OBBLIGO NOMINA RAPPRESENTANTE FISCALE: incompatibilità con libera circolazione capitali

Fonte: Eutekne.info

Autore: G. Odetto

Data: 6 maggio 2011

Sentenza Corte di Giustizia europea 5 maggio 2011 causa C-267/09: la Corte di Giustizia UE  ha ritenuto incompatibile con il principio di libera circolazione dei capitali l’obbligo di nomina del rappresentante fiscale dei soggetti non residenti ai fini delle imposte sui redditi.

Questo principio è stato stabilito relativamente a una controversia insorta con lo Stato portoghese, la cui legislazione tributaria (art.130) impone la nomina del rappresentante per i non residenti:

  1. in tutti i casi in cui vengano percepiti redditi soggetti a imposta, al fine della rappresentanza nei confronti dell’Amministrazione e dell’assolvimento degli obblighi tributari in Portogallo;
  2. all’atto dell’attribuzione del codice fiscale, sempre in Portogallo.

Il primo obbligo è stato ritenuto incompatibile con il diritto comunitario, in linea con la Commissione europea, che aveva aperto la relativa procedura di infrazione, in quanto i costi amministrativi per la nomina del rappresentante e la relativa retribuzione determinano un ostacolo idoneo a dissuadere le persone non residenti in Portogallo a investire in quello Stato (punto 37 della sentenza).

La Corte di Giustizia ha, in particolare, respinto le eccezioni avanzate dal Governo portoghese, stabilendo che l’obbligo di nomina del rappresentante eccederebbe quanto previsto in sede comunitaria al fine di reprimere le frodi tributarie; la presenza del rappresentante costituirebbe, in altre parole, una necessità dettata da una supposta “presunzione di evasione o frode fiscale” (punto 43 della sentenza), in quanto l’Amministrazione fiscale portoghese richiederebbe al rappresentante stesso dati e notizie relative al soggetto estero rappresentato, in caso di contestazioni. A confutazione di ciò, la Corte ha rilevato che tali poteri possono essere esercitati dall’Amministrazione stessa avvalendosi delle procedure di scambio di informazioni previste a livello internazionale.

LEGGE ITALIANA

Quali le possibili conseguenze della sentenza sulla legislazione italiana (v. art. 4, co. 2, DPR 600/1973, l’obbligo di nomina di un rappresentante per i rapporti tributari in Italia delle società ed enti esteri)?
In prima analisi, si potrebbe sostenere che si tratta di casi differenti, in quanto la legislazione portoghese prevede l’intervento del rappresentante anche nel pagamento, in nome e per conto del rappresentato, dell’imposta dovuta da quest’ultimo.

Si tratta, quindi, di una situazione che pare non perfettamente sovrapponibile al caso italiano, nel quale il rappresentante fiscale – ad esempio – non è obbligato a sottoscrivere la dichiarazione dei redditi italiana (anche se ne ha facoltà – v. istruzioni al modello UNICO 2011 SC, che contemplano tale figura tra quelle abilitate, con il codice 6).

In un’ottica più generale, tuttavia, si potrebbe argomentare come la norma possa presentare profili di incompatibilità se l’obbligo di nomina fosse da intendersi riferito a una figura che assuma responsabilità dirette nei confronti dell’Erario (come effettivamente avvenuto nel caso portoghese nella causa C-267/09), sicché gli unici obblighi potrebbero riguardare figure non investite da tali responsabilità, che agiscano in qualità di meri domiciliatari nei rapporti con l’Amministrazione, ferma restando la responsabilità degli organi amministrativi (anche se esteri) per le violazioni commesse..

IMPORT: aliquota dazi doganali segue la nomenclatura

Fonte: Fisco Oggi – sentenza Corte UE del 14.4.2011, procedimenti riuniti C-288/09 e C-289/09

Autore: A. De Angelis

Data: 18/04/2011

Il riferimento è a quella positiva e al prodotto che per gli eurogiudici sono determinanti ai fini del versamento
Le domande di pronuncia pregiudiziale, trattate congiuntamente a seguito di ordinanza della Corte motivata dalla connessione tra le cause, vertono sull’interpretazione della nomenclatura combinata (Reg. CE 2658/1987 e s.m., relativo alla nomenclatura tariffaria, statistica e alla tariffa doganale comune). Infatti, alla corretta interpretazione delle questioni di cui alle cause principali, si connette l’applicazione o meno di un’ aliquota positiva per il versamento dei dazi doganali. Le controversie coinvolgono, ognuna indipendentemente dall’altra, due società di diritto privato e l’amministrazione finanziaria del Regno Unito in merito alla classificazione doganale di alcuni prodotti per la richiesta del pagamento di dazi doganali.

L’applicazione di un’aliquota positiva e la questione di legittimità
Nelle questioni di cui alle cause principali, rispettivamente i procedimenti  C-288/09 e C-289/09, i ricorrenti sono costituiti da due società di cui una fornitrice di servizi di televisione digitale terrestre, l’altra produttrice e importatrice di prodotti-supporto ad hoc per la televisione a pagamento. Nel procedimento C-288/09 la società ricorrente si è opposta con ricorso, presentato nelle competenti sedi, alla classificazione del suo servizio effettuata dall’Amministrazione del Regno Unito. Alla stessa stregua la società ricorrente, nel procedimento C-289/09, ha presentato ricorso  contro la decisione con cui veniva effettuata una classificazione diversa, annoverando un errato riferimento alla nomenclatura combinata. Il presidente della Corte ha riunito la trattazione dei due procedimenti in modo da risolvere il dubbio interpretativo con un’unica pronuncia.Di conseguenza, nelle questioni pregiudiziali proposte, le società ricorrenti, o meglio il giudice del rinvio, da un lato chiedono quale debba essere la corretta classificazione doganale da prendere in considerazione e dall’altro, posto che la classificazione cd. “giusta” sia quella proposta dall’Amministrazione del Regno Unito, se tale scelta possa considerarsi legittima secondo le norme del diritto dell’Unione europea. L’aspetto che non bisogna perdere di vista è, però, il fatto che, riconoscendo valida la tesi sostenuta dalle ricorrenti, queste ultime non sono tenute ad alcun obbligo del versamento del dazio doganale in quanto verrebbe a mancare il presupposto per l’applicazione dell’aliquota positiva. Quindi, nessun pagamento a posteriori dei dazi doganali sarebbe dovuto come richiesto nel procedimento C-289/09.

Le questioni pregiudiziali
Tra le questioni pregiudiziali proposte dal giudice del rinvio, di cui alle cause principali desta particolare interesse la questione della corretta classificazione dei prodotti per stabilire se è da ritenere applicabile una aliquota positiva di dazi doganali. La  disamina rileva, inoltre, in merito al rispetto delle disposizioni contenute nel diritto dell’Unione europea. Nello specifico, se l’applicazione del dazio sia o meno illegittimo (allegato II, n. 1, lett. b), del Gatt e dichiarazione ministeriale sul commercio dei prodotti delle tecnologie dell’informazione approvata il 13 dicembre 1996).

La normativa comunitaria
Secondo l’articolo 3, n.1, lett. A), della convenzione sul sistema armonizzato di destinazione e codificazione delle merci, approvato dalla Comunità economica europea con decisione del Consiglio 87/369/CEE, le parti contraenti si impegnano a fare in modo che le nomenclature tariffarie e statistiche ivi stabilite ad utilizzare tutte le voci e sottovoci di quest’ultime, senza alcuna variazione, nonché i relativi codici numerici, e a seguire l’ordine di numerazione di detto sistema. A seguito della istituzione di un Consiglio di cooperazione doganale, però, è possibile modificare la nomenclatura combinata della convenzione con apposite note esplicative. In merito alle due questioni, secondo la nomenclatura combinata, i regolamenti applicabili sono, rispettivamente, il n. 1549/2006, in vigore dal primo gennaio 2007, e il n. 1214/2007 entrato in vigore il primo gennaio 2008. Nella prima parte, precisamente nel titolo I, A,  della nomenclatura combinata si trovano le regole generali per l’interpretazione della nomenclatura stessa, regole che risultano le stesse per i due regolamenti di cui sopra. Altra normativa di riferimento è l’accordo generale sulle tariffe doganali e sul commercio del 1994 (Gatt). L’accordo sul commercio dei prodotti delle tecnologie dell’informazione, approvato con dichiarazione ministeriale il 13 dicembre 1996, precisa, al punto 1, che il regime commerciale delle parti contraenti deve evolvere  in maniera tale da favorire le opportunità di accesso al mercato dei prodotti dell’industria dell’informazione.

Codice doganale e regolamento della Commissione
La normativa doganale di riferimento comprende sia il codice doganale che il regolamento della Commissione 2 luglio 1993, n. 2454. Quest’ultimo regolamento contiene alcune disposizioni d’applicazione del regolamento n. 2913/92 come modificato dal regolamento della Commissione 18 dicembre 1996 conosciuto come il “regolamento di applicazione”. Secondo l’articolo 12, nn. 1-6, del codice doganale, l’autorità doganale fornisce informazioni tariffarie vincolanti che obbliga la stessa autorità, nei confronti del titolare, soltanto per quanto riguarda la classificazione tariffaria. Si stabilisce anche quando un informazione cessa di essere vincolante. L’articolo 243, sempre del codice doganale, tratta della procedura per proporre ricorso contro le decisioni dell’autorità doganale in merito all’applicazione della normativa doganale arrivando a stabilire due fasi per avviarlo. Si sottolinea come, agli artt. 247 e 247 bis stabiliscano come per l’attuazione del codice doganale la Commissione viene assistita da un comitato del codice doganale. A chiusura del quadro normativo è opportuno citare il regolamento di attuazione del codice doganale. Nella fattispecie, l’articolo 11, sancisce che l’informazione tariffaria vincolante, fornita dall’autorità doganale di uno Stato membro, impegna le autorità competenti di tutti gli Stati membri alle stesse condizioni. L’articolo 12, indica invece, per gli atti e le misure elencati nel paragrafo 5, l’autorità doganale affinché le informazioni vincolanti siano fornite in conformità all’atto o alla misura in questione.

Le conclusioni dei togati europei
Le conclusioni, a cui sono giunti i togati europei, in merito all’interpretazione di cui alle cause principali con particolare riferimento alla esazione dei dazi, previa applicazione di un aliquota positiva, possono essere dedotte indirettamente. In altri termini, a seguito delle conclusioni tratte nelle prime questioni, i giudici della Corte non hanno ritenuto di dover affrontare la fattispecie dell’applicazione di un aliquota positiva di dazi.  Questo, in quanto, una volta considerata corretta la nomenclatura della sottovoce, come interpretato dalle società ricorrenti, ne consegue il decadimento dell’obbligo di versamento di diritti doganali. Gli eurogiudici hanno ritenuto non necessaria una loro pronuncia in merito alla questione dell’applicazione di un aliquota positiva dei dazi doganali. In altri termini, si evince l’importanza di una giusta interpretazione in merito alla nomenclatura dei prodotti, in quanto, proprio da tale nomenclatura scaturisce l’onere doganale.

EVASIONE IVA SU IMPORTAZIONI: perseguibile anche il detentore delle merci

Si riporta la seguente sentenza in materia di evasione IVA all’importazione

Fonte: Fisco Oggi

Autore: S. Servidio

Data: 16/12/2010

SENTENZA Cassazione 42161 del 29/11/2010

Il reato di evasione dell’IVA all’importazione (articoli 67 e 70 DPR 633/1972) è configurabile non soltanto a carico dei soggetti che hanno importato la merce assoggettata al tributo, ma anche a carico di chi semplicemente la detiene dopo l’importazione.

Il fatto
La vicenda processuale si sviluppa con l’impugnazione in Cassazione della sentenza di Corte d’appello che aveva confermato la condanna di primo grado inflitta a due coniugi per avere contrabbandato alcuni chilogrammi di tabacchi lavorati esteri (TLE) e per avere sottratto gli stessi al pagamento dell’IVA all’importazione (art. 291-bis DPR 43/1973 e art. 70 DPR 633/1972).
Nei ricorsi di legittimità gli imputati denunciavano, tra l’altro:

  1. violazione di legge sulla loro affermazione di responsabilità in quanto sarebbe mancata – sostenevano – la prova effettiva che la merce de qua fosse detenuta da entrambi i coniugi
  2. vizi di motivazione sulla configurabilità del reato di omesso versamento IVA, il quale sussisterebbe soltanto nei confronti dell’operatore dell’importazione, mentre nel caso di specie sarebbe ravvisabile soltanto una “mera detenzione” successiva all’introduzione del bene nel territorio nazionale, perciò esclusa da sanzione.

La decisione della Cassazione
La Corte di cassazione ha respinto il primo motivo (violazione di legge) e accolto il secondo (motivazione insufficiente), rettificando la portata della tesi sostenuta dagli imputati.
Riguardo al primo rilievo, è risultata ineccepibile la motivazione della sentenza impugnata, basata sugli elementi probatori emersi inequivocabilmente a carico degli imputati. Non è, quindi, passibile di censura il ragionamento dei giudici che hanno correttamente ritenuto che la presenza del tabacco rinvenuto nell’abitazione dei coniugi denotava compartecipazione nella detenzione della merce di provenienza estera (peraltro sottratta alla tassazione in importazione).

La sentenza ricostruisce così, in primo luogo, la natura del tributo, osservando che l’IVA dovuta all’importazione costituisce uno dei diritti di confine, “avendo natura di imposta di consumo a favore dello Stato, la cui imposizione e riscossione spetta alla dogana in occasione della relativa operazione d’importazione” (art. 34 DPR 43/1973), che disciplina proprio i diritti doganali e i diritti di confine (Cassazione 6823/1999).

Così, il reato di evasione di questo specifico tributo non è limitato all’ipotesi dell’introduzione della merce nel territorio doganale comunitario, ma si configura in tutti i casi in cui c’è sottrazione all’obbligo di pagamento dei diritti di confine o al compimento delle formalità doganali (cfr Cassazione 16860/2010), considerato che l’articolo 70 della Dir 2006/112/CE prevede che il fatto generatore dell’imposta si verifica e l’imposta diventa esigibile nel momento in cui è effettuata l’importazione dei beni.

Inoltre, prosegue il ragionamento della Cassazione, è proprio la disciplina doganale (artt. 202 e 203 Reg. CE 2913/1992) non prevede come fatto che produce l’obbligazione doganale la sola introduzione della merce nel territorio comunitario: l’obbligazione doganale sorge infatti anche in seguito alla sottrazione al controllo doganale di una merce soggetta a dazi d’importazione.

Sono perciò soggetti alla norma:

  • la persona che ha sottratto la merce al controllo doganale
  • le persone che hanno partecipato a tale sottrazione sapendo o dovendo sapere che si trattava di una sottrazione di merce al controllo doganale
  • le persone che hanno acquisito o detenuto tale merce e sapevano o avrebbero dovuto sapere, quando l’hanno acquisita o ricevuta, che si trattava di merce sottratta al controllo doganale
  • la persona che deve adempiere agli obblighi che comporta la permanenza della merce in custodia temporanea o l’utilizzazione del regime doganale al quale la merce è stata vincolata.

Sul medesimo argomento, la Suprema corte aveva sostenuto (sentenza 19514/2004) che il reato di evasione dell’IVA all’importazione, ex artt. 67 e 70 DPR 633/1972, è configurabile soltanto a carico dei soggetti che hanno importato la merce assoggettata al tributo e non anche di chi semplicemente la detiene dopo l’importazione, atteso che il rinvio espressamente operato ex art. 70 alle disposizioni delle leggi doganali relative ai diritti di confine è limitato al regime sanzionatorio e non si estende alle altre disposizioni (tra cui la presunzione ex art. 25 DPR 43/1973, in base alla quale, in caso di mancata o inattendibile prova sulla legittimità della provenienza della merce, il detentore è ritenuto responsabile di contrabbando).
Sicché, in applicazione di tale principio, la Corte ha considerato il semplice acquirente responsabile del reato di contrabbando e non anche del diverso reato di evasione dell’Iva all’importazione.

Rimeditando la pregressa impostazione, la Corte penale afferma oggi che il debito dell’IVA all’importazione può sorgere anche successivamente all’introduzione della merce nel territorio comunitario a carico dei soggetti indicati nel Codice doganale comunitario (articolo 203), atteso che l’IVA all’importazione inerisce non alla persona dell’importatore (criterio soggettivo), ma al bene importato (criterio oggettivo). Da qui, “la configurabilità del reato a carico di chi lo detiene dopo l’importazione a seguito della sua irregolare sottrazione al suddetto controllo“.

Privilegiando stavolta la prevalenza del criterio “oggettivo” su quello “soggettivo”, la Cassazione chiama in causa la Corte di giustizia europea la quale, con due pronunce del 2001 (C-66/99) e del 2002 (C-371/99), ha spiegato che la sottrazione alla sorveglianza doganale dcomprende ogni azione od omissione che ha come risultato di impedire all’autorità di frontiera di accedere a una merce sotto sorveglianza doganale e di effettuare i relativi controlli.
In ultima analisi, la Cassazione con la sentenza in esame ha annullato il reato di evasione IVA (art. 70 DPR 633/1972), punendo invece chi “detiene” nel territorio dello Stato un quantitativo di tabacco lavorato estero di contrabbando superiore a dieci chilogrammi convenzionali (art. 291-bis DPR 43/1973).