INTRA UE: operazioni senza Iva soltanto se il cedente è diligente

Fonte: Fisco Oggi

Data: 30/01/2013

Autore: M. Denaro

In sostanza, chi vende è tenuto a provare l’avvenuto scambio comunitario mediante qualsiasi mezzo, innanzitutto verificando con scrupolosità l’affidabilità della controparte.

In tema di Iva intra UE, nel caso in cui l’Amministrazione finanziaria contesti, recuperando l’imposta non versata, la non imponibilità della cessione intraco munitaria di beni a titolo oneroso, per difetto del presupposto dell’introduzione dei beni ceduti nel territorio di altro Stato membro, ex art. 41, co.1, lett.a), DL 331/1993, grava sul cedente la prova dello stesso.
In questi termini si è espressa la Cassazione con la sentenza 1670 del 24 gennaio che, nel rigettare il ricorso proposto da una società, ha confermato un solido orientamento giurisprudenziale (cfr Cassazione, sentenze 13457/2012, 20575/2011, 21956/2010 e 3603/2009).

Il giudizio di merito
A seguito di un processo verbale di constatazione emesso dalla Guardia di finanza, un ufficio finanziario contesta a una società italiana la mancata fatturazione di beni che avrebbero dovuti essere esportati presso una società tedesca, ma che in realtà erano stati movimentati esclusivamente in Italia.Avverso i relativi avvisi di accertamento Iva, la società propone vittoriosamente ricorso in Commissione tributaria provinciale, con sentenza poi riformata in appello, a seguito del ricorso proposto dall’Amministrazione finanziaria.
In particolare, i giudici d’appello osservano che, al fine di usufruire del regime di non imponibilità Iva delle cessioni effettuate nei confronti di una società appartenente ad altro Stato europeo, grava sul cedente l’onere di provare l’avvenuta esportazione dei beni ceduti, in quanto l’art. 41, co.1, lett.a), DL 331/1993, statuisce espressamente che “Costituiscono cessioni non imponibili: a) le cessioni a titolo oneroso di beni, trasportati o spediti nel territorio di altro Stato membro, dal cedente o dall’acquirente, o da terzi per loro conto, nei confronti di cessionari soggetti di imposta…“.
Tale prova, affermano gli stessi giudici, può essere fornita con ogni mezzo, purchè dotata del carattere di certezza e incontrovertibilità, dell’effettiva movimentazione del bene con partenza dall’Italia e arrivo in altro Stato membro, qualunque siano le modalità di trasporto o spedizione utilizzati dal cedente, dal cessionario o da terzi per loro conto.
Secondo i magistrati d’appello, infatti, la sola circostanza che le fatture indichino la natura di operazione intracomunitaria non consente l’applicazione del regime di esenzione d’imposta di cui al richiamato articolo 41, dovendosi ascrivere alla società nazionale (cedente) una responsabilità di tipo omissivo, atteso che non aveva posto in essere accorgimenti idonei a evitare o prevenire la condotta fraudolenta dell’acquirente estero (cessionario).

La società propone ricorso in Cassazione lamentando, tra l’altro, la violazione degli articoli 41, 46 e 50 del Dl 331/1993, in quanto la regolarità della fatturazione e della registrazione avrebbero dovuto indurre i giudici di secondo grado a escludere la collusione della stessa in operazioni fraudolente del cessionario estero, non potendo gravare sulla ricorrente una responsabilità oggettiva di natura omissiva.
Inoltre, la società ritiene erronea la motivazione della contestata sentenza, laddove addossa in capo al cedente l’onere di provare l’esportazione – attraverso l’attestazione delle Autorità doganali del Paese di destinazione – senza considerare che i controlli doganali intracomunitari sono stati aboliti sin dal 1993, quindi nessuna prova documentale poteva essere richiesta in tal senso alla società.

La decisione della Corte suprema
La Cassazione non ritiene condivisibili le doglianze della ricorrente, visto che il giudice d’appello ha correttamente interpretato la normativa di riferimento.
I giudici di legittimità affermano che il sistema delle operazioni intracomunitarie prevede il regime di non imponibilità per le cessioni, purché le stesse rispettino i requisiti previsti dal citato articolo 41 del Dl 331/1993, tra cui l’effettiva movimentazione del bene dall’Italia ad altro Stato membro, da provarsi con qualunque mezzo.
Ne consegue che, in mancanza di tale prova, la cessione viene assoggettata a Iva in Italia, per effetto della presunzione di cui al Dpr 441/1997.

Al riguardo, la Corte suprema ha già affermato che – in tema di presupposti richiesti alla società contribuente per usufruire del beneficio della non imponibilità delle operazioni intracomunitarie – “…l’onere di provare l’esistenza dello scambio comunitario (cioè l’effettivo trasferimento del bene nel territorio di altro Stato membro) grava sul contribuente cedente, che emette la fattura e non applica l’imposta nei confronti del cessionario…dichiarando che l’operazione non è imponibile…ciò proprio in ragione del principio generale di cui all’art. 2697 c.c., secondo il quale l’onere di provare la sussistenza dei presupposti di fatto che legittimano la deroga al normale regime impositivo è a carico di chi invoca la deroga – cfr., da ultimo, Cass. n. 13457/2012 e, in precedenza, Cass. 20575/11, Cass. 3603709 e Cass. 21956/10“.

Costituisce elemento indefettibile della non imponibilità, continua la Corte, il trasferimento del bene nel Paese estero, in quanto la “…movimentazione fisica dei beni oggetto di cessione nel territorio dello Stato membro del cessionario deve costituire elemento strutturale della fattispecie normativa, cosicché la sua mancanza impedisce il riconoscimento dello stesso carattere intracomunitario della operazione…“.

Quanto alla prova che i beni ceduti siano entrati nel territorio dello Stato estero – anche sulla base dell’interpretazione fornita dalla Corte di giustizia – sebbene debba “… escludersi che il cedente sia tenuto a svolgere attività investigative sulla movimentazione subita dai beni ceduti dopo che gli stessi siano stati consegnati al vettore incaricato dal cessionario…“, è necessario, invece, che il cedente verifichi “…con la diligenza dell’operatore commerciale professionale le caratteristiche di affidabilità della controparte – Cass. n. 13457/2012, dovendo questi procurarsi mezzi di prova adeguati alle necessità, capaci se non di dimostrare, quanto meno di non lasciare dubbi circa l’effettività dell’esportazione e circa la sua buona fede in ordine a tale dato“.

Il tipo di prova adeguato, conclude la Corte di legittimità, “…non è quello di escludere la prova della malafede, ma è quello che in prima battuta è diretto a provare l’effettività dell’esportazione e, qualora sia invece provato e ammesso che tale esportazione non vi è stata, a provare che il cedente è stato tratto in inganno nonostante avesse adottato le opportune cautele per evitare tale aggiramento“.
Prova che, nel caso concreto, non è stata fornita, non potendosi considerare tali l’assenza di segnalazioni pregresse in capo all’acquirente, la puntualità dei bonifici bancari a saldo della merce e l’apparente assenza di comportamenti equivoci dei vettori.

INTRA UE: nuovi termini registrazione fatture acquisto intra UE

Dal 1° gennaio 2013 La L. 228/2012  (legge di stabilità 2013) ha esteso gli adempimenti previsti per gli acquisti intra UE a tutte le operazioni, territorialmente rilevanti in Italia, soggette a reverse charge, poste in essere con controparte stabilita in altro Paese UE (art. 17, co.2 DPR 633/1972).

REGISTRAZIONE ACQUISTI FINO AL 31/12/2012

Il previgente art. 47, co.1 DL 331/1993 prevedeva che le fatture di acquisto intra UE, integrate ex art. 46, co.1, devono essere annotate, entro il mese di ricevimento ovvero anche successivamente, ma entro 15 giorni dal ricevimento, nel registro delle fatture emesse ed anche nel registro degli acquisti, per poter detrarre l’IVA.

REGISTRAZIONE ACQUISTI DAL 01/01/2013

  • Registro delle fatture emesse:  l’annotazione deve essere effettuata entro il 15 del mese successivo a quello di ricevimento e con riferimento al mese precedente.
  • Registro degli acquisti: non è più previsto un termine, vale la regola generale ex art. 25, co.1, DPR 633/1972, in base alla quale le fatture passive vanno annotate prima della liquidazione periodica o alla dichiarazione annuale IVA nella quale è esercitata la detrazione, ossia entro il termine biennale di decadenza ex art. 19, co.1 DPR 633/1972.

COORDINAMENTO CON REGOLARIZZAZIONE ACQUISTI INTRA UE (per i quali il cedente UE non ha emesso fattura) DAL 01/01/2013 

Ex nuovo art. 46, co.5, DL 331/1993, se la fattura non viene ricevuta entro il secondo mese successivo a quello di effettuazione dell’operazione, il cessionario deve emettere autofattura entro il 15 del terzo mese; l’autofattura va  registrata entro il termine di emissione e con riferimento al mese precedente (art. 47, co.1 DL 331/1993).

L’acquirente italiano ha quindi due mesi di tempo in più per registrare l’acquisto intra UE, si passa infatti:

  • dal giorno 15 del mese successivo a quello di ricevimento della fattura – fino al 31/12/2012
  • dal giorno 15 del terzo mese successivo a quello di effettuazione – dal 01/01/2013.

Quindi il termine entro il quale la fattura d’acquisto intra UE deve essere registrata dipende dal momento in cui sorge l’obbligo di autofatturazione: il termine ordinario (il 15 del mese successivo al ricevimento della fattura) è differito al 15 del terzo mese successivo a quello di effettuazione dell’operazione, cioè l’inizio del trasporto o spedizione dei beni dal Paese UE di partenza a quello di destinazione (nuovo art. 39 co. 1 DL 331/1993,).

ESEMPIO.

Se l’acquisto intra UE viene effettuato il 15 gennaio (data inizio del trasporto/spedizione) allora:

  • fattura ricevuta entro il 31 gennaio (mese di effettuazione dell’operazione) >>> registrazione entro il 15 febbraio e con riferimento al mese di gennaio;
  • fattura ricevuta entro il 28 febbraio (primo mese successivo a quello di effettuazione dell’operazione) >>> registrazione entro il 15 marzo e con riferimento al mese di febbraio;
  • fattura ricevuta entro il 31 marzo ( secondo mese successivo a quello di effettuazione dell’operazione) >>> registrazione entro il 15 aprile con riferimento al mese di marzo ai fini della liquidazione IVA;
  • fattura ricevuta dopo il 31 marzo, ovvero non ricevuta >>> emissione autofattura entro il 15 aprile, annotazione entro il 15 aprile con riferimento al mese di marzo.

Si precisa che la disciplina in esame sembrerebbe in contrasto con l’art. 69 Direttiva 2006/112/CE, secondo cui l’IVA relativa agli acquisti intra UE diventa esigibile al momento di emissione della fattura o alla scadenza del termine previsto per la sua emissione (giorno 15 del mese successivo all’effettuazione dell’operazione), se la fattura non è stata emessa entro tale data. Dunque, nell’esempio considerato, l’IVA relativa all’acquisto intra UE non fatturato dal cedente entro il 15 febbraio (giorno 15 del mese successivo a quello di effettuazione) dovrebbe essere in ogni caso imputata nella liquidazione di febbraio.

>>> UTILITY – AUTOFATTURA PER MANCATO RICEVIMENTO FATTURA ACQUISTO INTRA UE

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Novità IVA 2013: numerazione delle fatture valgono anche le vecchie regole

Se risulta più agevole, si può continuare con il sistema di numerazione progressiva per anno solare, in quanto l’identificazione univoca della fattura è, anche in tal caso, garantita dalla contestuale presenza nel documento della data.

Lo ha, finalmente, precisato l’Agenzia delle entrate con la RM 1/E/2013 del 10 gennaio 2013.

L’Agenzia ritiene ammissibili le seguenti modalità di numerazione progressiva all’interno di ciascun anno solare, fermo restando l’obbligo di indicare in fattura la data :

Fatt. n. 1

Fatt. n. 2

Fatt. n. 1/2013 (oppure n. 2013/1)

Fatt. n. 2/2013 (oppure n. 2013/2).

Chiarimenti in materia di numerazione delle fatture

Ex art.21, co. 2, lett. b), DPR 633/1972 (come modificato ex art.1, co.325, lett. d), L. 228/2012) per le operazioni effettuate a partire dal 1° gennaio 2013, la fattura deve contenere un “numero progressivo che la identifichi in modo univoco”.

Posto che, nella nuova formulazione, l’articolo 21 non prevede più la numerazione “in ordine progressivo per anno solare”, è stato chiesto da più parti di chiarire cosa si debba intendere per numero progressivo che identifichi la fattura in modo univoco.

La modifica normativa in questione si è resa necessaria al fine di recepire nell’ordinamento nazionale la nuova disciplina comunitaria in materia di fatturazione recata dalla direttiva 2006/112/CE del Consiglio del 28 novembre 2006, come modificata dalla direttiva 2010/45/UE del Consiglio del 13 luglio 2010. La Commissione europea aveva, infatti, rilevato che la normativa italiana, imponendo ai soggetti passivi di ricominciare ogni anno una nuova serie di numeri sequenziali, introduceva un ulteriore adempimento a carico dei soggetti passivi non richiesto dall’articolo 226 della citata direttiva.

Tanto premesso, si precisa che è compatibile con l’identificazione univoca prevista dalla formulazione attuale della norma qualsiasi tipologia di numerazione progressiva che garantisca l’identificazione univoca della fattura, se del caso, anche mediante riferimento alla data della fattura stessa.

Conseguentemente, a decorrere dal 1° gennaio 2013, può essere adottata una numerazione progressiva che, partendo dal numero 1, prosegua ininterrottamente per tutti gli anni solari di attività del contribuente, fino alla cessazione dell’attività stessa.

Questa tipologia di numerazione progressiva è, di per sé, idonea ad identificare in modo univoco la fattura, in considerazione della irripetibilità del numero di volta in volta attribuito al documento fiscale.

La numerazione progressiva dal 1° gennaio 2013 può anche iniziare dal numero successivo a quello dell’ultima fattura emessa nel 2012. Anche in tal caso la tipologia di numerazione progressiva adottata consente l’identificazione in modo univoco della fattura, ancorché la numerazione non inizi da 1.

Peraltro, qualora risulti più agevole, il contribuente può continuare ad adottare il sistema di numerazione progressiva per anno solare, in quanto l’identificazione univoca della fattura è, anche in tal caso, comunque garantita dalla contestuale presenza nel documento della data che, in base alla lettera a) del citato articolo 21, costituisce un elemento obbligatorio della fattura.

Ad esempio, fermo restando l’obbligo di indicare in fattura la data, si ritengono ammissibili le seguenti modalità di numerazione progressiva all’interno di ciascun anno solare:

Fatt. n. 1

Fatt. n. 2

Fatt. n. 1/2013 (oppure n. 2013/1)

Fatt. n. 2/2013 (oppure n. 2013/2).

INTRA UE: fattura per operazioni inesistenti, il cessionario paga l’IVA

Fonte: Fisco Oggi

Data: 02/01/2013

Autore: M. Denaro

In caso di operazioni intracomunitarie inesistenti, risultanti da fatture emesse da un cedente residente in un altro Stato comunitario, l’Amministrazione finanziaria è legittimata a riprendere a tassazione sul cessionario residente in Italia, l’Iva risultante dalle fatture, senza consentire, al contempo, la detrazione dell’imposta.

Questo l’interessante assunto affermato dalla Cassazione nell’ordinanza n. 22532 dell’11 dicembre, che ha accolto il ricorso proposto dall’Agenzia.

I giudizi di merito

A seguito di attività investigativa condotta dalla Guardia di finanza, era emerso che una società italiana attraverso l’interposizione di alcune società domiciliate nel Regno Unito – prive di organizzazione operativa nel territorio italiano e gestite, di fatto, da uno studio di consulenza svizzero – aveva artatamente elevato i costi di acquisto e ridotto l’imposta da versare, traendo vantaggio dalla sovrafatturazione degli acquisti e dall’emissione di fatture per operazioni inesistenti.

Sulla base di tali rilievi, il competente ufficio finanziario aveva recuperato a tassazione, nei confronti della società italiana, l’Iva non versata, relativa a quattro annualità, con atti impositivi impugnati innanzi ai giudici tributari, che, in primo grado, accoglievano le doglianze della ricorrente.

Il successivo appello proposto dall’Agenzia non trovava accoglimento e, pertanto, si giungeva in Cassazione.

Nel ricorso di legittimità, l’Amministrazione finanziaria lamenta, come unico motivo, la violazione dell’articolo 21 del Dpr 633/1972 e degli articoli 46 e 47 del Dl 331/1993, nella considerazione che, in caso di fatturazione per operazioni intracomunitarie inesistenti, risultanti da fatture emesse da cedente comunitario, l’Agenzia può riprendere a tassazione – nei confronti del cessionario nazionale – l’Iva non versata, senza consentire la detrazione dell’imposta stessa.

La decisione della Cassazione

Per i giudici di piazza Cavour il ricorso è fondato.

L’articolo 21 del Dpr 633/1972 statuisce che l’Iva è dovuta per l’intero importo indicato in fattura, anche se la fatturazione riguarda operazioni inesistenti ovvero l’imposta è indicata in misura superiore a quella dovuta.

Questa norma, precisa la Cassazione, è finalizzata a sanzionare il comportamento fraudolento, indipendentemente dal ruolo dei soggetti partecipanti all’operazione e anche a prescindere dall’effettività dell’eventuale credito d’imposta fruito.

Occorre, tuttavia, verificare gli effetti di tale disposizione normativa nell’ambito delle operazioni intracomunitarie – disciplinate dal Dl 331/1993 – per le quali, com’è noto, vige il meccanismo contabile per cui le stesse non sono imponibili nel Paese del cedente ma devono essere assoggettate a Iva nello Stato del cessionario, ossia nel paese di destinazione del bene.

In particolare, negli acquisti intracomunitari, è l’acquirente che deve integrare la fattura ricevuta dal fornitore comunitario – che non contiene l’addebito dell’Iva, trattandosi di operazioni prive del requisito della territorialità per il cedente comunitario – e ad assolvere il suo obbligo di eseguire il versamento d’imposta, quale reale debitore, registrandola a credito e a debito, ai fini di stornare l’imposta.

Tale procedura, tuttavia, presuppone l’effettività dell’operazione, non potendosi applicare nel caso di inesistenza della stessa, secondo un principio già fatto proprio dalla Cassazione, secondo cui “…in tema di IVA, la speciale procedura di variazione prevista dal D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 26, presuppone necessariamente, come si desume univocamente dalla considerazione della funzione perseguita dalla norma, che l’operazione per la quale sia stata emessa fattura, da rettificare perchè venuta meno in tutto o in parte in conseguenza di uno degli specifici motivi indicati nel secondo comma della norma stessa, sia una operazione vera e reale e non già del tutto inesistente. Ciò discende anche dal disposto del menzionato D.P.R. n. 633 del 1972, art. 21, comma 7, il quale – nel prevedere, allo scopo di ricondurre a coerenza il sistema impositivo dell’IVA, fondato sui principi della rivalsa e della detrazione, che, se viene emessa fattura per operazioni inesistenti, ‘l’imposta è dovuta per l’intero ammontare indicato o corrispondente alle indicazioni della fattura’ – da un lato incide direttamente sul soggetto emittente la fattura, costituendolo debitore d’imposta sulla base dell’applicazione del solo principio di cartolarità, e, dall’altro, incide indirettamente, in combinato disposto con lo stesso D.P.R., art. 19, comma 1, e art. 26, comma 3, anche sul destinatario della fattura medesima, il quale non può esercitare il diritto alla detrazione o alla variazione dell’imposta in totale carenza del suo presupposto, e cioè dell’acquisto (o dell’importazione) di beni e servizi nell’esercizio dell’impresa, arte o professione” (Cassazione, sentenza 24231/2011, 12353/2005 e 7289/2001).

Pertanto, nella fattispecie in esame, è la società italiana – in qualità di cessionaria dell’operazione intracomunitaria – “…l’effettivo debitore d’imposta e l’IVA a debito sulle fatture emesse a fronte di operazioni inesistenti è dovuta, in base al ‘principio di cartolarità’, in forza del quale il soggetto emittente la fattura deve essere considerato…debitore d’imposta…”, con la conseguenza che il destinatario della fattura medesima non può esercitare il diritto alla detrazione dell’imposta in totale carenza del suo presupposto e cioè dell’acquisto o dell’impostazione di beni e servizi nell’esercizio dell’impresa, arte o professione (Cassazione, sentenza 2823/2008).

La circostanza che trattasi di un’operazione intracomunitaria, conclude la Corte, non può incidere negativamente sul recupero a tassazione operato dall’ufficio finanziario, così come affermato anche dalla Corte di giustizia (causa C-285/09).