Fonte: Eutekne.info
Autore: S. Cerato e M.Bana
Data: 20/04/2011
Per la Cassazione, l’omessa compilazione del quadro VC non incide sul regime di esonero dall’imposta
La mancata segnalazione dell’opzione per il regime del plafond non legittima la contestazione, da parte dell’Agenzia delle Entrate, di acquisti in esenzione IVA oltre il limite spettante, in violazione dell’art. 8, co.1, lett. c), DPR 633/1972.
La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 9028/2011, ritiene irrilevante l’omessa compilazione del quadro VC della dichiarazione IVA – e, quindi, l’indicazione dell’esercizio della facoltà dell’acquisto senza l’applicazione dell’imposta – destinato ad accogliere il riepilogo, suddiviso per mese, delle operazioni attive generatrici del plafond dell’esportatore abituale e di quelle passive effettuate in virtù di tale proprio status. In particolare, i giudici tributari hanno accolto le ragioni del contribuente, secondo cui le opzioni riguardanti il regime dell’IVA possono essere altresì manifestate mediante comportamenti concludenti, coerenti e adeguatamente uniformati alla tenuta della contabilità obbligatoria: al ricorrere di tale ipotesi, deve, infatti, ritenersi prospettabile, ad avviso dei supremi giudici tributari, una mera violazione formale.
Fondamento di tale orientamento, in primo luogo, l’art. 1, co.1, DPR 442/1997, per effetto del quale l’opzione e la revoca dei regimi di determinazione dell’imposta si desumono dai comportamenti concludenti del contribuente, ovvero dalle modalità di tenuta delle scritture contabili. La disposizione stabilisce, inoltre, che la validità dell’opzione, e della relativa revoca, è subordinata esclusivamente alla propria concreta attuazione sin dall’inizio dell’anno o dell’attività: tale principio ha trovato applicazione nel consolidato e costante pronunciamento della giurisprudenza di legittimità (Cass. n.11170/2006; n. 2810/2005; n. 10599/2003; n. 9885/2002).
Conseguentemente, l’omessa compilazione del quadro VC non determina l’inefficacia del regime di esonero dall’applicazione dell’imposta, bensì la mera irrogazione delle sanzioni previste in caso di omessa oppure irregolare comunicazione, purché il contribuente:
- goda effettivamente dello status di esportatore abituale, ovvero soddisfi i requisiti ex art. 1, co.1, lett. a), [download id=”0″], avendo effettuato – nell’anno solare precedente (c.d. plafond fisso), oppure negli ultimi dodici mesi (c.d. plafond mobile) – un ammontare di esportazioni, o altre operazioni rilevanti con l’estero, superiore al 10% del volume d’affari;
- abbia predisposto e inviato al proprio fornitore, prima dell’effettuazione dell’operazione, la dichiarazione d’intento, in duplice esemplare, su modello conforme a quello approvato con il DM 6 dicembre 1986, al fine di attestare, sotto la propria responsabilità, la qualifica di cui al punto precedente, e richiedere la non applicazione dell’IVA, ex art. 8, co.1, lett. c), DPR 633/1972.
La Cassazione ha, invece, disatteso il secondo motivo del ricorso del contribuente, riguardante la ripresa a tassazione di costi ritenuti privi del requisito dell’inerenza (art. 109 DPR n. 917/1986), ritenendolo inammissibile, a causa della propria natura, incompatibile con l’ottemperanza alle prescrizioni di cui all’art. 366-bis del codice di procedura civile. La decisione conferma, quindi, l’orientamento della precedente sentenza n. 3519/2008: i quesiti di diritto – dovendo assolvere la funzione di integrare il punto di congiunzione tra la risoluzione del caso specifico e l’enunciazione del principio giuridico generale – non possono essere meramente generici e teorici, ma devono essere calati nella fattispecie concreta, al fine di consentire alla Corte di comprendere, sulla base della sola lettura, il presunto errore compiuto dal giudice e la regola applicabile