazione dell’IVA nelle fatture emesse dalla ricorrente. La Suprema Corte, intervenendo sul punto, nel richiamare il principio contenuto nell’articolo 8, comma 1, lettera a) DPR 633/1972, evidenzia come la norma, così come strutturata, prescinda dalla posizione del cessionario non residente e ponga precisi obblighi individuabili in capo all’operatore residente, tra cui la cura del trasporto dei beni e la presentazione in dogana delle fatture (su tale procedura, si veda la nota Agenzia delle Dogane n. 3495/2007).

Di conseguenza, solo qualora nelle fatture relative alla merce destinata all’esportazione, intestate al cessionario residente nel territorio dello Stato, risulti la vidimazione dell’Ufficio Doganale comprovante l’uscita dei beni dal territorio doganale, si devono ritenere sussistenti le condizioni richieste dalla legge per qualificare l’operazione come cessione all’esportazione esente da imposta (v. Cass. n. 5065/1998).
Non risultando i prescritti documenti nel caso di specie, la Cassazione ha ritenuto che l’esportazione fosse eseguita dal cessionario destinatario dei beni, con conseguente disapplicazione del regime di non imponibilità ex art.8, co. 1, lett. a) DPR 633/1972, a nulla rilevando il fatto che la merce effettivamente abbandonasse il territorio comunitario.

Per l’esportazione triangolare, sanzione pari al 100% dell’imposta evasa

Sotto altro profilo, la sentenza della Cassazione in commento si pronuncia anche in tema di sanzioni. Ricordando che lo schema negoziale tipico di un’esportazione triangolare si caratterizza per la presenza di due operatori residenti e un cessionario non residente destinatario finale della merce, la Corte ritiene applicabile al caso di specie la norma sanzionatoria prevista dall’articolo 6, comma 8, del DLgs. 472/1997, in ossequio al principio del favor rei introdotto dall’art. 3 del DLgs. 472/1997. In caso di omessa auto-fatturazione da parte del cessionario o committente, risulta quindi dovuta una sanzione pari al 100%  dell’imposta evasa. Rispetto alla disposizione contenuta nell’abrogato articolo 41 del DPR 633/1972, tale sanzione risulta più lieve, atteso che l’abrogata disposizione richiedeva, oltre al pagamento della sanzione, anche l’imposta evasa.

INTRA UE: prova della cessione a carico del cedente

La Cassazione, con sentenza n. 20575/2011 (7 ottobre 2011), ha confermato che la movimentazione territoriale dei beni ceduti, dallo Stato UE del cedente allo Stato UE del cessionario, è elemento strutturale perchè l’operazione sia intracomunitaria: la prova della movimentazione deve essere quindi fornita dal cedente, affinchè l’operazione possa considerarsi intracomunitaria non imponibile.

La Cassazione ha quindi accolto il ricorso dell’Agenzia delle Entrate, avverso la decisione della C.T.R. Liguria, favorevole, invece, al contribuente: l’assunto del giudice di merito che un’operazione si considera intracomunitaria, quindi non imponibile, solo per il fatto che i beni ceduti siano destinati ad un soggetto passivo di Stato membro UE con codice identificativo IVA attribuitogli dallo Stato di appartenenza, non è stato ritenuto conforme nè all’art. 41, co. 1, lett. a) DL 331/1993, né al criterio di riparto ex art. 2697 c.c. 

La decisione della Cassazione si fonda sull’art. 41, co. 1, lett. a) DL 331/1993: sono non imponibili IVA le cessioni a titolo oneroso di beni, trasportati o spediti nel territorio di altro Stato membro, dal cedente o dall’acquirente, o da terzi per loro conto, nei confronti di cessionari soggetti passivi d’imposta.

Da ciò discende che la prova della cessione intra UE, ovvero l’effettivo trasferimento del bene nel territorio di altro Stato membro, è a carico del contribuente che emette la fattura, ex art. 46, co.2 DL 331/1993, poichè la fattura contiene la dicitura “operazione non imponibile”, coerentemente con il principio generale ex art. 2697 c.c. (l’onere di dimostrare la sussistenza dei presupposti di fatto che legittimano la deroga al normale regime impositivo è a carico di chi invoca la deroga agevolativa).

La Cassazione ha, pertanto:

  • confermato quanto già sostenuto in passato in tema di onere della prova, con riferimento alle operazioni di cessione all’esportazione ex art. 8 DPR 633/1972 (Cass. n. 3603/2009), compreso il caso della triangolazione (Cass. 21956/2010).
  • precisato che l’art. 50 DL 331/1993 (“obblighi connessi agli scambi intra UE”, ad es. comunicazione del numero di partita IVA attribuito dallo Stato membro di appartenenza) opera su un piano distinto, rispetto all’identificazione degli elementi costitutivi della fattispecie ex art. 41 ( “cessioni intracomunitarie non imponibili”).

Contrariamente quindi a quanto affermato dalla CTR:

  • dall’art.50 DL 331/1993 sugli adempimenti formali non è possibile ricavare la prova dei presupposti applicativi della non imponibilità ex art.41 DL 331/1993;  la contestazione dell’esistenza dell’operazione intra UE non imponibile si fonda sulla mancata introduzione dei beni ceduti nel territorio dello Stato membro UE del cessionario;
  • non è vero che con la consegna al cessionario UE, avvenuta in Italia, i beni escono dalla sfera giuridica del cedente, a cui non compete quindi verificare l’uscita: la norma tributaria richiede invece espressamente – quale presupposto di non imponibilità – la destinazione effettiva dei beni nel territorio di altro Stato membro UE, ponendo a carico del soggetto che intende avvalersi del beneficio l’onere di fornire la prova dei relativi fatti costitutivi.

La Cassazione quindi non ha ritenuto sufficiente, ai fini probatori, che il cedente abbia richiesto ed ottenuto la conferma del numero d’identificazione IVA del cessionario assegnatogli dallo Stato UE di appartenenza, essendo, invece, necessaria la dimostrazione della reale introduzione dei beni in quest’ultimo Paese.