La Corte di Giustizia UE (causa C-24/15 del 06/04/2016) ha stabilito che è valida la cessione intra UE di beni anche se in forma errata: l’inosservanza delle formalità di legge, in assenza di comportamenti fraudolenti, e qualora sia accertata la sussistenza dei presupposti sostanziali, non pregiudica il riconoscimento dell’esenzione IVA.
L’Amministrazione finanziaria del Paese di origine non può negare l’esenzione IVA sulla cessione intra UE, nel caso in cui il cedente non abbia indicato in fattura il numero di identificazione IVA attribuitogli dallo Stato di destinazione, in mancanza di alcun serio indizio che suggerisca l’esistenza di una frode, il bene sia stato trasferito a destinazione in altro Stato UE e anche le altre condizioni sostanziali per il trasferimento siano state soddisfatte.
La causa riguarda il trasferimento, nel corso del 2006, da parte di soggetto DE, di un’autovettura nuova destinata alla sua attività imprenditoriale in Spagna ad un concessionario, affinché questi la vendesse. Nel 2007 il veicolo era stato venduto dalla società tedesca del cedente ad un’impresa spagnola.
Nelle dichiarazioni IVA, il cedente non aveva dichiarato alcun importo in relazione alle operazioni effettuate nel 2006 e aveva indicato una cessione intra UE esente per il 2007.
Al controllo, l’amministrazione fiscale locale aveva rilevato che nel 2007 non erano stati soddisfatti i requisiti necessari per beneficiare del regime di esenzione, dato che il cedente non aveva comunicato il numero di identificazione IVA attribuito alla sua impresa in Spagna né dichiarato alcun fatturato in Spagna. Il trasferimento del veicolo era però attestato da un documento di trasporto; l’Ufficio aveva pertanto recuperato l’IVA non versata. Secondo il giudice del rinvio nel caso in esame non ricorreva alcuna ipotesi di frode. Il trasferimento effettuato, infatti, poteva beneficiare del regime di esenzione IVA ex art. 28-quater, parte A, lettera a) VI Direttiva.
Alla luce di tale previsione, pertanto, in assenza di ipotesi di frode, gli Stati membri non possono imporre ulteriori requisiti oltre a quelli previsti dall’art. 28-quater per consentire l’applicazione del regime dell’esenzione, quindi il giudice, rinviava alla Corte di Giustizia UE, chiedendo se l’Amministrazione finanziaria potesse negare l’esenzione IVA se il soggetto passivo non avesse comunicato la partita IVA del proprio cliente: si trattava di violazione formale o sostanziale?
Secondo la giurisprudenza della Corte, il principio del rigetto del formalismo non vale se la violazione dei requisiti formali ha l’effetto di impedire che sia fornita la prova certa del rispetto dei requisiti sostanziali. Questa seconda eccezione al principio del rigetto del formalismo, attinente alle prove che possono essere richieste ai soggetti passivi dalle autorità tributarie degli Stati membri, è stata sancita dalla Corte in relazione tanto al diritto a detrazione quanto all’esenzione IVA della cessione intra UE, quindi nel caso di specie, si desumeva che l’Ufficio aveva tutti gli elementi sostanziali dato che aveva deciso di tassare il trasferimento intra UE in questione.
Dall’insieme delle considerazioni esposte, l’Ufficio non avrebbe potuto negare l’esenzione IVA al trasferimento intra UE, per il fatto che il cedente non aveva rispettato l’obbligo di comunicare il numero di identificazione IVA spagnolo, dato che:
- tale obbligo costituisce un requisito formale;
- non esisteva alcun indizio serio che suggeriva l’esistenza di una frode;
- l’ufficio competente disponeva di tutti i dati necessari per accertare che i requisiti sostanziali erano soddisfatti.
In definitiva la Corte UE ha concluso che la violazione dell’obbligo di comunicare il numero di identificazione IVA attribuito dallo Stato di destinazione non possa essere sanzionato con un diniego dell’esenzione IVA, contrariamente a quanto sostenuto dagli uffici.
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